«Mentre ci prendiamo cura, la Terra ci cura». Intervista a Monica Morini del Teatro dell’Orsa in scena con “Le ragazze salveranno il mondo”
Non per essere di parte – in quanto chi scrive appartiene al genere femminile – ma dove ci sono le donne c’è lotta pacifica, c’è ascolto. Ci sono empatia e cura. Ecco perché oggi l’eco femminismo non è soltanto la risultante di un binomio possibile, quello fra donne ed ecologia, ma un binomio necessario. Le ragazze salveranno il mondo non a caso è il titolo dello spettacolo attualmente in tournée firmato dal Teatro dell’Orsa, compagnia teatrale residente a Reggio Emilia e attiva da oltre vent’anni. In occasione della Giornata Internazionale della Donna, saranno due le occasioni in cui lo spettacolo scritto e interpretato dall’attrice e regista Monica Morini e dall’ingegnera, attivista climatica, autrice ed europarlamentare Annalisa Corrado, sarà presentato: venerdì 7 marzo alle ore 21.00 sarà in scena all’ITC Teatro di San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, e sabato 8 marzo alle 21.00 all’Auditorium della Banca Credito Cooperativo del Basso Sebino a Capriolo, in provincia di Brescia. Creato per un pubblico di ogni età a partire dagli 11 anni, Le ragazze salveranno il mondo è liberamente tratto dall’omonimo libro di Annalisa Corrado (edizioni People, 2020) e si avvale dei contributi alla ricerca di Annamaria Gozzi e della collaborazione artistica di Bernardino Bonzani. Abbiamo sentito la coautrice, interprete e regista Monica Morini per approfondire le tematiche che attraversano il lavoro.

Monica Morini e Annalisa Corrado
Parliamo innanzitutto di voi, Monica Morini. Come vi siete incontrate?
Capita, in rari momenti della vita, non di conoscersi per la prima volta ma di riconoscersi, riprendendo un dialogo abitato da un senso di sorellanza non traducibile. Così è stato per me, con Annalisa Corrado. Dovevo presentare il suo libro, Le ragazze salveranno il mondo, al festival Orticelli Ribelli, un progetto culturale straordinario, nato a Cavriago (RE) e ispirato ai principi dell’agenda 2030: ecologia, femminismo, parità, cultura, natura, cura della comunità. Avevo il suo libro zeppo di sottolineature, appunti, mi aveva appassionato e acceso, la vedevo per la prima volta e mi sembrava di conoscerla da sempre, il dialogo tra noi è stato scoppiettante, ironico, autentico, profondo. Per più di un anno abbiamo parlato della possibilità di costruire uno spettacolo ispirato al libro, intanto insieme a Floriana Montanari, Annamaria Gozzi e al Comune di Cavriago continuavamo a coltivare altri progetti per Orticelli Ribelli. E poi in uno di questi appuntamenti l’Assessora alla Scuola del Comune di Imola, ci ha chiesto a bruciapelo la data del debutto, ci siamo rimboccate le maniche e davanti a 800 studenti e studentesse delle Scuole Superiori è nato il primo incontro-spettacolo. Un tempo denso di emozioni, uno scambio tanto fecondo con le nuove generazioni durato ben oltre l’orario scolastico. Una vera epifania.
Come influenza lo sguardo femminile il modo di parlare, metter in pratica, i valori che appartengono all’ecologia?
Rachel Carson, biologa marina, madre del movimento ambientalista, nel suo ultimo libro Brevi lezioni di meraviglia osservava che dovremmo alzare gli occhi al cielo almeno una volta al giorno, leggere la forma delle nuvole, guardare il migrare degli uccelli, ascoltare il ruggire del vento sul mare o tra le grondaie intorno a casa. La natura ha tali riserve di meraviglia da generare in noi sorgenti di forza che possono durare tutta la vita. Lo sguardo che portano queste donne è poetico, è connessione profonda con il creato, la allarga. Questa forma di intelligenza, non solo del sapere ma del sentire, apre alla relazione rispettosa con il vivente, tutto il vivente che ci comprende: esiste un circolo tra la Terra e noi. La Terra non è un oggetto da esplorare o controllare ma un soggetto da interrogare, conoscere, rispettare, proteggere, noi siamo parte del soggetto. Mentre ci prendiamo cura, la Terra ci cura. Rachel Carson ci invita ad andare nei boschi a non temere di toccare la terra, la conoscenza è conoscenza immersiva e sensibile. Non siamo separati dalla Natura, c’è un va’ e vieni tra l’umano, l’animale e il vegetale.
Chiara Zamboni nel suo bel libro Sentire e scrivere la natura mette in luce questo aspetto dello sguardo femminile, parla del «sentire con tutti i sensi e con attenzione coinvolta, amorosa e aperta alla presenza delle cose, delle persone e del mondo, sapere con tutta l’anima prossimo all’esperienza femminile, che procede per risonanze, secondo una ragione poetica di matrice materna».

Un frame dello spettacolo. In scena Monica Morini e, sullo sfondo in foto, l’attivista Premio Nobel per la Pace 2004 Wangari Maathai. Photo credit: Valentino Carnovale.
Le storie che raccontiamo sono portatrici di un logos che non si limita a nominare il mondo ma ne svela il sistema di relazioni e accende il cambiamento a partire dalle persone. Da un noi più grande. Succede con il movimento del Green Belt fondato dal Wangari Maathai, che ha piantato milioni di alberi, succede con Greta Thumberg, con Rachel Carson e la sua denuncia contro il DDT, con Jane Fonda che afferma con forza che l’attivismo non è una maratona, ma è una staffetta, dove passare il testimone, sostenere l’altro. L’eco femminismo coniuga difesa dei valori e dei diritti delle donne e la salvaguardia del Pianeta e delle comunità. Tutto è connesso. Il libro di Annalisa Corrado lo testimonia in modo cristallino.
Nello spettacolo si parla anche di Greta Thumberg, appunto, un fenomeno che, correggimi se sbaglio, sembra essere stato come silenziato dalla crisi pandemica in avanti. È così oppure si tratta soltanto una nostra percezione dovuta alla scarsa attenzione mediatica degli ultimi anni?
Prima di andare in scena con Le ragazze salveranno il mondo, nel 2019 abbiamo iniziato a occuparci dell’emergenza climatica con lo spettacolo Saluti dalla Terra. Nelle tappe di studio abbiamo coinvolto il movimento Fridays for Future con laboratori attivi, aperti a ciò che ragazze e ragazzi portavano: pensieri, istanze, domande che graffiavano. Dopo la pandemia ritrovarli e ritrovarsi in piazza ha mostrato la difficoltà della ripartenza dopo un grande trauma dell’antropocene.
Perché la pandemia ha veramente spezzato un’onda potente e la forza di un movimento nato e cresciuto nelle piazze, nei luoghi pubblici, nella relazione di corpi in presenza. I Fridays for Future ci sono, ma c’è stato un momento d’arresto, non possiamo non riconoscere che la crisi pandemica è stata anche una crisi sociale. E ora si aggiunge l’ombra di un restringimento delle libertà di manifestare. Alla fine dell’ultima replica de Le ragazze salveranno il mondo, qualche giorno fa, una spettatrice, ringraziandoci, ci ha confessato la sua giusta preoccupazione per la figlia attivista che, con il nuovo decreto sicurezza di questo Governo, potrebbe rischiare tanto, troppo. Chi ascolta le voci che ci richiamano al cambiamento? il movimento Ultima Generazione agisce cercando disperatamente di avere riscontri che mancano. Il vero potere deve continuare ad appartenere alle persone. La democrazia traballa se le voci del dissenso vengono tacitate. Abbiamo finito il tempo, come ci ricorda Greta, e abbiamo finito le scuse: il cambiamento sta arrivando, che ci piaccia o no, siamo chiamati a prendere posizione e agire nella giusta direzione. Insieme.
Come si fa a costruire speranza (anche attraverso l’arte)?
Il teatro è un tempo salvo, dove i vivi ancora si incontrano, stanno insieme nel tutto possibile. Lo spettacolo che facciamo vuole essere un antidoto alla rassegnazione, al senso di impotenza che ci pervade. La vita delle donne ecologiste che narriamo è l’esempio concreto che nessuno è troppo piccolo per fare la differenza. Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace, raccontava spesso la leggenda del colibrì, l’essere alato minuscolo che sceglie di volare controvento verso la foresta in fiamme e versare dal becco la sua piccolissima goccia d’acqua. Mentre tutti lo dileggiano, testardamente lui continua a fare la sua parte. Seguendo il suo esempio, altri animali della foresta si uniranno, fino a spegnere il fuoco.
La speranza non è qualcosa che ci danno, ma qualcosa che generiamo, sostiene Rebecca Solnit. La speranza richiede azione. Viviamo nell’incertezza, il futuro è inconoscibile, procediamo brancolanti, ma nel margine che resta, per quanto piccolo, possiamo agire. Il fatto che non possiamo salvare tutto non significa che non ci sia nulla che possiamo salvare. Per cambiare l’ambiente bisogna partire dalle persone. Il teatro è ancora un luogo possibile di incontro e nutrimento, un luogo di resistenza, è respiro in tempi senza respiro.
[Immagine di copertina: foto di Valentino Carnovale]