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Intervista al Collettivo lunAzione: in tournée mescolando felicità e pathos

Simone Sormani

Dopo la trasferta torinese che lo ha visto in scena con Il talismano della felicità, nell’ambito del Torino Fringe Festival, il Collettivo lunAzione, uno dei più freschi e innovativi gruppi del teatro napoletano contemporaneo, che vanta una storia ormai decennale di produzioni originali, performance e progetti per le scuole, prosegue la sua tournée, da stasera 24 al 29 maggio a Napoli sul palco del Teatro Piccolo Bellini con Il ColloquioEduardo Di Pietro, Martina Di LevaCecilia Lupoli rappresentano l’anima del collettivo: li abbiamo intervistati in occasione della ripresa di questi due lavori.

Ci potete riassumere, in sintesi, qual è stato il vostro percorso in questi anni?

Tutto è nato da un’amicizia e dalla condivisione di un percorso di formazione e di uno stesso desiderio creativo. Ci occupiamo di produzioni originali e di drammaturgia contemporanea. Da subito abbiamo iniziato a collaborare con varie tipologie di istituti scolastici, cercando di realizzare spettacoli che potessero parlare ai giovani e, in un certo qual modo, incoraggiare il pubblico di domani. Si è delineato man mano un interesse per la scrittura di scena, che coinvolge direttamente gli attori nel processo creativo, e poi verso un’analisi sempre più  “antropologica” della realtà attraverso il teatro. Lo scorso anno la compagnia è stata riconosciuta dal MiC e quest’anno il nostro progetto Hosting: on the road è rientrato nella sezione Progetti Speciali seguiti dal Ministero. In ogni caso, ci sentiamo aperti a nuove sfide e ad approcci sempre più innovativi.

In particolare vi dedicate anche a quelle che definite performance site specific. Di cosa si tratta?

Si tratta principalmente di Hosting, che è un format che assume le forme del luogo in cui di volta in volta è situato e della comunità che vi abita. Viene realizzato in seguito a una ricerca sul campo, attraverso una raccolta di contributi audio, di interviste alle persone del posto, per comporre una drammaturgia corale che provi a restituire un ritratto parziale di quella comunità. Il pubblico passeggia guidato da un’attrice e indossando delle cuffie wireless che offrono dei contenuti e delle suggestioni sonore, le quali creano un’esperienza di visita inusuale e profonda. È un progetto che ci diverte, perché ci consente di conoscere tantissime persone. Inoltre, sono lavori che, oltre a restituire ovviamente le peculiarità di un territorio, ci offrono la possibilità di contaminare gli spazi con degli atti performativi che, anche se per poco tempo, li trasformano e lasciano intravedere opportunità differenti di presenza e di attraversamento.

Martina Di Leva e Cecilia Lupoli ne “Il talismano della felicità”. Foto di Alain Battiloro

Siete di rientro dal Torino Fringe Festival, dove avete presentato Il talismano della felicità. Uno spettacolo al femminile in cui il cibo è protagonista di vicende paradossali e macabre. Come è nata l’idea e come è strutturato il lavoro?

L’idea è nata in risposta alla call del Festival Play With Food rivolta a compagnie Under 35, in cui si chiedeva una proposta di regia che mettesse insieme due monologhi, vincitori ex-equo del bando di drammaturgia promosso da Crack Rivista: L’Arrosto di Alberto Milazzo e Arcano I di Iwan Paolini. Cercando i punti in comune tra questi due monologhi abbiamo immediatamente isolato due parole: “cibo” e “femminile”, e deciso che quello che volevamo costruire era un viaggio sensoriale che, esplorando appunto tutti i sensi, tenesse lo spettatore immerso in un’esperienza quasi ipnotica, fino allo svelamento finale.

Attraverso l’uso di cuffie wireless diamo allo spettatore la possibilità di vivere un’esperienza immersiva che coinvolge udito, olfatto e vista. Nella lavorazione dei podcast ci siamo avvalsi dell’aiuto di un sound artist che ha rielaborato i suoni di una cucina miscelandoli e integrandoli nelle storie, trasformate in due radiodrammi trasmessi simbolicamente da una radio. I piatti presenti nei testi vengono cucinati e gustati al momento e accompagnati da vino rosso sangue; la scenografia è una vera e propria cucina che permette di avere i fuochi accesi, e dunque ogni ingrediente emana il suo profumo fin dall’inizio. Il pubblico osserva la preparazione delle pietanze, scopre i segreti del mestiere, assiste alla trasformazione degli elementi, trattati come sostanze alchemiche da elaborare.
Il parallelismo tra l’alchimia e la cucina è lampante: il riferimento alla figura dell’arcano I dei tarocchi, nominato anch’esso nelle storie ascoltate, richiama fortemente il mestiere del cuoco, che ha in mano tutti gli strumenti del lavoro: la coppa, che è il pentolone del mondo, il bastone, che è il mestolo con cui amalgama gli ingredienti, e la spada-mannaia per tritare. Mette ordine al caos, così come le protagoniste mettono ordine nella loro vita.

“Il Colloquio”. Foto di Malì Erotico

E veniamo infine a  Il Colloquio. Un testo socialmente impegnato che, come dice già il titolo, prende ispirazione dal sistema di ammissione ai colloqui periodici con i detenuti presso il carcere di Poggioreale, e che è frutto di una serie di interviste a donne che hanno vissuto o vivono questo legame carnale con l’istituto di pena. Come avete lavorato a questa complessa drammaturgia e quali saranno gli elementi principali della messa in scena?

Il Colloquio è stato ispirato inizialmente da un documentario di Gaetano Di Vaio, Il loro Natale, che raccontava questa dinamica rituale, dolorosa e straniante, che con cadenza settimanale i parenti dei detenuti dovevano vivere, fino a qualche tempo fa, per l’accesso al carcere di Poggioreale. Questa situazione da subito ci è apparsa avere un grande potenziale teatrale, ed è stata condivisa con gli interpreti, Renato Bisogni, Alessandro Errico e Marco Montecatino. Abbiamo poi incontrato e intervistato alcune donne, che ci hanno introdotto alle loro esperienze di vita nel rapporto continuativo con gli istituti di pena, lasciandoci anche scoprire un preziosissimo lato ironico che riguarda queste situazioni. Quello che trovo importante in questo spettacolo è la trasversalità dei suoi significati, cioè il fatto che ciò che viene portato in scena è un riflesso della condizione umana nel senso più ampio del termine, al di là del nostro punto di partenza. Tre uomini restituiscono i personaggi femminili sospesi nel tempo, in una coda perpetua, di fronte a un carcere non identificato che rappresenta contemporaneamente la fonte delle loro sofferenze e il luogo dei loro affetti. Tra queste donne nasce naturalmente una relazione che allevia il reciproco dolore e lascia intravedere degli spiragli senza sbarre all’interno di esistenze di prigionia.

 

[Immagine di copertina: “Il Colloquio”. Foto di Malì Erotico]

 

 

 



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