Cinema Il cine-occhio

The Mustang

Stefano Valva

Laure de Clermont-Tonnerre – bravissima attrice francese, che molti ricorderanno per la sua interpretazione in Adele di Luc Besson – esordisce alla regia con un film presentato allo scorso Sundance Festival, ossia The Mustang.

I mustang sono dei cavalli selvaggi molto possenti che vivono nelle lande desolate dell’interno degli Stati Uniti, e vengono solitamente catturati da allevatori o da enti statali per essere rivenduti all’asta o per essere inseriti in un programma di lavoro riabilitativo nelle carceri, costruito ad hoc per i criminali che stanno scontando le rispettive pene.

Il secondo caso è proprio quello da cui parte il film, ove Roman Coleman – interpretato dall’attore belga Matthias Schoenaerts – è costretto ad entrare in contatto con un animale di quella razza per cavalcarlo durante un’asta di compravendita, gestita dall’allevatore Myles (Bruce Dern), un veterano lavoratore da ranch, che collabora con il carcere dove Roman è rinchiuso da ben dodici anni, per un crimine del quale lo spettatore ne sarà sempre all’oscuro.

Una bella rogna per un soggetto pieno d’ira, di nevrosi, e dai complicati rapporti umani – anche con quei pochi familiari che lo vanno a trovare, e l’unica cosa che lo riesce a smuovere emozionalmente è la foto della figlia – allacciare una relazione stretta in primis con qualcosa che egli ritiene come uno “stupido animale”, ed in particolare con una razza anch’essa piena d’ira e di diffidenza verso l’altro.

Una missione quasi impossibile, insieme a quella di reintegrare attraverso terapie di gruppo varie figure di criminali diverse, per portarli ad una sorta di redenzione e di scoperta di un nuovo modo di essere, aiutandoli ad intraprendere una nuova vita, almeno psicologicamente. Delle prerogative della società moderna, che vengono sottolineate nella pellicola dalla regista. E se per Roman inizialmente i rapporti con un semplice cavallo vanno di pari passo con quelli con gli umani, piano piano comincerà a capire che c’è un’intrinseca profondità tra un uomo e un animale come il cavallo, che d’altronde spesso il cinema ne ha voluto esaltare le gesta e la profonda amicizia con l’uomo; a partire dal classico campo d’azione del western, ai film di storia antica, o ancora nel cinema contemporaneo con pellicole come War Horse di Steven Spielberg ed altre dove il cavallo è un personaggio tanto principale, quanto lo è l’uomo.

Un legame intenso, indissolubile e storico anche tra due razze di due esseri viventi, apparentemente fredde e nevrotiche, che mirano soltanto ad una sofferenza in solitudine del proprio vissuto e delle proprie esperienze, perché in fondo sia Roman che il suo Mustang (che egli chiamerà Marquis) sono uniti nel trovarsi in carcere, sono entrambi rinchiusi e senza libertà; il primo per colpe personali, il secondo per colpa di essere soltanto un oggetto, da cui ricavarne un grosso guadagno.

Ed è una sorpresa nel contesto cinematografico contemporaneo come una regista francese si soffermi sul rapporto fra un uomo burbero ed un animale di indole violenta, andando oltre i canoni di una narrazione da ultra-femminismo; dimostrando anzi che le registe femminili vanno oltre questo, e possono essere duttili cinematograficamente alla stessa maniera dei maschi, e quindi affrontare sensibilmente tematiche che solo apparentemente sono lontane da una loro poetica artistica.

Tutto ciò lo fa anche con una direzione visivamente godibile: in primis una fotografia deliziosa, che mette in risalto il caldo, l’aridità e la bellezza rupestre delle campagne americane. Poi, delle inquadrature di scena piene di campi lunghissimi in carrellata fin dalla prima sequenza del film, volte a dare sia una bellezza scenica all’occhio dello spettatore, sia a proporre quel senso di libertà, di godimento della natura, che per tutto il film Roman e Marquis immagineranno nei loro sogni e nelle rispettive speranze.

E alla fine la regista sottolinea con una scelta chiara e costante come le terapie, i rapporti umani e le situazioni quotidiane che Roman vive, sono solo degli espedienti. È invece il rapporto col suo Mustang, l’obiettivo di cavalcarlo, di avviare una connessione sincera e pacifica con lui, il vero motivo per un riscatto dell’animo, che lo aiuti successivamente a riallacciarsi anche con quelli della sua razza, gli umani.

The Mustang si inserisce insomma in un contesto filmico dalle profonde digressioni psicologiche, ove il rapporto uomo – animale serve a capire ed analizzare mnemonicamente entrambi, a comprendere cosa si nasconde dentro un’ira selvaggia e delle peculiarità caratteriali così negative, partendo dalla superficie (che in una società spesso “superficiale” – come quella tecnologica e virtuale odierna – si fa fatica ad andare oltre dei giudizi preliminari verso chiunque), per scendere finalmente nel lato più inconscio e profondo di una persona, perché anche il peggiore dei criminali nasconde una variegata ed inaspettata psiche (ed una serie su Netflix come Mindhunter lo sta raffigurando scrupolosamente).

Profonde digressioni psicologiche, che al di là dei meriti della regista coinvolgono lo spettatore anche per le interpretazioni di Matthias Schoenaerts, che gioca in casa e prende a sé un personaggio cupo, introspettivo e scontroso (come gli è capitato già altre volte in svariate pellicole), e poi di Bruce Dern, che da veterano è in ottima simbiosi nei panni di un anziano americano country che conosce perfettamente sia gli uomini, sia i cavalli.

Dispiace infine come una pellicola piena di elementi e di spunti sia costretta nel complesso ad abbandonare alcune postille narrative, come i rapporti mai tanto chiari allo spettatore tra Roman e il suo crimine, e tra Roman e la sua condizione familiare, e inoltre la delicata situazione sociale nelle carceri. Tutte situazioni di contorno, che durante il minutaggio si intrecciano con poca costanza all’interno del plot principale. Troppo forte era la tentazione per Laure de Clermont-Tonnerre di soffermarsi esclusivamente sul rapporto fra Roman e Marquis, e fra loro stessi.

The Mustang parla senza soste di rapporti, di rimpianti, di redenzione, e di sofferenza fisica e psicologica. Ogni rapporto può essere speciale e profondo, anche quello con un’animale, anzi spesso sono ancora più intensi di quelli con gli umani, perché spesso proprio quegli animali ascoltano più di chiunque altro. Ed è proprio questo il fondamento per un importante approccio relazionale: ascoltare e dedicarsi all’altro, prostrarsi e aprirsi a lui, soffrire e condividere esperienze con lui. Esaudire il sogno di un altro può diventare infine tanto appagante, quanto lo è riuscire a realizzarlo per sé stessi.


  • Diretto da: Laure de Clermont-Tonnerre
  • Prodotto da: Alain Goldman
  • Scritto da: Laure del Clermont-Tonnerre, Mona Fastvold, Brock Norman Brock
  • Protagonisti: Matthias Schoenaerts, Jason Mitchell, Gideon Adlon, Connie Britton, Bruce Dern
  • Musiche di: Jed Kurzel
  • Fotografia di: Ruben Impens
  • Montato da: Géraldine Mangenot
  • Distribuito da: Focus Features (USA)
  • Casa di Produzione: Légende Films, Umedia, Ufund, Canal+ Cine+, Nexus Factory
  • Data di uscita: 31/01/2019 (Sundance), 15/03/2019 (USA)
  • Durata: 96 minuti
  • Paese: Francia, Belgio
  • Lingua: Inglese

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti