Arti Performative

Daniela Dellavalle – Centro di gravità permanente

Renata Savo

Abbiamo fatto un salto nel quartiere S. Lorenzo, al Teatro Abarico, per prendere visione di una pièce della giovane autrice Daniela Dellavalle dove si incontrano casualmente tre personaggi accomunati da un tragico intento. 


 

Esistono molti modi di raccontare la crisi economica e lo sfacelo di intere generazioni che ne è derivato; la giovane autrice Daniela Dellavalle ha scelto di filtrarli attraverso l’incontro fra tre individui sul terrazzo di un palazzo: un uomo sulla quarantina che ha appena perso il lavoro presso un’azienda nonostante il suo contratto a tempo indeterminato, un ventiseienne precario, e una giovane donna incinta alla quale non è stato firmato il contratto di assunzione. Tutti e tre si trovano lì per lo stesso motivo, una fatale coincidenza: il desiderio di porre fine alle proprie vite.

La situazione di partenza sicuramente si prospetta interessante e densa di possibilità dal punto di vista drammaturgico, e per questo siamo andati a dare un’occhiata al lavoro, rappresentato sul palcoscenico del Teatro Abarico nel quartiere capitolino di S. Lorenzo.

A entrare in scena per primo, su uno spazio scenico sormontato solo da una pedana con praticabili di varie dimensioni, l’uomo più anziano, e anche il meno sfortunato tra i tre: lui, a differenza degli altri due più giovani, ha avuto la possibilità di progettare la sua vita, sposarsi, chiedere un mutuo per comprare casa, avere dei figli… Fino al giorno prima, quando a causa dei tagli al personale l’azienda ha decretato il suo licenziamento.

Titubante nell’approssimarsi al precipizio e gettarsi di sotto, l’uomo viene ammonito all’arrivo del secondo personaggio, il giovane ventiseienne, il quale comincia a impartirgli una sua morale sul perché non dovrebbe suicidarsi, facendo notare, per esempio, come la sua generazione abbia potuto godere di privilegi inaccessibili a quella che si sta affacciando – o dovrebbe affacciarsi – al mondo del lavoro.

Pur nella drammaticità del soggetto, l’autrice disvela un rapporto tra i due che nel ribaltare l’autorevolezza dei ruoli fa venire a galla il lato “comico” della situazione, raggiungendo, però, un tale livello di distacco emotivo da far storcere il naso per la rappresentazione di una realtà non tanto “surreale” quanto inverosimile. E l’effetto si amplifica con l’ingresso del terzo personaggio, la ragazza incinta, che – durante quello che dovrebbe essere un momento di fragile debolezza – risponde alle confidenze dell’uomo giovane e sconosciuto, illudendo lo spettatore sulla possibilità che di lì a poco i due, non più soli, ricominceranno insieme una nuova vita.

Ma non è così. E, totalmente contro le aspettative, il finale non coincide con l’arricchimento individuale e una riconciliazione con il mondo (che verosimilmente ciascuno dei tre avrebbe potuto ottenere dall’incontro), anzi.

Dal punto di vista drammaturgico, infatti, la scrittura è abbastanza debole, con una pressoché schematica alternanza tra le gag dell’uomo più anziano che muove l’orgoglio del più giovane quando tira fuori qualche parolaccia per manifestare il suo rancore, la donna che non vuole essere percepita come madre e attacca ai due uomini la sua morale sul sesso debole, e bruschi cambi di registro che mostrano un livello superficiale di approfondimento psicologico. Tuttavia, il pubblico in sala ha risposto positivamente, e non possiamo che farcene una ragione.

 


Dettagli

  • Titolo originale: Centro di gravità permanente

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