Arti Performative

Mitridate Minovi // Plouf

Marcella Santomassimo

La storia d’amore, non troppo convincente, tra un uomo, una donna e un fantoccio. Una storia che nel complesso ha il suono del fallimento: “plouf”.


 

Addio mondo crudele! La nostra pièce si apre con un patetico tentativo di suicidio. È Casper (Leonardo Maddalena) che vuole commettere il triste atto, l’uomo invisibile, il fantasma, ma per chi? Per una donna, ovvio. Penelope (Beatrice Fedi) infatuata a sua volta di un fantoccio, Harry (Daniel Terranegra), amico del povero sventurato. Siamo nell’universo del fumetto e alle prese con un banale triangolo amoroso se non fosse per il fatto che poi le cose si complicano. Casper, tormentato dal disamore di Penelope nei suoi confronti, progetta un eccitante piano per conquistare la ragazza: compiere un omicidio insieme per condividere qualcosa che non dimenticheranno mai.

Plouf è la storia di Casper che voleva conquistare la sua bella ma una volta raggiunto l’obbiettivo qualcosa si blocca, il suo fiore appassisce. «Ad ogni storia d’amore ad un certo punto c’è un muro. E’ finita, ed è giunto il momento di succhiare sangue a qualcun altro» ci aveva svelato Penelope all’inizio di questa storiella, ma non ci aveva convinto molto. In realtà è tutta la pièce a non convincerci molto. Lo sfondo è quello del Teatro Sala Uno di Roma, mattoncini e archi, di per sé un teatro con uno spazio molto scenografico che di poco ha bisogno per ricreare le più diverse ambientazioni. Dal soffitto scendono strisce di luci colorate a led, al centro della scena una panca giocattolo rossa con le rotelle, un fantoccio umano e a destra del pubblico una donna con l’arpa, l’aspetto più interessante dello spettacolo.

L’ambientazione vuole essere a metà tra il fumetto, il noir e il nonsense. Gli elementi ci sono tutti: un fantoccio per amante, una macchietta di turista per caso (il povero sventurato che i due faranno fuori in maniera poco eroica), l’uccisione, il sesso con il fantoccio, la mancanza, spesso, di causa-effetto. E poi c’è il “Plouf”, la parola onomatopeica che sta appunto ad indicare il tonfo del buco nell’acqua, il fallimento. È Casper che fa Plouf: fa Plouf quando cerca di uccidersi con una corda nella scena iniziale, fa Plouf quando prova a farla finita con una pistola dopo aver sparato Penelope, fa Plouf quando tenta di conquistare Penelope con la sola forza del suo amore, fa Plouf quando dopo aver progettato tutto alla perfezione uccide il turista per una distrazione, fa Plouf quando fallisce il suo amore.

Plouf è un testo in cui confluiscono più temi: dai “plouf” alla difficoltà di comunicazione tra le persone che si parlano per monologhi o attraverso lo schermo del proprio smartphone, all’imprevedibilità dell’amore che prende strade diverse senza che se ne possa avere il controllo. Mitridate Minovi non è nuova a trame con risvolti noir: Dis-ease/malattia si rifaceva infatti all’americano L’assassino che è in me di Jim Thompson mentre la trama di Terrorismo Sentimentale pare confluire completamente in Plouf. Nel lasciare allo spettatore la totale libertà di interpretazione, anche qui gli si porgono troppi spunti che per la loro debolezza finiscono per svanire varcata l’uscita. Plouf.

L’aspetto di più interessante è l’uso dell’arpa in scena. Al di là dell’aspetto scenografico di gradevole impatto, Chiara Marchetti usa la sua arpa in maniera originale per ricreare i rumori di scena, il suono del messaggio sul cellulare e i vari plouf, e le musiche dance anni ’90 come The Rhythm of The Night, che ci riporta indietro nel tempo al ritmo di un incantevole e misurato suono d’arpa.


Dettagli

  • Titolo originale: Plouf

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