Editoriali

L’Italia della cultura in cerca d’una dimensione europea

Franco Cappuccio

L’Europa: un nemico da combattere o un amico da proteggere? Quale che sia la risposta per voi, rimane un modello da prendere in considerazione per potersi migliorare…

È stato molto ampio in questi giorni il dibattito su Europa si o Europa no, intendendo con il continente essenzialmente l’adesione o meno alle politiche comuni stipulate dall’Unione Europea, dalla moneta unica via via a tutte le altre. Quale che siano le posizioni di ognuno, è indubbio che la parola ormai stra-abusata di “crisi” viene sì da una diffusa problematica che ha investito le nazioni a livello globale, ma questa sul suolo italico si è adagiata su tante altre problematiche che esistevano già a monte e che purtroppo non sono mai state risolte: le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, la questione meridionale, la burocrazia asfissiante e via via tutto il resto di una lista, ahimè, troppo lunga. Se non fosse così, non si spiegherebbero altrimenti né perché l’Italia è sensibilmente messa peggio di altre nazioni a livello di Stato-Paese, né perché le prestazioni delle nostre risorse e della nostra intelligence (made in Italy, turismo, ecc.) siano eccezionali all’estero e estremamente deludenti in patria.

Vero è anche che l’Unione Europea, soprattutto negli ultimi anni, ha orientato le sue politiche globali a due velocità, premiando più del dovuto i paesi virtuosi (Germania, un esempio piuttosto noto) e penalizzando in maniera forse irreversibile i paesi meno virtuosi (Grecia, Spagna e Italia, ça va sans dire) costringendoli a delle politiche di rigore ed austerità; purtroppo, è piuttosto risaputo (e i dati lo confermano) che la crescita è molto difficile senza investimenti di spesa, e la prova lo sono proprio i paesi virtuosi che, in quanto tali, hanno utilizzato la loro disponibilità di spesa per investire, aumentando così la crescita sui loro territori. D’altro canto, aumentare la spesa pubblica è fuori discussione, perché la pressione fiscale italiana è insostenibile e così, si rimane in un gomitolo molto difficile da sbrogliare (su più livelli, compreso quello della volontà delle amministrazioni, sia dal punto di vista politico che dirigenziale/amministrativo di chi lavora all’interno delle stesse).

Tutto molto interessante, ma cosa c’entra la cultura? C’entra nel momento in cui andiamo a leggere le politiche governative dell’Unione Europea, espresse in documenti generali come Europa 2020 o Horizon 2020 e più nello specifico in documenti di settore come il libro verde sulle industrie culturali e creative o le politiche legate a Creative Europe: l’Italia registra nel settore culturale e creativo, rispetto agli altri paesi, un ritardo esponenziale non solo a livello pratico ma anche, e ben più grave, in termini di concetto. A differenza delle altre nazioni, l’Italia non ha posto al centro delle proprie politiche di rigenerazione urbana, innovazione sociale e crescita dei territori le filiere culturali e creative, approccio che invece in altri paesi ha avuto esiti interessantissimi (fino a 30 volte la ricaduta sul territorio rispetto all’investimento fatto) per far ripartire l’economia, e che in Italia ha un peso non irrilevante, in quanto tra indotto diretto ed interconnessioni con altri settori esso genera il 15% del PIL nazionale.

Ma perché esiste questa perdita di incisività delle politiche culturali italiane rispetto alle altre nazioni? Le cause sono certamente molteplici, alcune delle quali sono legate a tendenze a lungo termine molto complesse su cui agiscono una molteplicità di fattori. Sicuramente però una delle cause principali più evidenti è la perdita di centralità sociale che la cultura ha sofferto negli ultimi anni in Italia. I paesi che oggi sono più dinamici nella produzione ed esportazione di cultura sono anche quelli in cui la produzione culturale e gli operatori godono di un elevato riconoscimento sociale e di un’elevata attenzione dei media, aiutano alla costruzione dell’immaginario collettivo di un territorio, vengono ritenuti meritevoli di appoggio e sostegno nelle loro attività in quanto l’affermazione dell’eccellenza creativa nazionale è l’affermazione dell’eccellenza di tutto il paese. In Italia, invece, in questo momento la cultura è mal sentita e vista come un ambito decisamente marginale rispetto a quelli vitali per il futuro del nostro paese, è lontana dall’attenzione e dagli interessi della maggior parte dei cittadini, fa fatica ad esprimere e a vedere legittimati i propri interessi e il proprio diritto ad essere promossa, salvo poi però essere utilizzata come autocelebrazione retorica, che non fa altro che aumentare il senso di distacco tra essa e le persone.

Chiaramente, se non si interviene su questo punto critico sarà oggettivamente difficile, se non impossibile, rivitalizzare il nostro tessuto culturale e creativo, per quanto si possa insistere sul suo impatto economico e sul suo potenziale di sviluppo futuro. E fa male vedere che l’Italia è uno dei paesi che presenta più progetti da far finanziare ma è uno dei paesi che vede meno progetti approvati, indicatore questo che ci fa capire il grande distacco della nostra mentalità con quella più avanzata del nostro continente. Per cui, Europa sì o Europa no come la volete pensare, ma non dimenticatevi di guardare ai modelli fuori di noi per effettuare davvero il cambiamento dentro di noi.



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