Editoriali "Arti Performative"

Cultura&Spettacolo: un binomio scindibile

Franco Cappuccio

La recente esclusione della compagnia Carullo-Minasi dal Napoli Teatro Festival Italia ci permette di riflettere sul rapporto tra cultura e spettacolo.

Parlar male del Napoli Teatro Festival è un po’ come sparare sulla Croce Rossa (se non per il fatto che, come mi suggeriva una persona stamattina al telefono, in questo caso in realtà la Croce Rossa siamo noi, non loro); anche solo per sfiorare la superficie del sommerso che si nasconde dietro questa (e della gran parte dei mastodonti pubblici italiani) manifestazione che a me, campano, colpisce in maniera particolare, vi basti leggere un articolo da me scritto nell’anno 1 Avanti Scene Contemporanee su KLP Teatro. Per questo, alla notizia, diramata via Facebook, dell’esclusione della Compagnia Carullo-Minasi, tra le più interessanti della scena teatrale italiana, dalla produzione, per la regia di Francesco Saponaro, di Dolore sotto chiave di Eduardo De Filippo, non concordata e avvenuta tramite telefonata a quindici giorni dal debutto, dopo mesi di lavoro, sia teorico che pratico, mi suonava con la classica frase “niente di nuovo sotto il sole”.

Eppure non nuoce ricordare che il problema travalica il caso specifico oggi in attualità, sicuramente gravissimo, mortificante per chi lavora nello spettacolo e per chi ne fruisce, poiché se preso solo in sé stesso sarebbe un atto da condannare ma non ci sarebbe il bisogno di scrivere riflessioni; la questione in realtà riguarda la considerazione dell’atto spettacolare (o artistico, per dirla più in generale) da parte di chi organizza eventi artistici di un certo peso economico, a maggior ragione quando questa organizzazione si intreccia con il pubblico nella veste di finanziatore.

Ebbene, io credo che dovremmo sgomberare il campo da un equivoco: il teatro, il cinema, la musica, la danza, la pittura, e tutte le altre espressioni “artistiche” dell’uomo non sono cultura. È meglio piuttosto dire che un certo tipo di teatro, musica, danza, cinema, ecc. è cultura; quello che si interroga – aldilà del gusto e dei risultati – continuamente su sé stesso, che innova, che sperimenta, che racconta fuori dai binari prestabiliti, in cui c’è un’idea forte di “prodotto culturale” o “prodotto artistico” che traspare evidente da esso, ripeto aldilà della bellezza o bruttezza, che spesso sembra essere l’unico compito di chi scrive critica o fa giornalismo teatrale.

Il resto? Il resto è intrattenimento, società, spettacolo, o come volete chiamarlo. Ha una funzione sociale, certo, ha uno scopo di esistere, anche se noi votati all’arte (come artisti o come spettatori che sia) inorridiamo e ci rifiutiamo di ammetterlo, ma non è arte, non è cultura. E chi organizza eventi molto spesso, anche quando dice di rivolgersi ai primi, come nel caso del NTFI, in realtà si rivolge ai secondi, per comodità, per incasso, per ottenere consenso, o per tutta una serie di motivi che travalicano – in ogni caso – il contenuto di questi eventi. Veicolando, come unica cultura, quella di travalicare gli altri, di proporre soluzioni di comodo, di fare il bello e il cattivo tempo, per gli scopi poco sopra enunciati. Approfittando di una ricorrenza per riempire di Eduardo cartelloni e stagioni paventando cultura, quando in realtà ogni anno le stagioni e i cartelloni sono riempiti di opere di De Filippo, Scarpetta, Ruccello, che ormai non altro che meri contenitori svuotati e riempiti di nulla, dal punto di vista culturale, perché hanno la funzione di mero intrattenimento di chi vuole andare a teatro (come al cinema, come ai concerti, …) spegnendo il cervello; spacciando opere di artisti morti quarant’anni fa (Ruccello, ancora, per esempio) come esempio di contemporaneo e di teatro d’innovazione perché in regioni come la Campania, di più contemporaneo, salvo le opere di piccoli teatri e festival che ci credono, per passione, pagandone le conseguenze (leggi Teatro Sancarluccio a Napoli, ad esempio), non arriva nulla.

E allora cosa fare? Iniziamo a distinguere, a far capire che l’equazione arte = cultura non è sempre valida (anzi, è molto di più il prodotto d’intrattenimento che quello culturale), che le manifestazioni non possono fregiarsi di essere culturali solo perché propongono spettacoli, perché chi fa cultura non solo non può essere sostituito a quindici giorni dal debutto, ma chi sostituisce non potrà mai fare della cultura in quindici giorni. È un lavoro lungo, che passa attraverso la sensibilizzazione del pubblico, contro tutti gli ostacoli (gli organizzatori, le amministrazioni, gli stessi media), ma più che mai necessario, per evitare che le cose tristi che succedono continuino ad avvenire.



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