Cinema Festival

Malmkrog

Stefano Valva

Una delle caratteristiche del tradizionale movimento del “Kammerspiel” – ossia della teatralizzazione dello spazio filmico, o come all’epoca veniva chiamato del teatro animato – è la durata. Da L’ultima risata di Murnau, arrivando fino ai prodotti contemporanei, il cinema in un locus si è distinto anche per le brevi durate – alcuni sono addirittura dei mediometraggi – questo perché in un film così singolare, si mettono allo stremo l’attenzione, il coinvolgimento, tout court l’occhio dello spettatore. 

Premesso ciò, quando ci si accinge ad analizzare il film del regista rumeno Cristi Puiu – dal titolo Malmkrog – il primo dato rilevante è l’estrema durata (ben 200 minuti) di un’opera ambientata praticamente in un salotto (con pochissime inquadrature in esterni o in altri ambienti casalinghi). Sebbene sia scontato ed anche ingiusto valutare una pellicola in virtù della durata, sarebbe insensato non considerare più che in altri tipi di opere il minutaggio, proprio perché in tal caso condiziona maggiormente. 

E se vi pensate, che Malmkrog – aldilà dei 200 minuti – sia un film che rispecchi lo storico filone tedesco, ne resterete delusi, perché se ne distacca a causa di alcuni aspetti estrinseci: La pellicola è in primis un corposo excursus su macro-temi della storia dell’umanità, come la religione, la politica, la filosofia e l’amore; poi, qui scompare del tutto il climax teatrale, perché l’intensità tra i personaggi non si innalza e non sfocia in repulsione, bensì la discussione rimane posata e fluida, non intaccando mai la sfera privata e non arrivando al classico whodunit; Infine, la narrazione è divisa in sei capitoli – prendendo spunto anche dal testo filosofico dal quale è tratto il film, ossia i Tre dialoghi di Solovyev – che hanno i nomi dei cinque protagonisti più quello del maggiordomo, il quale è il ponte tra l’ambientazione e il mondo circostante/esterno. 

Si citava la prosa, proprio perché la sceneggiatura non è puramente cinematografica anche in fase di esposizione (non ci sono i dialoghi informali ed ironici come in film anche teatralizzati di Woody Allen per esempio, oppure le gag psicanalitiche come in Carnage di Roman Polanski), perché il set ottocentesco, unito ai temi tanto complessi quanto primordiali, rendono la sceneggiatura cosparsa di racconti, orazioni, monologhi, celebri citazioni letterarie o poetiche, analisi delle classi sociali e istituzionali. 

D’altronde, per quanto sia difficile da seguire e da ammirare in ogni momento – soprattutto su di un piccolo schermo – un dialogo che per i protagonisti riempie la giornata nella tenuta dell’aristocratico russo Nikolai, il fiore all’occhiello di Malmkrog è senza dubbio la regia: Inizialmente, Puiu sceglie di girare unicamente in interni col piano sequenza, quindi senza stacchi e con le sole dissolvenze durante la fine di un capitolo e l’inizio di un altro; poi, i capitoli con i nomi dei personaggi, non intendono che una determinata scena sarà dedicata esclusivamente ad uno di loro, o che ci si focalizzerà su di un singolo punto di vista, altresì mettono in risalto la mutazione delle inquadrature, quindi il passaggio a campi medi, a campi lunghi con profondità, al campo contro campo durante l’ora della giocata a carte o della cena. 

Gli attimi che spezzano il plot – costituendosi anche come brevi pause per uno spettatore sfidato dall’attenzione, ove come anche la psicologia cognitiva insegna ne sono inevitabili le cadute – sono sia come anticipato la divisione in capitoli, sia alcuni frammenti, nei quali i personaggi vengono interrotti per cause di forza maggiore (per un sussulto, uno svenimento, un disguido con la servitù o per controllare la condizione di salute di un colonnello, chiuso in una stanza di sopra). 

Soffermandoci ancora sulle scelte di regia, Puiu compone un decoupage magistrale e apprezzabile, perché la versatilità delle inquadrature e dello stile, creano quella dinamicità che solo così un’opera del genere può ottenere, poiché  privata del movimento dei personaggi, e permeata della potenza orale in toto della narrazione. Il film ha una sensazionale forza visiva, ove tutti gli oggetti della scenografia, che siano essi armadi, specchi, tavoli o finestre, hanno una funzione specifica all’interno del quadro, così da non far sentire in molteplici sequenze la mancanza del montaggio, quindi dell’elemento che i formalisti per primi reputavano indispensabile, per un’arte sintetica e applicata. 

Malmkrog è un’opera visivamente e di contenuto elegante, sopraffina, sfumata e profondamente riflessiva, nonché anti-convenzionale e ambiziosa allo stesso tempo. La capacità dell’umano di farsi attrarre da discorsi con eterni e irrisolvibili dubbi (che danno addito agli scontri ideologici tra i personaggi) coinvolgono anche uno spettatore, immerso in uno spazio tanto singolare quanto inspiegabilmente dispersivo, seppur esso sia in superficie ben delimitato. Perché qui sbaglieremo nel definire – almeno soltanto – teatralizzare lo spazio filmico, bensì bisogna soffermarsi sul filosofeggiare, acculturare e riempire di più contenuti possibili la forma cinematografica; senza dire addio all’estetica, anzi essa deve ammaliare e aiutare il pubblico, eppure non deve nemmeno allontanarlo dalla sceneggiatura. Questo è il grande e rischioso lavoro effettuato da Puiu, e che lo si apprezzi o meno, sarà arduo, forse impossibile da dimenticare. 


  • Diretto da: Cristi Puiu
  • Prodotto da: Anca Puiu, Smaranda Puiu
  • Scritto da: Cristi Puiu
  • Tratto da: "I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo" di Vladimir Sergeevic Solov'ev
  • Protagonisti: Frederic Schulz-Richard, Agathe Bosch, Diana Sakalauskaité, Marina Palii, Ugo Broussot, Istvan Teglas
  • Fotografia di: Tudor Panduru
  • Montato da: Dragos Apetri, Andrei Iancu, Bogdan Zarnoianu
  • Casa di Produzione: Mandragora, Iadasarecasa
  • Durata: 200 minuti
  • Paese: Romania, Serbia, Svizzera, Svezia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord
  • Lingua: Francese, Russo, Tedesco, Ungherese

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