Cinema

Bacurau + Intervista a Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles

Franco Cappuccio

In Bacurau, un paese remoto e isolato viene attaccato da un piccolo gruppo di forestieri armati e assistiti da droni. Il sertão, o zona remota, dove l’azione si svolge, è stato spesso in evidenza nell’arte e nella cultura popolare brasiliana come un territorio dimenticato, non mappato e arido. È il selvaggio West del paese – un vasto panorama segnato dalla conquista violenta e dalla resistenza del popolo indigeno e dei quilombos neri (comunità storicamente create da schiavi in fuga).

Il nuovo film di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles ha vinto il Premio della Giuria a Cannes dell’anno scorso, protagonista di uno dei due momenti da far rizzare i capelli del festival. Entrambi avvengono quando il dramma sociale – nel complesso dei suoi parametri relativamente riconoscibili e confinabili – si trasforma nella spaventosa azione di genere degli uni contro gli altri. Uno avviene nel devastante Parasite di Bong Joon Ho, quando la povera famiglia in lotta assalta coloro ancora meno fortunati di loro. L’altro avviene in Bacurau, quando gli abitanti della città conviviale, quasi utopica – dove regnano la tolleranza e l’amore libero, e i bravi paesani si riuniscono per commemorare la loro deceduta matriarca nera, Carmelita – all’improvviso scoprono di essere sotto attacco. Immediatamente tolgono dalla polvere la loro scorta di armi, e non appena iniziano a difendersi senza pietà, scoppia il massacro.

Uno potrebbe chiamare la sequenza un carnevale di sangue, in quanto lo spettacolo messo in scena da Mendonça e Dornelles sembra così estremamente performativa, accresciuta dall’uso del widescreen. Come Bong, il duo di registi ci presenta protagonisti la cui umiltà non segnala in alcun modo la ferocità del loro contrattacco. Ma una volta che l’orrore è stato sguinzagliato e Bacarau mette le marce alte, dalla esposizione complessa al western ricco di sangue a tutto gas, sembra come se le immagini ti scioccassero il sistema nervoso. Ma in modo ugualmente rapido, quasi misterioso, è la volontà dei paesani degli abitanti del paese ad andare avanti. Bacurau è un posto segnato dalla violenza, e tuttavia il suo nucleo etico rimane: vivere e lasciar vivere.

Chi sono questi guerrieri di Bacurau? Tra i personaggi degni di nota del paese c’è Domingas (Sonia Braga), la sfrontata chirurga locale e bevitrice incauta e chiacchierona – un ruolo degno di nota per la Braga, le cui recenti performance avevano spesso battuto sulla sensualità, ma che questa volta è più megera che musa. Anche se molto più equilibrata, l’anima affine di Domingas è la nipote di Carmelita Teresa (Bárbara Colen, che aveva interpretato la versione più giovane della protagonista di Braga, Clara, nell’opera seconda di Mendonça, Aquarius del 2016). Il suo ritorno fortuito dalla città è speculare ad un regresso similare compiuto dal suo amante occasionale, Acácio (precedentemente conosciuto come Pacote, un pericoloso killer a contratto) – un dettaglio che suggerisce che il paese ha una presa eterna su tutti i suoi abitanti. Acácio è solo uno dei tanti personaggi che si rivelano essere tanto straordinari quanto sono elusivi – lo stesso può essere detto dello stravagante ma estremamente adorabile bandito queer, Lunga (Silvero Pereira). Tutti, comunque, sono velocemente assorbiti nel nido comune di Bacurau. Come la danza capoeira, la logica di Bacurau, il suo vero battito vitale gira intorno all’azione collettiva, dentro e fuori al campo di battaglia.

Nella sua valutazione storica, Bacurau condivide parti del DNA con il Cinema Novo e con il manifesto della “povertà pornografica” di Carlos Mayolo e Luis Ospina che, assieme alla precedente estetica della fame di Glauber Rocha, ha formato il discorso critico sul cinema Latino Americano negli scorsi decenni. Tematicamente, Bacurau è un correttivo a certi film etnografici che, fin nel recente passato, avevano troppo spesso incorniciato i personaggi non occidentali come passivi o “semplici”. Ma stilisticamente, è più vicino a Pura Sangue di Ospina – un’eviscerazione della mentalità coloniale contemporanea che, come Bacurau, paga uno splendido e ambiguo omaggio a Hollywood.

In un bel tocco riflessivo, la città di Bacurau ha il proprio museo, che riflette una lunga storia di conflitti coloniali; gli ultimi combattenti sono i clienti dei safari in cerca di emozioni, che cacciano umani invece che un gioco. Sono guidato da un cinico approfittattore tedesco-americano (interpretato con zelo da Udo Kier), la cui rapacità colonialista e la logica fredda ed approfittatrice lo rendono un parente stretto del Kurtz di Conrad. Gli abitanti di Bacurau rispondono al fuoco con gusto. In una scena degna di nota, un anziano contadino nero fa saltare le cervella ad un aggressore bianco – una difesa fulminea il cui spargimento di sangue da B-movie tende a suscitare sussulti di stupore. Il crescendo drammatico echeggia il finale dell’opera prima di Mendonça, Il suono intorno, in cui una sparatoria da il via ad una serie di azioni oppressive che si estendono attraverso le generazioni: un patriarca bianco a Recife viene confrontato dal suo uomo della sicurezza, le cui radici nell’entroterra e nel trauma della violenza scatenata sulla sua famiglia danno il là a un finale vendicativo ed indimenticabile. Allo stesso modo, anche se Bacurau è ambientato in un vicino futuro, si parla soprattutto del passato, fuori e dentro lo schermo.

In questo senso Bacurau – come i western americani di Ford e Hawks – trabocca di complessità morali a causa del suo voler abbracciare i generi, non nonostante. Vedere i suoi protagonisti glorificati dal widescreen – un’ampia tavolozza di facce, corpi, colori della pelle e superfici diverse – vuol dire sentire la forza innata ma anche le contradizioni intrinseche delle aree remote. Queste contradizioni derivano dal fatto che, da un lato, l’entroterra è imbevuto di ethos nazionale come quintessenza dell’essere brasiliani, ma dall’altro, continuano ad essere trascurati e dimenticati – fin quando una crisi, come l’incendio incontrollato di una foresta, o l’omicidio di un leader della tribù o del quilombo e il possesso violento di riserve indigene da parte di coltivatori bianchi, li forza ad uscire sotto i riflettori. Dato il contraccolpo dell’estrema destra contro i diritti umani, l’inclusione dei registi proprio di quei gruppi che sono sotto attacco – neri, donne, comunità LGBTQ, altre minoranze – è un gesto tanto di coraggio quanto di speranza.

I due filmmaker arrivano a Bacurau dopo aver lavorato insieme negli ultimi 15 anni: Dornelles è stato lo scenografo sia de Il suono intorno che del riccamente rifinito melodramma della classe media Aquarius; ha anche lavorato ai corti di Mendonça, compreso Recife Frio (2009) ed Electrodoméstica (2005).

Insieme, combinano l’amore per la narrazione classica, una cinefilia prodigiosa lunga una vita, e una forte inclinazione per il cinema di genere, tutto quanto sostenuto durante i mesi del processo di scrittura collaborativa della sceneggiatura. L’ultimo risultato, Bacurau, è una pietra miliare – un film vigoroso e arrabbiato, come nessun altro nella storia del cinema brasiliano e mondiale.

Abbiamo parlato con Mendonça e Dornelles, per discutere di come il film è stato accolto e di come le loro esperienze come latinoamericani, brasiliani e appassionati di cinema di genere abbia dato forma al feroce ritratto di una comunità in guerra.

Iniziamo parlando della cornice: la vostra scelta di usare il widescreen per raccontare questa storia. È un format che non è così comune e che è anche difficile da utilizzare in scena.

Kleber Mendonça Filho: La messa in scena è probabilmente la più grande sfida che hai come filmmaker. È una delle ragioni per cui amo i musical. Come mantenere viva la cornice con i movimenti e traboccante di energia è qualcosa che molti spettatori danno per scontato. E, ovviamente, puoi trasformare ogni film in un musical senza musica – questa era l’idea per un film come Bacurau, che parla di una comunità. Prima di andare a girare nelle location, ero spaventato di non poter trovare l’elemento umano che poteva venire da 15 o 25 persone che comparivano nella stessa inquadratura. Ma poi abbiamo lavorato con gli emarginati delle comunità: i pazzi, i poeti, i musicisti, gli attori o aspiranti attori, i pittori, a volte semplicemente con le persone che gli altri chiamavano pazze o “fuori di cervella” – e sono eccezionali! Nel film, quando guardi e vedi le loro facce, sono completamente dentro la scena. Questo aiuta molto quando muovi la camera e stringi l’inquadratura, o quando vieni dal lato e usi una gru.

L’ironia è che molte persone ci dicono che Bacurau ha un ritmo sostenuto, e altre ci dicono che è incredibilmente lento e noioso. [Ride] Non puoi mai vincere davvero!

Il film è pieno di paradossi. Hai girato nelle famose lande aride del Brasile, eppure sembrano così verdi sullo schermo.

Juliano Dornelles: Siamo stati molto fortunati ad andare nel sertão quando l’abbiamo fatto. Da un punto di vista pratico, le piogge hanno reso il nostro lavoro complicato – abbiamo perso tre giorni di riprese. Ma ci ha permesso di mostrare la regione da un altro punto di vista: verde, splendida, piena di vita.

KMF: Questi paradossi giacciono al cuore del nostro film. Bacurau è verde eppure arida; è povera ma piena di dignità. Le sue persone non fanno la fame, ma non vengono rispettate. La popolazione è estremamente pacifica, ma fa la guardia ai suoi segreti. Io credo di fare dei film molto diretti, ma forse il modo in cui abbiamo girato Bacurau crea specificatamente certe tensioni. Lo shock costante dei paradossi ha sollecitato molte reazioni differenti nel pubblico – alcune perplesse, altre un po’ tese o interrogative. Con gli stranieri, ad esempio, sembra che gli spettatori finiscano col negoziare il limite di violenza che possono compere, come e quali linee morali sono superate – assassinare una sposa o un bambino, o domandarsi chi può essere chiamato “un nazista”.

C’è anche la questione di chi è bianco e chi no.

KMF: Ancora più nello specifico: chi è bianco nella società brasiliana. Il sertão brasiliano è estremamente bianco. Per molti, anche per molti brasiliani che vivono a sud, è sorprendente apprendere quanto bianchi siano nell’entroterra del nordest. Eravamo pronti a girare in una città quasi completamente bianca, ma durante i nostri sopralluogo siamo venuti a contatto con un quilombo. Le due comunità non si mescolavano. Da quel momento in poi, l’idea non espressa ma cruciale era che Bacurau sia un quilombo “remixato”: un posto storico di resistenza, ma con alcuni abitanti bianchi, indigeni, trans, e altro. Carmelita, la matriarca che muore nel film, è la matriarca del quilombo – anche se non usiamo mai questa parola.

JD: È per questo che abbiamo incluso che nella città di Bacurau ci fosse un museo storico – un museo che gioca un ruolo chiave nella comunità, perché conserva la storia del cangaço, delle ribellioni.

KMF: È anche per questo che la scena della capoeira, che non era inserita inizialmente nella sceneggiatura ma è venuta direttamente dai nostri attori, è così importante. Io non ero un fan di questa scena all’inizio, ma dopo aver risentito Night di John Carpenter, ho pensato che forse se univamo alla capoeira i suoni delle mani e dei piedi che battevano a ritmo, e poi la musica da Night, avremmo avuto una scena di preparazione alla guerra. Anche se non la chiamiamo esplicitamente così e lasciamo che diventi figurata attraverso la danza.

La sequenza in realtà inizia in un bordello – con il ritmo in una scena di sesso, poi con il pappone che batte le mani, e poi la capoeira e la guerra.

KMF: Tutti questi ritmi e questa musicalità sono interconnessi. Si può dire che sia in quella sequenza che il film deflagra. Come molte persone ci hanno detto a Cannes, dopo quel momento diventa impossibile immaginare cosa possa accadere dopo. È fantastico che siamo potuti entrare in questo territorio di stranezza attraverso la musica.

Parlando di stranezza – o di straniamento – mi chiedo se quella sia un’altra ragione per la vostra scelta di usare il widescreen.

KMF: Il cinema fa sempre molto affidamento sulla tecnologia. Al giorno d’oggi, quando accendo la televisione per guardare Netflix, c’è una forte possibilità che tutti i film mi sembreranno simili. La stessa cosa avviene se volgi lo sguardo indietro alla fine degli anni ’70 e guardi Superman oppure I cancelli del cielo. Hanno un certo stile che viene dagli anni ’70 e dalla tecnologia, come i negativi di quel periodo o la scelta delle lenti.

Come regista, mi piace trovare qualcosa che mi da il piacere di guardare un film, e che non sembri come qualunque altra cosa. Con Il Suono Intorno adoravo l’idea di fare un film nelle cucine e negli spazi comuni, ma in 35mm Techniscope, che va contro lo stile iperrealista del kitchen-sink. Per cui fai un dramma kitchen-sink brasiliano e lo tratti come se fosse un thriller di Brian De Palma degli anni ’80. Questo probabilmente suona pretenzioso, ma mi offre una sfida. Lo stesso con Aquarius – un dramma individuale, ma che con il widescreen sembra venire dall’Italia o dagli Stati Uniti dell’inizio degli anni ’70. Con Bacurau, ci siamo davvero lasciati andare ed abbiamo abbracciato il cinema di genere. Infatti, proprio l’altro giorno, qualcuno ha scritto su Letterboxd che Aquarius è un grande thriller – e io l’ho sempre pensato come un thriller. Leggo così spesso che è un dramma familiare politico, un film su una donna – e lo è – ma è anche un thriller della suspense. Adesso con Bacurau, l’aspetto di genere è esplicitamente gettato nella mischia.

Qual è stato il processo di scrivere la sceneggiatura insieme?

JD: Abbiamo avuto differenti fasi, ma la nostra fase principale sono stati otto mesi di scrittura concentrata – cinque volte a settimana, dalle 9 alle 5, a volte dalle 9 alle 7. È stato molto intenso.

KMF: Abbiamo avuto discussioni profonde con il nostro montatore, Eduardo Serrano, su come volevamo che l’inizio fosse estremamente preciso ed intenzionale nel presentare la comunità, ma anche nel sovvertire le aspettative.

Perché in questi giorni, di solito, all’interno di 45 secondi in un film puoi avere un’idea precisa di come sia – e questo è esattamente quello che non volevamo. Per cui diciamo che stai guardando questo film brasiliano. Inizia e pensi, “è un dramma rurale?”. Poi lentamente si trasforma in qualcosa rassomiglia a un film d’azione o un b-movie o un film di fantascienza, poi nell’hardcore horror o nella suspense. È un po’ come camminare in un giardino e trovare un pezzo di corda, e poi rendersi conto che è molto più lunga di quanto pensavi all’inizio.

Mi chiedo del black humour della sceneggiatura. Per esempio, l’anziano uomo nero fa esplodere il cranio di un uomo bianco – quella scena visuale ha fatto ridere alcuni tra il pubblico.

JD: Vedo questo tipo di risata come un rilascio piuttosto che un segnale che i nostri spettatori trovino la violenza visuale divertente. Noi certamente no. La mostriamo abbastanza brutta.

Ma Lunga il bandito è sia seduttivo che violento.

JD: Il cosmopolitismo nel banditismo è oggi un concetto reale. Qui giochiamo con l’idea della drag: ecco perché il personaggio ha due versioni del nome, maschile e femminile – Lungo/Lunga. Di nuovo, in un posto come Bacurau, non c’è un modo semplice di ritrarre una persona.

Quella scena con le teste tagliate arriva come un pastiche.

JD: Da un certo punto di vista, l’humour era molto più presente nella sceneggiatura, ma poi lentamente il film ha preso un tono più serio. Forse è per questo che eravamo curiosi di vedere come sarebbe stato recepito il film in Brasile, perché per i brasiliani il nostro film è profondamente triste. È una catarsi raggiunta da un altro angolo. Questo è quello che le storie fantastiche aiutano a raggiungere.

Sembra che i vostri attori – Udo Kier che interpreta il villain, per esempio – si siano davvero nutriti di quell’energia fantastica.

KMF: Udo è un grande essere umano. Si nutre del conoscere persone e fare scoperte. È stata un’esperienza simile alla sensazione che ho avuto quando Sonia Braga venne in Aquarius. È una di quelle rare opportunità di quando entri nel cinema perché ne hai l’accesso – puoi fare un percorso con qualcuno che è stato parte della tua vita per anni. È una cosa bella. Parlerei con Sonia per ore a pranzo o a cena di cose che sono parte della storia del cinema, e che sono anche parte della sua vita. E la stessa cosa è successo con Udo – Dario Argento, Fassbinder, Gus Van Saint, Lars Von Trier, Madonna. Durante una cena, stavamo bevendo vino e guardando il video musicale di “Deeper and Deeper” di Madonna sul telefono, con Udo che lo commentava mentre andava il video. E mi sono reso conto che appare quanto Madonna o forse un po’ di più – e che espressione! Abbiamo lavorato molto duramente per mettere quelle espressioni e la sua presenza fisica drammatica nel film.

In termini di dialogo, però, mi chiedo se alcuni spettatori occidentali possano trovare i personaggi bianchi monodimensionali.

JD: Non credo che siano monodimensionali. Come cattivi, hanno la loro propria complessità. Allo stesso modo, il film prende il punto di vista delle persone di Bacurau – il nostro punto di vista, così come quello di coloro che vengono dal nordest del Brasile. Quando guardi i film di Hollywood, i cattivi sono spesso arabi, o nei film d’azione degli anni ’80, sono i sovietici. Lavoriamo col cinema di genere, e il nostro film è su un’invasione – per cui in maniera naturale abbiamo scelto un gruppo che fosse culturalmente molto differente.

KMF: Una reazione all’Alice Tully Hall durante il New York Film Festival – un signore nelle file di dietro ci ha chiesto perché gli americani erano i “cattivi” – mi ha fatto pensare: abbiamo guardato cinema americano per 120 anni ma è ancora raro vedere un film non americano che ritrae gli americani come cattivi. Abbiamo avuto Carmen Miranda interpretare una donna esotica con la frutta in testa. E riesci ad immaginare un brasiliano, nel 1938, che chiede a un dirigente della Fox perché le donne brasiliane hanno la frutta in testa? [Sogghigna] O un diciannovenne russo che chiede perché i russi fumano sempre, uccidono le persone e non hanno capelli? E i narcos messicani nei thriller americani? Soderbergh è un regista fantastico, ma perché tutte le location messicane sono gialle e polverose e quelle americane blu e pulite? Penso che queste siano tutte questioni di rappresentazione, di come l’industria abbia allenato gli spettatori a pensare alla rappresentazione. Per cui è affascinante il modo in cui è visto Bacurau, dall’Australia alla Francia, dal Brasile all’Argentina.

Potete dirci di più di come è stato recepito il film in Brasile?

JD: In Brasile – dove Bacarau è in sala da 20 settimane di fila, con più di 730.000 spettatori finora, che non è poco – la risposta è stata molto forte, anche se non sempre nei modi che avevamo pensato. Alcuni spettatori hanno lasciato il cinema elettrizzati; altri erano depressi, pensando alla tragedia del nostro paese, e come siamo arrivati lì. Ma c’è qualcos’altro: in Brasile, abbiamo sempre guardato il cinema di genere, ma storicamente erano americani o italiani, non brasiliani. Questa è stata la mia esperienza con la cinefilia. Per cui nell’immaginario del nostro pubblico, nonostante il cinema di genere sia importante, il cinema genere brasiliano è ancora in costruzione. Certo, non dovremmo dimenticare l’esempio nazionale di Zé do Caixão, cioè Joe dalla bara, ma lui è stato l’unico. Se menzioni il suo nome agli spettatori che non lavorano nell’industria cinematografica, molto probabilmente lo assoceranno con il “cinema trash”, il che è problematico.

