Arti Performative Focus

“Danza in Rete”. Lo sguardo su un weekend di danza contemporanea a Vicenza

Roberta Leo

La città del Palladio si offre come scenario per ospitare la nuova danza contemporanea. Dal 13 febbraio al 4 maggio nella città di Vicenza ha luogo il festival Danza in Rete, diretto da Piergiacomo Cirella, Loredana Bernardi e Alessandro Bevilacqua. Promosso dalla Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e dalla Fondazione Teatro Civico di Schio, il festival si propaga nei luoghi e negli spazi urbani iconici di questi territori. Da oltre venticinque anni Vicenza cura il rapporto con la danza contemporanea seguendone le evoluzioni e tessendo reti importanti con artisti e operatori del settore nazionali e internazionali.

Emanuel Gat, “Lovetrain2020”. Foto di Riccardo Panozzo

Tra le varie tendenze la direzione artistica conferma sicuramente l’attualità della danza contemporanea israeliana ospitando il coreografo Emanuel Gat con il suo Lovetrain2020 al Teatro Comunale di Vicenza lo scorso 12 aprile. Si tratta di una vera e propria opera musicale in cui danze e colori esplodono gioiosamente. Questa creazione, composta sulla colonna sonora del duo britannico Tears for Fears, nasce durante la pandemia ma non sembra conservare nulla di quel periodo pieno di restrizioni in cui la danza sembrava poter esistere solo all’interno di un metro quadro. Ne risulta invece una danza sicuramente geometrica ma al tempo stesso ariosa che si dirama su una lunga diagonale lungo la quale i danzatori viaggiano ammassati in gruppo. Spesso e volentieri questa massa si distende su una riga orizzontale e avanza verso il pubblico attraverso movimenti semplici, piccoli passi ondeggianti, quasi un dondolio sul posto a cui ogni tanto si aggiungono variazioni delle braccia. Queste risultano a tratti squadrati, talvolta più sinuose. Thomas Bradley, danzatore della compagnia, cura anche i costumi. Predilige taglie oversize, morbide ed eleganti che assecondano le corse e i salti dei danzatori, i loro volumi e le loro forme. Ogni assolo diventa una storia a sé, un dettaglio, un vagone di questo treno in viaggio che si raccorda poi puntualmente in un’unica anima, un unico ritmo danzato, favoloso omaggio alla musica degli anni Ottanta.

YoY Performing Arts, “Fiori assenti”. Foto di Riccardo Panozzo

Il 13 aprile è la volta di Fiori assenti, performance ideata da YoY Performing Arts e in scena presso l’Odeo del Teatro Olimpico. La coreografia di e con i danzatori Emma Zani e Roberto Doveri si ispira all’omonimo ciclo di opere del pittore Albano Morandi, e firma anche l’elemento scenico della performance. Quest’ultimo consta di un’installazione dal sapore greco-classico. I due danzatori, vestiti di bianco, si muovono, infatti, tra i pilastri di un colonnato costruito su una panca. Svettano verso l’alto come forme scultoree ben definite ma che, animate dalla dinamicità dei danzatori che vi si muovono intorno, rimandano allo sbocciare dei fiori di un giardino ideale. La loro danza sa di fresco, di nuovo, ha il sapore di una rinascita primaverile rigogliosa nonostante sia fatta di piccoli gesti intimi, delicatissimi. La coreografia si basa su un rapporto puntuale tra i due danzatori fatto di specularità e incastri, come se l’uno fosse un blocco necessario al sostegno e alla struttura dell’altro. Il tutto poggia con grazia sulle note di Timoteo Carbone con un unico tema apparentemente privo di accenti ma che si ripete più e più volte con variazioni seguendo i dettami del minimalismo coreografico e musicale.

Chiara Ameglio, “Chora”. Foto di Riccardo Panozzo

Si procede con la prima nazionale di Chora. Variazione nomade sul vuoto, creazione di Chiara Ameglio in scena allo Spazio AB23 di Vicenza, un luogo intimo dove la stessa coreografa interpreta il suo lavoro, un dialogo del corpo con la luce, il silenzio, il vuoto. Chiara Ameglio è un fascio di nervi. Atletica, quasi ginnica, il suo sembra un rituale di preparazione a una performance, un allenamento in cui cerca di sfidare dei limiti con movimenti tuttavia piccoli e minimali. Eppure la tensione di ogni gesto lascia trapelare il senso di una danza, sicuramente tendente all’astratto, ma mossa da una ricerca, una scienza che studia le infinite possibilità del movimento.

Jacopo Jenna, “Danse macabre!”. Foto di Riccardo Panozzo

La serata si conclude con Danse Macabre! di Jacopo Jenna. Dal dialogo tra il pubblico e il coreografo che segue la performance (al Teatro Comunale) si comprende come il lavoro sia il frutto di molteplici referenze culturali e di una ricerca raffinata sui concetti del macabro e della morte. I riferimenti sono appunto variegati. Dalla letteratura al cinema, dalle luci psichedeliche alla musica elettronica, lo spettacolo scorre come una pellicola cinematografica con tanto di titoli di film e canzoni ma anche veri e propri sottotitoli e voci che guidano lo spettatore in questo viaggio visionario. L’enorme schermo proietta gli stessi danzatori (Ramona Caia, Andrea Dionisi, Francesco Ferrari e Sara Sguotti) presenti in scena e riporta i loro movimenti con tanto di raccordi e primi piani. Così l’elemento filmico si frappone tra il testo e la danza. Il macabro viene sviscerato nella sua forma di espressione dinamica e nella sua storia, attingendo alla radice della danza macabra, alla danza delle streghe, o ancora all’ignoto, al sogno, all’irrazionale. Dalle carole medievali, alle pantomime con brevi cenni alla danza classica, i danzatori accompagnano i loro movimenti con delle smorfie grottesche che deformano i loro volti. È quasi come se tra le linee sinuose e pulite affiorasse dall’interno del loro corpo ciò che è ignoto, che inquieta e, al tempo stesso, affascina; creando una danza macabra tutta moderna, il ritratto proibito di una generica angoscia sociale.

[Immagine di copertina: “Danse macabre!”. Foto di Riccardo Panozzo]



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti