Cinema

In Focus. “Whiskey Tango Foxtrot”: La guerra sullo schermo

Fausto Vernazzani

Il problema della guerra nel cinema statunitense contemporaneo, un oggetto trattato con troppo cautela dagli autori odierni. 

Comunicare la guerra è difficile, comunicare qualunque realtà la cui voce è quella del dolore non è mai facile. Abbiamo avuto registi coraggiosi come Francesco Rosi, Roberto Rossellini, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Oliver Stone e Kathryn Bigelow a rappresentare il costante orrore della guerra, ma negli ultimi anni, eccetto appunto l’autrice di The Hurt Locker sembra difficile riuscire a trovare un autore/produttore capace di mettere in scena un discorso pregnante o costruttivo sul profilo artistico su questo tema.

Potrà sembrare assurdo intavolare un discorso simile partendo da Whiskey Tango Foxtrot, l’ultima commedia di John Requa e Glenn Ficarra, ma la guerra non è mai stato un soggetto tabù né da prendere sotto gamba anche per la commedia: Forrest Gump non ci andò leggero, M*A*S*H era satira bollente. Normale dunque, nel bagaglio delle proprie aspettative, credere di trovare in un film biografico su una corrispondente di guerra a Kabul un qualche segnale di rilievo lanciato anche solo come contorno dell’opera.

L’Afghanistan è sullo sfondo, ripreso dal vero – gli occhi dritti nella cinepresa alla scena dell’arrivo a Kabul sembrano essere sinceri -, ma mai preso sul serio: le vicende dei soldati USA, l’esser diventata una guerra di seconda mano dopo l’invasione dell’Iraq, l’enorme passo indietro nel rispetto dei diritti umani e il generale torpore economico della società afghana sono solo un background esotico per una commedia pseudo-romantica. Romanticismo inteso come scoperta della propria persona e ritrovamento delle proprie priorità.

Hollywood ha forse perso lo spirito critico? Non è da escludere se lo stile di Whiskey Tango Foxtrot è quello predominante nel trattare i temi legati alla guerra. Potremmo persino azzardare che dopo The Hurt Locker il primo Iron Man diretto da Jon Favreau fu il più coraggioso: puntare il dito contro sé stessi, venditori di armi tanto al nemico quanto all’amico, ma anche in quel caso, il colpevole più che gli USA lo erano i privati.  Eppure il tema è caldo, lo dimostra l’enorme successo di American Sniper di Clint Eastwood.

Il texano dagli occhi di ghiaccio fu però tutt’altro che critico nei confronti della guerra: per quanto lui stesso definì il suo un film contro, a conti fatti risultò essere solo antagonista del sistema con cui vengono curati i ragazzi inviati in guerra nel Medioriente, senza tutele né in loco né a casa. Proprio questo sembra essere il tema di riferimento: il ritorno a casa dei soldati; il cinema USA ha scelto di imitare Taxi Driver e Il cacciatore, ma mai e poi mai concentrarsi troppo su quanto accade sul territorio di scontro. Siamo ciechi.

Whiskey Tango Foxtrot, biopic della giornalista Kim Baker, in Afghanistan dal 2003, sembrava una buona occasione per dare maggior peso alla popolazione e al rapporto con le truppe statunitensi, ma le due cose sono sorprendentemente distanti tra loro: persino le immagini più cruente, come l’attacco di un drone USA, sono descritte senza alcun peso critico se non contro l’industria mediatica. Ma se i media siano da accusare oppure osservare a dovere, non è chiaro: Whiskey Tango Foxtrot imita The Hurt Locker, film sulla “droga”.

La guerra dà assuefazione, il cinema USA si schiera come pubblicità progresso, le vittime sono in secondo piano, viste da lontano con le videocamere dei servizi segreti oppure attraverso gli occhi dei droni in volo sui cieli dell’Afghanistan, Pakistan, Somalia e altri paesi ancora. Chi è riuscito nell’impresa, senza purtroppo i mezzi sufficienti per produrre un’opera di rilievo, è stato Brian De Palma con Redacted, un Leone d’Argento alla Regia per un found footage sugli orrori commessi (e dunque subiti) dalle truppe in Medioriente.

Gli Stati Uniti sembrano non avere più voce sufficiente né il coraggio di schierarsi, tanto a favore quanto contro, se non col genere documentario. In questo senso vien d’obbligo consigliare due titoli illuminanti: primo è il danese Armadillo di Janus Metz, secondo, anche in memoria del co-regista e fotoreporter Tim Hetherington, ucciso mentre faceva il suo mestiere in Libano (come altri prima e dopo di lui), è Restrepo. Diretto anche da Sebastian Junger, è forse l’opera migliore sulle guerre in atto oggi in quei territori.

Dobbiamo chiederci se dovremo aspettare degli anni prima che il cinema riesca a parlare a dovere di quanto è accaduto con la lotta al terrorismo, se le battaglie contro i Talebani e Saddam Hussein saranno mai viste dal cinema come un tempo Coppola raccontò il Vietnam. Lungi da noi voler paragonare i due conflitti, il senso storico della guerra nel Sud Est Asiatico è ben diverso, ma il cinema sembra non averlo colto: non riesce a trovare lo sguardo giusto per affrontare il nuovo, né pare averne l’intenzione. Ora come ora è lo sfondo ideale per una commedia con Tina Fey, Margot Robbie e Martin Freeman.


Dettagli

  • Titolo originale: Whiskey Tango Foxtrot
  • Regia: Glenn Ficarra, John Requa
  • Anno di Uscita: 2016
  • Genere: Biografico
  • Fotografia: Xavier Grobet
  • Musiche: Nick Urata
  • Costumi: Lisa Lovaas
  • Produzione: USA
  • Cast: Tina Fey, Margot Robbie, Martin Freeman
  • Sceneggiatura: Robert Carlock, Kim Barker

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti