Libri

“Chiedi al tuo corpo. La ricerca coreografico-pedagogica di Adriana Borriello”

Roberta Leo

La testimonianza di Adriana Borriello, danzatrice e coreografa formatasi all’École Mudra di Maurice Béjart e primo elemento della compagnia Rosas di Anne Teresa de Keersmaeker, è oggi una voce importante, unica in Italia, per la danza contemporanea del nostro paese. La sua esperienza, prima di allieva e poi di danzatrice e coreografa, porta all’elaborazione di un personale metodo pedagogico-compositivo che viene presentato in un volume prezioso edito da Ephemeria dal titolo Chiedi al tuo corpo. La ricerca di Adriana Borriello tra coreografia e pedagogia, di Adriana Borriello, Ada D’Adamo e Francesca Beatrice Vista. Il libro è una sorta di manuale di comunicazione personale e corporea e comprende un’introduzione a cura di Ada D’Adamo e una postfazione di Alessandro Pontremoli sulla pedagogia della danza, in cui si spiega come “a domanda il corpo risponda”. Diviso in tre parti, Chiedi al tuo corpo è scritto con un flusso che va dal generale al particolare, ossia dal macroscopico al microscopico. Ogni autrice dà una lettura del lavoro di Adriana secondo il proprio punto di vista e le personali esperienze formative.

Emerge dalla prima parte, prettamente biografica e redatta secondo l’approccio storico di Francesca Beatrice Vista, l’importanza di una doppia formazione in due grandi scuole, quelle di Maurice Béjart e Anne Teresa de Keersmaeker, che negli anni Settanta e Ottanta si affermavano sulla scena europea. La danzatrice, coreografa e pedagoga Adriana Borriello, pur avendo elaborato un proprio metodo e, per dirla con le parole di Pontremoli “una cifra personale in bilico tra formalismo e passionalità mediterranea”, può essere considerata un “contenitore filosofico” in cui confluisce il pensiero di queste due scuole che in lei s’incontrano e si fondono. Attraverso la sua opera e il suo metodo pedagogico Borriello porta avanti queste due eredità amalgamandone i principi nella sua coreografia e pedagogia.

Figlia della scuola bejartiana che voleva formare un danzatore di “teatro totale” ma anche del minimalismo e formalismo americano e nord-europeo di Anne Teresa de Keersmaeker, Adriana fa propria la necessità di guardare alla danza e al cosmo come a un sistema costruito sulle opposizioni. Gli studi di musica, filosofia e tai chi concorrono a rafforzare in lei quest’idea di dualità e la presenza di legami, contraddizioni, tanto nelle arti (pittura, danza, musica) quanto nella vita, perché l’esistenza umana non può prescindere dalla filosofia: sapere e cultura si presentano in tutte le azioni quotidiane.

La conversazione condotta da Ada D’Adamo con la coreografa campana esplicita, nella seconda parte del volume, i punti salienti di questa ampia formazione e spiega come la matrice filosofica e orientale, insieme agli studi sul ritmo, sia stata fondamentale per sviluppare il suo metodo di ricerca. “Sentire”, “percepire” e, soprattutto, “pensare” il movimento sono esperienze che non possono discostarsi dal danzatore o dal coreografo. Secondo la studiosa, tramite tali percorsi “è possibile ritrovare la relazione tra funzione, intenzione e atto che sta all’origine del movimento e annullare le barriere tra le tecniche e gli stili. Il risultato è un esercizio di estrema semplicità ma per questo molto difficile da praticare perché richiede una purezza d’approccio e una ricerca della verità di ogni minimo atto, tale che qualsiasi scorciatoia viene annullata”.

La terza parte del libro, oltre a raccogliere le partiture coreografiche e appunti di notazione dei lavori della coreografa, si tuffa letteralmente nel suo metodo e nel suo pensiero. Infatti, quest’ultima sezione ricomprende pienamente questo sistema costruito sulle opposizioni. Per Adriana la danza “è uno strumento di comprensione e conoscenza, a tutto tondo, un modo di stare al mondo. L’esperienza profonda del movimento attraverso la danza e il tai chi, coniugando l’approccio mentale e spirituale, varca i confini del corpo espandendosi nell’oltre e permette di percepire e capire il movimento del tutto, cioè l’esistenza stessa nelle sue diverse forme e manifestazioni, ai vari livelli secondo le sue leggi che informano il micro e macrocosmo”. Rifacendosi alla prima delle sette necessità, ossia Bisogna che io vi dica che il mio corpo è curioso di tutto e io: io sono il mio corpo, enunciate nel Manifesto Artistico dei coreografi Emio Greco e Pieter C. Sholten, Borriello sottolinea come l’essere, l’identità di ciascuno, coincida con il proprio stesso corpo. Ovviamente ciò presuppone l’elaborazione di un metodo aperto, elastico, basato sul continuo dialogo con se stessi e con gli altri, in altre parole, un metodo predisposto all’ascolto. Per Borriello il movimento va vissuto come un’esperienza sinestetica, in quanto fine a se stessa e percepibile attraverso la molteplicità dei sensi. Infatti, il movimento lega tra loro varie sfere dell’Essere e può percepirsi come tocco, suono, gusto e olfatto, visibile all’occhio all’orecchio e alla pelle.

Degna di nota è la necessità, ereditata da de Keersmaeker, di scrivere, o meglio, annotare le parole del proprio vocabolario coreografico seguendo la scia della notazione labaniana. Dando un nome all’azione e al movimento non solo si riesce a descrivere dettagliatamente ciò che “sente” il corpo, ma si può anche “costruire la propria storia e identità corporea nel suo fare naturale, sociale culturale e artistico”. Dalla terminologia coreografica di Adriana Borriello si nota come il suo metodo sia fondato sulle relazioni intercorrenti tra movimenti tra loro diametralmente opposti: muoversi e fermarsi, tendere e distendere, presenza e assenza, pesante e leggero, vicino e lontano, luce e buio, crescendo e diminuendo, ripetizione e cambiamento. Le parole sono, dunque, il mezzo linguistico di cui il corpo si serve per comunicare attraverso la coreografia. Il metodo di Borriello, quindi, consiste in tre concetti e temi di lavoro che investono la corporeità. È una summa della visione del corpo nella sua sfera ontologica, musicale e antropologica: la prima indaga sulla fisiologia, fisicità e funzionalità corporea, tracciando una vera e propria grammatica del movimento; la seconda indica l’organizzazione spazio-temporale del movimento corporeo come musica che si vede e si sente, strutturandosi come sintassi del movimento; la terza guarda all’essere umano nella sua totalità, nella sua dimensione individuale e collettiva come espressione di ciò che l’ambiente socio-culturale gli imprime.

Il merito del volume è sicuramente quello di far emergere una dualità del corpo inteso come corpo ontologico ma anche antropologico, entrambi collegati dal corpo musicale, e quindi, dall’identità tra suono e movimento, tra il linguaggio musicale e coreografico. L’uomo, il suo corpo, il suono e il movimento stessi sono la danza.



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