Cinema Il cine-occhio

Athlete A

Stefano Valva

Il caso ad Hollywood su Harvey Weinstein – oltre ad essere stato un evento mediatico e di cronaca rilevante – ha invogliato ancor di più la produzione cinematografica e seriale a realizzare film/serie tv su casi e su storie di abusi subiti dalle donne (opere che, aldilà della vicenda del produttore americano, si stavano già espandendo all’interno dello star system).

Prodotti ove le donne ricercano il coraggio e lottano contro un sistema culturale e professionale che negli anni è stato implicitamente sessista, in una nazione come l’America che si è costantemente etichettata, sia ideologicamente, sia strutturalmente, come un paese d’avanguardia e dal quale prendere esempio.

Se quest’anno sia il film Bombshell sia la serie televisiva The Loudest Voice, sono stati – di riflesso – due opere che si sono soffermate sulla tremenda vicenda delle molestie sessuali, subite per decenni dalle giornaliste di Fox News, Netflix invece (molto attivo su tutti i temi cardine del politically correct) dal 24 giugno propone on demand un documentario sulle violenze sessuali, in un mondo solitamente valutato come genuino ed educativo, ossia quello dello sport, e nello specifico della ginnastica femminile.

Athlete A è un documentario su un’inchiesta, condotta dai giornalisti dell’Indianapolis Star, i quali hanno scoperto i lati oscuri della grande associazione nazionale di ginnastica statunitense (USA Gymnastics), partendo nel microcosmo dalla storia personale e professionale di Maggie Nichols, una celebre campionessa di ginnastica, che all’improvviso – per cause all’epoca misteriose – vide crollare a picco una florida carriera da atleta olimpionica.

Come in svariate storie, dal particolare si arriva al generale, e la ricerca porta a galla tremendi aneddoti, che coinvolgono buona parte dello staff tecnico (allenatori, medici, fisioterapisti), con un comportamento omertoso di molti (perfino del presidente), sia di uomini, sia di donne, per un’insulsa solidarietà, così da mantenere a galla l’apparenza, ossia l’immagine pubblica della USA Gymnastics.

Il documentario, diretto a quattro mani da Bonni Cohen e Jon Shenk, ha una direzione classica: scene amatoriali che si aggiungono a video di repertorio; interviste; voci narranti in e fuori campo; racconto didascalico sulla storia della ginnastica statunitense e sulle sue mutazioni. Tale parte diviene tra le altre interessante sul come misteriosamente le federazioni hanno cambiato il modus operandi negli anni, approntando una politica del controllo ossessivo (per avvalorare l’originaria teoria nietzschiana del super-uomo), puntando tutto su atlete di piccole età, così da seguirle meticolosamente; d’altronde, tale approccio comporta gravose conseguenze psico-fisiche per le campionesse durante l’arco di crescita anagrafica ed umana.

Quello che colpisce di più – in Athlete A, come in narrazioni affini – è un processo evolutivo, ossia ascendente, per una lotta al sistema: inizialmente le donne – in tal caso delle bambine – sono lasciate alla mercé di molestatori e omertosi, che hanno il consenso e l’appoggio delle famiglie, le quali si fidano ciecamente di una federazione nazionalizzata. Le ragazze dopo tali eventi scabrosi, entrano in un pericoloso vortice di solitudine, di introversione, di negatività, di accettazione di stili di vita, che dovrebbero essere solitamente repressi. Tale situazione ne complica la vita interiore e quella professionale, l’emotività e l’aspetto relazionale, senza che nemmeno esse e chi vive intorno a loro se ne accorgano. Eppure scatta – anche dopo tanto tempo – una rivendicazione (grazie anche a fattori o persone esterne) che smorza tale solitudine, e fa partire l’era della lotta, della solidarietà femminile, del riscatto, e dell’accettazione di sé stesse, tra gioie e dolori, ricordi e traumi, fallimenti ed affetti.

Dalla solitudine si arriva alla solidarietà appunto, ed è bene chiarirlo, tali storie non hanno un happy ending, non sono delle favole. Nella vita reale, esse possono ottenere determinate vittorie, ma sono inevitabilmente condite dall’accettazione e dal superamento dei traumi, impossibili da cancellare.

Un percorso in salita, per ottenere giustizia e snaturare le peculiarità negative di una società costruita sull’apparenza e sugli slogan, sulla forma e non sulla sostanza, soprattutto in ambienti così pubblici, ove il mantenimento dell’immagine conta più della vita delle persone, della vita ossia delle atlete, la quale dovrebbe avere invece la priorità su ogni cosa.

Athlete A è un documentario sfacciato, nostalgico, riflessivo e malinconico. Seppur abbia un linguaggio tradizionale e storicamente insediato come format documentaristico, il tema non può che far coinvolgere un pubblico, che si immerge in profondità in contesti, visti sempre e solo in superficie. Se il cinema può essere (e lo è stato) oltre ad un’arte estetizzante, anche un supporto per sensibilizzare le masse, addirittura per influenzarle direttamente (vedi nell’era classica quello dei formalisti russi, o quello di propaganda all’interno delle nazioni con dittature totalitarie), perché sostanzialmente il mezzo è il messaggio, per dirla alla McLuhan.

Se il villain principale della vicenda è il medico Larry Nassar (il quale occultava le manie da molestatore e pedofilo attraverso il suo lavoro, che lo portava per forza di cose a stretto contatto con le atlete), la positività quindi che si contrappone a tale barbarie è l’amore per lo sport, ossia quel sentimento viscerale verso una pratica che per quelle ragazze è intramontabile, perché le rende libere, felici e spensierate. L’amore per lo sport si oppone alla malvagità, ai fallimenti, ai rimorsi, ai contesti destabilizzanti, all’ipocrisia.

Amare lo sport, per apprezzare sé stesse e la vita, ed essere donne fiere, tal volte assoggettate da una logica culturale – ancora vigente nei tempi moderni – incivile e disumana, ma pur sempre donne libere, libere di aiutarsi, di reagire, di riscattarsi, di donarsi e di amare chi realmente lo merita.

 

 

 

 


  • Diretto da: Bonni Cohen, Jon Shenk
  • Prodotto da: Serin Marshall, Jen Sey, Julie Parker Bonello
  • Musiche di: Jeff Beal
  • Montato da: Don Bernier
  • Distribuito da: Netflix
  • Casa di Produzione: Actual Films
  • Data di uscita: 24/06/2020
  • Durata: 104 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese

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