Cinema Festival

Uppercase Print

Stefano Valva

Lo stampatello è un carattere ortografico che per ovvie ragioni è dichiarativo e ben visibile (proprio per questo è simile a quello della stampa, a quello degli stralci di informazione da rendere chiari ai lettori); per giunta i titoli di qualsiasi cosa, che siano dei romanzi, opere di ogni tipo o dei quotidiani, sono tutti in stampatello, proprio perché quell’aforisma va messo in risalto come presentazione. 

Nella maggior parte dei casi – anche le scritte sui muri in una località sono in stampatello – proprio perché chi le fa vuole dare nell’occhio, per trasmettere un messaggio a qualcuno o a tanti. La storia contemporanea, per l’appunto, sta cominciando a dare importanza alle scritte sui muri, che nei secoli – soprattutto nel novecento – sono state la vox populi durante epoche di mutamenti sociali e politici. Quindi oggi si comincia a parlare anche di storia attraverso l’analisi delle scritte murali oppure dei murales come un tipo di arte contemporanea (vedi per esempio i lavori di Banksy ed altri), e ciò si collega al plot della nuova opera del regista rumeno Radu Jude – presentata alla Berlinale e ora anche al Trieste Film Festival – che manco a farlo apposta si intitola Uppercase Print (in lingua originale Tipografic Majuscul, ossia in stampatello). 

Il titolo del film è un esplicito richiamo ed introduzione alla storia del giovane Mugur Calinescu, un adolescente che nel 1981 – durante l’era del regime comunista di Ceausescu – cominciò a smuovere i pensieri di massa attraverso delle scritte sui muri della propria città, per incitare tutti a lottare per dei diritti inalienabili: la libertà, il lavoro, il sostentamento, l’abolizione di leggi regressive. Un giovane con la forza morale di un sessantottino, che attraverso un gesto semplice eppur potente, provava a smascherare le azioni solamente in superficie invidiabili di un misterioso governo, che invece in profondità stava riducendo la nazione in miseria e repressione a vantaggio di un élite.

D’altronde, il regista sa che la storia ufficiale è quella dei vincitori, di chi detiene il potere, da chi ha i mezzi per scriverla. In tal caso, Jude sceglie un montaggio ove si alternano immagini di repertorio della tv rumena dell’epoca, ove vengono riprese le gesta, gli eventi, la politica interna del dittatore, in ambivalenza a degli attori/narratori che raccontano oralmente – nel mezzo di una scenografia teatrale, perché l’opera prende spunto anche da una pièce – la storia in maniera più didascalica possibile del liceale, in primis delle sue scritte di protesta sui muri di una cittadina malinconica e tetra. 

L’excursus si smuove principalmente nel 1981, poi nella seconda parte tra il 1982 e il 1985, con una postilla finale inserendo immagini della Romania di oggi, caratterizzata da metropoli dinamiche e dalla globalizzazione. Il montaggio è sia alternato, sia parallelo (seppur esso è di natura ideale, tematica, più che di decoupage) perché alle immagini televisive slogan del regime (medium del piccolo schermo al servizio dei potenti dell’epoca, come lo furono la radio e i cinegiornali per le dittature totalitarie durante la seconda guerra mondiale, confermando quell’imposizione culturale e ideologica sulle masse, analizzata già a inizio novecento in rapporto con i nuovi media da Horkheimer ed Adorno in Dialettica Dell’Illuminismo) si mettono sul medesimo asse le date delle comparse delle scritte rivoltose di Calinescu, le quali annullano e ridicolizzano il mondo aleatorio e illusorio che la televisione rumena creava per costituirlo come bugiarda pubblicizzazione (oggi le definiremo fake news, o almeno in tal caso delle news alterate). 

Jude nel complesso raffigura in maniera oculata e dettagliata un pezzo di storia cruciale della Romania, perché la storiografia nel microcosmo di Calinescu, anticipa la ventata di protesta nei confronti del comunismo in toto sovietico, che avrà ufficialmente la sua discesa poco dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989.

Il montaggio “alternato” funziona proprio perché mette in risalto le differenti sfaccettature della nazione dell’autore, ossia la voce del regime contro quella del popolo, la voce del fascinoso slogan contro quella della verità, la voce di un uomo avido di potere contro una di un giovane di belle speranze, desideroso solamente di vivere insieme alla famiglia in un paese migliore, che non ti punisca per aver utilizzato il clacson della macchina in centro, che non ti condizioni l’esistenza o risolva ogni questione attraverso la repressione e la violenza, ma che sia a totale servizio del popolo, che raggiunga una vera e propria democrazia, che va accomunata al termine equilibrio, perché gli estremismi non portano mai a nulla di giusto. 

Nonostante ciò, per smuovere le coscienze e le masse servono parole potenti come azioni, serve una voce rumorosa come un’arma da fuoco, serve quel pizzico di follia e quella giusta dose di individualismo, serve porsi il dubbio e il non credere a spada tratta alle opprimenti macchine dell’informazione. Serve la verve e la sfrontatezza dei ragazzi, dei giovani come Calinescu, che hanno semplicemente alzato il dito come in classe per chiedere il perché bisogna accettare tutto questo, in un momento nel quale il popolo era da tanto, troppo tempo fossilizzato nel silenzio e nella passività. 

 


  • Diretto da: Radu Jude
  • Prodotto da: Ada Solomon
  • Scritto da: Radu Jude, Gianina Carbunariu
  • Protagonisti: Bogdan Zamfir, Șerban Lazarovici, Ioana Iacob, Serbian Pavlu
  • Fotografia di: Marius Panduru
  • Montato da: Catalin Cristutiu
  • Casa di Produzione: microFilm
  • Durata: 128 minuti
  • Paese: Romania
  • Lingua: Rumeno

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