Cinema Il cine-occhio

Malcolm & Marie

Stefano Valva

Per il terzo lungometraggio, Sam Levinson si pone una sfida che per un autore relativamente giovane diviene ancor più ostica. Eppure, l’età non dovrebbe essere né un dato rilevante, né un pregiudizio, dato che la storia del cinema ci smentirebbe subito, poiché Orson Welles per esempio girò Citizen Kane a soli venticinque anni. 

Nonostante ciò, la sfida rimane estremamente ambiziosa, perché l’ultimo film del regista statunitense – girato interamente nel pieno della pandemia da Covid-19, ossia nella primavera del 2020 – è sia una riproposizione (probabilmente anche forzata, dato il periodo storico) del movimento tedesco del Kammerspiel, sia un inserirsi nel genere sulle relazioni sentimentali spinose e negative. 

Malcolm & Marie oltre ad essere il titolo, sono anche i nomi dei protagonisti, i quali dopo una serata teoricamente sfavillante (lui presenta al pubblico e alla critica la sua opera prima, la quale prende spunto proprio dalla vita tormentata della compagna) cominciano a discutere e a litigare aspramente. Il tutto si svolge all’interno di una casa fra salotto, bagno e camera da letto – e con poche inquadrature in esterni – per l’intera notte, ove la coppia da un fatto particolare, passa ad un’analisi generale sul rapporto sentimentale, su eventi passati riguardanti se stessi ed entrambi, sull’analizzare il rispettivo essere e quello dell’altro, sui comportamenti irrispettosi ed egocentrici che possono minare la purezza dei sentimenti. 

I primi due aspetti, che possono far storcere il naso ad un pubblico nemmeno tanto esigente, sono per forza di cose la scelta del casting e quella di realizzare la pellicola in 35mm col bianco e nero. Sul primo ci si deve per forza un attimo soffermare, poiché sia Zendaya sia John David Washington risultano fuori luogo all’interno di un film teatralizzato, di nicchia; soprattutto la star di Tenet, il quale ci ha ben dimostrato come possa districarsi ed esprimersi al meglio in pellicole ove possa più lavorare fisicamente ed esteticamente che invece emotivamente. Poi, il bianco e nero fa fatica ad essere funzionale in un film ove un’alternanza di colori insieme alle luci avrebbe potuto dare maggior enfasi e distacco fra lo spazio filmico e il mondo esterno (ossia il giardino e il paesaggio circostante, ben visibili dato che la casa è circondata da porte e finestroni di vetro). 

Per ricordare il bianco e nero in un’opera da “cinema in una stanza” dobbiamo riecheggiare addirittura il 12 Angry Men di Sidney Lumet e pochissimi altri, ove la cromatura classica non venne utilizzata per fini specifici, bensì perché essa all’epoca era molto considerata nelle produzioni, dato che era ancora in fase di alternanza con il colore. 

Uscendo fuori da due aspetti che saltavano subito all’occhio per l’introduzione di questa breve analisi, si arriva al mantra del film teatralizzato, ossia la scrittura.

Levinson oltre a riprendere momenti e gag che rimembrano idealmente grandi scontri coniugali come quelli in Storia di un matrimonio di Noah Baumbach oppure in Revolutionary Road di Sam Mendes, decide di inserire anche un pungente e diretto excursus sia sul mondo della critica, sia sul mondo del cinema, principalmente di quello hollywoodiano. Il monologo – e il film ne è pieno – di Malcolm sui critici è alquanto semplicistico, poiché attraverso una stilizzazione poco fine (a differenza di Birdman per esempio, ove Inarritù immette tale insofferenza dell’artista, in tal caso degli attori teatrali di Broadway, in maniera implicita, ossia con sfumature) riaffiora il tema dell’astio degli autori verso chi analizza, giudica o pubblicizza – tal volte in chiave negativa – il loro lavoro. 

Ciò in parte diviene anche interessante, ossia quando il protagonista sfoga un distacco palese dalla corrente di pensiero che vuole che il cinema mandi messaggi – proprio quello che frustrava anche un maestro come Alfred Hitchcock – e che sia anche una sorta di pubblicizzazione di tematiche sociali e culturali odierne, mettendo così in secondo piano le componenti più pure e irrazionali, ossia lo stile e l’immagine. 

Poi, lo scontro verbale di coppia (dato che quello fisico o non c’è, o si riduce tal volte ad essere non uno scontro bensì un ammaliare il partner, dimostrando una perenne attrazione fisica, con sequenze che nel complesso non divengono né sensuali, né sessuali) che accomuna l’opera al genere di film citati, si riduce ad essere uno sfogo che sembra preparato ad hoc da tempo, ove il partner enfatizza i limiti, i difetti, le scelte sbagliate dell’altro, sottolineando inoltre, come la sua presenza l’abbia reso migliore e l’abbia portato sulla retta via. Una specie di riassunto orale del vissuto e del rapporto sentimentale tra loro, che entrambi attraverso degli estenuanti monologhi si raccontano e provano a raccontare al pubblico, per farlo coinvolgere all’interno di una relazione esistente da tempo immemore e di un’opera che vuole far combaciare tempo cinematografico e tempo di visione. 

Malcolm & Marie è un film che sembra dirci “nonostante tutto, si amano”, e tale aforisma (aldilà del fatto che si affianchi ad un cinema esistenzialista/sentimentale che oggi non vuole raffigurare più la tradizionale favoletta romantica, altresì soffermarsi sui molteplici ostacoli pratici, routinari, emotivi e psicologici della vita di coppia e in una coppia) denota direttamente gli inevitabili deficit di quest’opera, perché è proprio in quel “nonostante tutto” che il pubblico qui non riesce né a configurarsi, né a coinvolgersi, né ad apprezzare in termini di scrittura, di stile, di sequenze e di prestazioni attoriali un inconsueto e contorto Kammerspiel, frutto più delle logiche di mercato, che di quelle autoriali. 

Caratterizzato tout court – sia umanamente, sia in conseguenza artisticamente -dallo sfogo e non dalla creatività, dall’incolpare e non dall’ascoltare, dallo sfidare e non dal comprendere, dall’egocentrismo e non dal noi-centrismo, dal racconto didascalico del passato e non da quello inventivo sul presente o su un tempo in divenire, dal vissuto individualistico e non dal convivere o dal condividere, da quel “dobbiamo parlare” che infine conduce più alla stanchezza che alla risoluzione. 


  • Diretto da: Sam Levinson
  • Prodotto da: Kevin Turen, Ashley Levinson, Sam Levinson, Zendaya, John David Washington
  • Scritto da: Sam Levinson
  • Protagonisti: Zendaya, John David Washington
  • Musiche di: Labirinth
  • Fotografia di: Marcell Rev
  • Montato da: Julio C. Perez IV
  • Distribuito da: Netflix
  • Casa di Produzione: Little Lamb, Fotokem
  • Data di uscita: 05/02/2021 (Netflix)
  • Durata: 106 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 2.5 milioni di dollari

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