Arti Performative Focus

Kilowatt Festival: un focus sulla danza tra ricerca di nuovi linguaggi e ritorno al passato

Roberta Leo

La diciottesima edizione del Kilowatt Festival, svoltosi dal 20 al 26 luglio a Sansepolcro (AR), ha volto lo sguardo alla danza e alle nuove frontiere della drammaturgia del corpo. Tra monasteri, abbazie e antichi palazzi del borgo che diede i natali all’artista rinascimentale Piero della Francesca, è stato proprio il convegno Micro e macro drammaturgie della danza (incontro pubblico organizzato in collaborazione con Anghiari Dance Hub) a concludere la manifestazione, nell’Auditorium Santa Chiara. L’intervento di studiosi e altri operatori del mondo della danza, tra cui il Prof. Alessandro Pontremoli e la studiosa Gaia Clotilde Chernetich, ha provato a fare luce sulla figura professionale ancora percepita come nuova, essendo in Italia poco conosciuta del dramaturg, una figura tanto versatile da essere guardata quasi con diffidenza. Ciò su cui ci si è interrogati, soprattutto, è la ricerca di un nuovo logos, di altre parole, o ancora, etichette, per definire la danza nelle sue nuove forme e integrazioni. La danza è cambiata: è vero. Oggi i suoi studiosi, preparatissimi e capaci, s’ingegnano per comprenderne significati, ratio e i scopi futuri. Stimolati da un necessario e indispensabile pensiero critico-analitico, hanno formulato ipotesi e spunti di ricerca su cui sicuramente vale la pena riflettere per farne, poi, derivare altri risultati e indagini. Oggi ci si pone di dinanzi a nuove frontiere, interessantissime. Tuttavia, sembra che questi argomenti di discussione, che hanno animato l’incontro domenica 26 luglio dalle 10.30 alle 17.30, decadano di fronte alla performance danzata che chiude la stessa giornata. Isadora Duncan di Jérôme Bel si presenta come una conferenza-spettacolo dal taglio scolastico e documentaristico basato sul libro autobiografico della stessa danzatrice americana pioniera della modern dance La mia vita. Ne deriva subito un ritratto ben definito della rivoluzionaria Isadora che, liberandosi di tutù e corpetti, ha gettato le basi della danza moderna intesa come piena libertà d’espressione. In scena, l’assistente del coreografo francese, Chiara Gallerani, come in una sala prove, ha introdotto gli assoli della danzatrice americana Elisabeth Schwartz, tra le principali eredi e promotrici della scuola duncaniana. Nonostante sia prossima ai settant’anni, Elisabeth danza con libertà e leggerezza. In lei si leggono chiaramente i principi della danza libera di Isadora Duncan: l’origine del movimento dal centro del corpo e, in particolare, dal plesso solare, il contatto dei piedi nudi con il suolo, l’uso di vesti chiare e leggere ispirate ai pepli greci, l’incessabile tentativo di riprodurre attraverso il corpo gli elementi presenti in natura e, soprattutto, le emozioni del danzatore. Ogni assolo viene prima introdotto e spiegato didascalicamente e poi mostrato dal vivo al pubblico; viene poi smembrato e analizzato nelle frasi coreografiche che lo compongono fino a giungere al processo della creazione. Ed è qui che, con molta naturalezza, si scopre che ad ogni movimento viene associata una parola, ad ogni sequenza di movimento un vocabolario (ecco il ritorno del logos) da cui nasce il pensiero, l’idea che, a sua volta, diventa movimento, danza. Onda, ondulazione, vortice, cercare qualcosa, tendere verso, vento, profumo, sono solo alcuni dei segmenti drammaturgici che hanno guidato la composizione della coreografia e che così vengono tramandati nel tempo. Lo spettacolo passa dall’elaborazione didattica alla dimensione poetica, proprio nel momento in cui vengono invitati sul palco otto volontari per riprodurre alcune sequenze, prima guidati dalle due donne e poi soltanto dalla musica: questa la massima espressione di quel principio duncaniano che voleva una danza democratica, ossia di tutti e per tutti. Ciascun corpo può esprimersi attraverso la danza, perché la danza è insita nell’essere umano. Ciò non prescinde dalla necessità tecnica e disciplinare del danzatore professionista, ma resta emblematico di come Isadora Duncan sia stata genitrice di una rivoluzione artistica, estetica e filosofica probabilmente destinata a ripetersi, forse ciclicamente, nell’arco di tutta la storia della danza. Ci sembra che occorrerebbe ritornare agli interrogativi posti dall’incontro sulla drammaturgia della danza, forse persino a un nuovo neoclassicismo, un recupero (piuttosto che una ricerca) di un’identità corporea. Quest’ultima è attualmente oggetto di studio dei danzatori e dei coreografi del nuovo millennio, ma l’errore che essi inconsapevolmente commettono è che tale identità vada ricercata all’interno del corpo e non al suo esterno. Nei laboratori coreografici, di improvvisazione, è ormai prassi che il conduttore chieda ai danzatori di ricercare una propria cellula di movimento, un’identità coreutica all’interno della quale individuare un mito originale attraverso un ragionamento a contrario. La sensazione che abbiamo oggi è che sia stato detto, pensato e “danzato” troppo e vi sia, quindi, un bisogno e un’urgenza di tornare a un punto “zero”. Per quanto evoluzione e ricerca, a prescindere dal campo al quale vengono applicate, rappresentino un progresso, questo continuo evolversi può risultare dannoso a lungo andare. O meglio, improduttivo. Così l’uomo-danzatore, continua a muoversi, pensando di assecondare le dinamiche sociali esterne, secondo un flusso rapido e inarrestabile. In realtà resta tristemente e inconsapevolmente fermo. Se la danza post-moderna ha mostrato alla sua base un’indagine basata sull’autoconsapevolezza del corpo, sulla cinetica e frutto di operazioni e scomposizioni matematiche e razionali, nella danza libera di Isadora, riprodotta in modo straordinariamente semplice, diretto, efficace e “moderno”, in un festival che guarda al “nuovo” e ai linguaggi contemporanei come Kilowatt Festival, la ricerca del movimento resta il richiamo di un qualcosa di naturale e insito nell’uomo. Viziati dall’ibridazione fra gli stili, i danzatori del nostro tempo sembrano, a confronto, tristemente confusi e inconsapevoli. Ciò che i corpi dovrebbero imparare a fare, forse, è superare la paura di muoversi, di sentirsi, di amare, per ritornare a danzare, tornare a una nudità originaria, ma consapevole e matura. Solo così il corpo sarà l’espressione armoniosa dello spirito.



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