Cinema Il cine-occhio

Lacci

Stefano Valva

Allacciare le scarpe è un gesto talmente meccanico che sembra alquanto superficiale solo citarlo. Eppure, come ogni azione quotidiana che si compie, essa non deriva dal puro caso, bensì è frutto di un processo (almeno usualmente) di emulazione, in tal caso da parte del bambino, che di riflesso – osservando i genitori – apprende un movimento routinario.

Il modo con cui si esegue tale gesto collega metaforicamente  genitore–figlio, come se esso, oltre che materialmente, rappresentasse anche un significato metafisico di connessione visuale tra i due. Tale introduzione non è (almeno non solo) una presentazione del film chiamato appunto Lacci, ma introduce anche un pensiero che è descritto proprio in una sequenza, ove un padre – in uno dei pochi casi nel quale può essere tale – mostra ai piccoli figli come allacciarsi le scarpe nella maniera più corretta, o meglio alla sua maniera, ossia come ogni genitore vorrebbe che un figlio facesse una determinata azione, per una ricerca spasmodica e pericolosa di una rigorosa emulazione.

L’opera diretta da Daniele Luchetti ha inaugurato – fuori concorso – lo scorso festival di Venezia, ed è tratta dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone (che ha collaborato alla sceneggiatura), divenuto oramai un bestseller italiano. Se il racconto era ambientato negli Anni’60, qui invece ci troviamo negli Anni ’80, ossia nella Napoli dell’ascesa della criminalità organizzata, ove si sviluppa una storia di famiglia in deterioramento: Aldo è uno speaker radiofonico della RAI di successo, ed è in procinto di lasciare Vanda, l’ha pure già tradita con una collega, e decide definitivamente di lasciare moglie e figli per stabilirsi a Roma, non senza difficoltà gestionali conseguenti alla separazione.

Lacci si discosta in primis dalla tensione teatrale dei contemporanei marriage drama – titolo tra l’altro anche di un film del 2011 di Joe Burke – perché la narrazione (oltre ad essere basata su scene in parte intense, sul litigio, sul giudicarsi, sui caratteri e sulla rispettiva moralità tra i coniugi) è caratterizzata dal come il rapporto – che allo spettatore sembra quasi eterno tra Aldo e Vanda – si smuova nel tempo e nello spazio, in una sorta di intreccio temporale, che assomiglia proprio all’intrecciarsi dei lacci per tenere ben salda la scarpa, che diviene archetipicamente il simbolo del matrimonio. Come intrecciare i lacci per far sì che la scarpa regga?

Sarebbe solamente di natura tematica accostare l’adattamento di Luchetti ai vari Marriage Story, Revolutionary Road ed altri, i quali affrontano la crisi di coppia attraverso un segmento unico, che si sussegue in un tempo lineare e stabilito, ed oltretutto permeando le scene di uno scontro frontale perenne tra marito e moglie, tra due modi di pensare e recepire se stessi e l’altro: dall’analisi dei più banali gesti, allo studio delle più recondite pulsioni inconsce, come se ci si trovasse davanti ad uno scontro ideologico tra politici in corsa per una carica, che è qui per lo più uno scontro di varie nature, sia umana e culturale, sia antropologica e di genere.

Lacci invece no, è un insieme di frame, di frammenti, di differenti parti del decoupage, quindi dello status del rapporto tra vari anni della storia coniugale, che coinvolge anche i figli: fase giovanile e fase matura del contesto familiare, che ampliano la visione di un rapporto sterile, monotono, di accettazione, di rimorsi e di continuo giudizio sul sé. Eppure, allo stesso tempo è impossibile da mutare e da evolvere, figuriamoci da debellare o annullare, quasi come se lo stare insieme fosse frutto non solo del caso, ma anche di una sorta di maledizione, che non permette mai di lasciarsi, almeno non del tutto.

Diviene fondamentale la costruzione dei punti di vista, che avvicina Lacci più che ai film menzionati, ad una serie tv come The Affair, la quale basava le stagioni attraverso la divisione in soggettiva delle stesse sequenze (nelle prime seasons tra i coniugi protagonisti). D’altronde, tale peculiarità della pellicola ne diviene anche il punto debole, perché se The Affair costruiva sapientemente un proprio stile, ove la regia sui diversi punti di vista non è fine a se stessa, bensì è funzionale per le reazioni dei personaggi e soprattutto per sottolineare come uno stesso avvenimento, una stessa discussione, uno stesso evento, venissero metabolizzati e vissuti diversamente tra la coppia; ciò a Lacci non riesce del tutto, perché il ricorso scenico e temporale hanno principalmente valori completivi e di trama, e poco di caratterizzazione psicologica e/o emotiva dei personaggi, e del rapporto tra essi.

L’àncora di salvezza è il cast corale di altissima qualità, che rende le sequenze dialogiche senza dubbio coinvolgenti e riflessive per lo spettatore, soprattutto durante i flash-forward, ove le interpretazioni di Laura Morante e Silvio Orlando – sottolineati negli sguardi attraverso un campo contro campo, spesso rivolto verso le espressioni facciali in primo piano – aumentano il pathos, laddove avviene una sorta di sunto di coppia sul vissuto e sui rispettivi caratteri, in aggiunta ad un avvenimento costruito sul whodunit, che non impressiona il pubblico, ai fini dell’epilogo.

Diversa è l’impostazione nel periodo che dà inizio alla storia, ossia gli Anni ’80 interpretati dal duo Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher, ove Luchetti utilizza di più i campi lunghi e la profondità di campo, volte anche a inserire nella mise en scene le reazioni fisiche ed emotive dei figli, ossia di chi poi apparentemente è esterno, e che invece subisce una situazione che li condannerà ad un’instabilità psichica.

Apprezzabile tra l’altro la gestione delle luci e della scenografia, le quali sono le vere tecniche differenziali tematico/visive tra fase iniziale e tarda della storia matrimoniale: quella principale è caratterizzata da colori chiari, come la soleggiata Napoli, la città del sole dove non piove mai, oppure se piove significa che è “malacqua”, come esplicato con voce fuori campo; quella futura invece, improntata appunto di una fotografia scura, con la presenza anche di copiosi rovesci. L’alba irradiante e luminosa, in contrasto cromatico e spirituale ad un tramonto piovoso e tetro. L’inizio, il durante e il finale di una storia sentimentale tanto angosciante, quanto indissolubile. Amore, empatia, giovinezza e stimoli, che non si contrappongono, bensì sono i predecessori affascinanti e illusori dell’accettazione, della sopportazione, di una nostalgia delle scelte e delle inaspettate reazioni contrarie.


  • Diretto da: Daniele Luchetti
  • Prodotto da: Beppe Caschetto
  • Scritto da: Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Daniele Luchetti
  • Tratto da: "Lacci" di Domenico Starnone
  • Protagonisti: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno, Adriano Giannini, Linda Caridi, Francesca De Sapio
  • Fotografia di: Ivan Casalgrandi
  • Montato da: Daniele Luchetti, Aël Dallier Vega
  • Distribuito da: 01 Distribution (Italia)
  • Casa di Produzione: IBC Movie, Rai Cinema
  • Data di uscita: 02/09/2020 (Venezia), 01/10/2020 (Italia)
  • Durata: 100 minuti
  • Paese: Italia
  • Lingua: Italiano

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