Qual è stata la vostra esperienza di cinefilia vivendo a Recife?

KMF: È come quella battuta di Quei bravi ragazzi: “Che io mi ricordi…” ho sempre voluto andare al cinema. Negli anni ’70, avevamo buoni film commerciali e grandi cinema. Le sale cinematografiche erano molto popolari a Recife. Durante la mia adolescenza, in Inghilterra, andavamo ogni mese a Londra, a vedere musei e ad andare a Leicester Square a vedere film, spesso in 70mm. I primi film non americani che mi hanno affascinato che ho visto sono stati Fitzcarraldo di Herzog e poi Paris, Texas di Wenders. Era il periodo delle videocassette, per cui avevo accesso a tanti film. La mia cinefilia aveva tre aree: andare al cinema, le videocassette, e la televisione. Quando sono tornato in Brasile nel 1986, potevi vedere un nuovo film di Cronenberg in un cinema commerciale di 1000 posti nel centro di Recife. La mosca è stato uno dei film più belli che abbia mai visto nella mia vita, ed è semplicemente successo che sia uscito lì; lo stesso con Carpenter, Verhoeven, De Palma. È stato quello a farmi venire voglia di fare film.

Adesso il Cinema São Luis di Recife è l’unica sala cinematografica sopravvissuta, ma siamo molto fortunati, perché nei dieci anni da quando ha messo di essere una sala commerciale, è diventato un posto molto speciale per la cultura e per il cinema. Bacurau è stato il secondo film in classifica in Brasile e 25.000 persone soltanto al São Luis sono andate a vederlo. Anche Divino Amor di Gabriel Mascaro è andato molto bene lì. È meraviglioso vedere persone che entrano nel quartiere per andare a vedere film. Non succede in molti altri posti nel mondo – forse al The Castro a San Francisco, che è un’altra esperienza felice dell’andare al cinema come comunità.

Al momento sto lavorando ad un essay film sul paesaggio attorno al São Luis. La città è come un animale che continua a perdere la pelle e poi una nuova pelle si riforma – è come un lupo mannaro che cambia in animali differenti nel corso del tempo. Quando cresci, inizi a vedere i livelli differenti della città, perché hai vissuto abbastanza a lungo da ricordarli in fasi differenti. È un film molto personale, su come guardo alla mia città e al suo centro, che amo.

Juliano, anche tu stai lavorando ad un nuovo progetto?

JD: Si, sono nella fase del montaggio, ma anche in attesa che alcuni problemi finanziari si risolvano. Il nuovo film è come essere in una relazione a distanza in un tempo senza internet o videochiamate. I tuoi sentimenti cambiano col tempo, e devi riscoprire se sei ancora innamorato. Ecco come mi sento: devo digerirlo ancora un po’.

Che cosa vi da più energia del cinema contemporaneo brasiliano, nonostante l’attuale crisi politica e di diritti umani del paese?

KMF: A seconda di quando mi fai quella domanda, potrei essere molto triste, perché stiamo vedendo davvero la distruzione di qualcosa che è stato costruito molto lentamente e democraticamente. Quando ho realizzato Il suono intorno, la mia sceneggiatura fu scelta perché era il primo anno che le quote erano applicate nel finanziamento delle opere prime. E storicamente, tutti i fondi sono stati concentrati nel sud-est. Per cui mi diedero un nuovo strumento che mi portò poi al mio secondo film. Ma questo è stato 11 anni fa.

Oggi, abbiamo una nuova generazione di giovani che fanno film, e con il range di temi e stili ed estetica e colore della pelle e geografia e strati sociali, il cinema brasiliano è ancora più espressione del Brasile di quanto lo fosse dieci anni fa. Vederlo sistematicamente sabotato, con soddisfazione, è una cosa che non avevo mai pensato potesse succedere. Ma la cosa buona – a seconda dell’ora in cui me lo chiedi – è che c’è un’opportunità per sviluppare qualcosa dalla frustrazione e dalla rabbia, che è sostanzialmente quello che faccio, perché il Brasile non è sempre stato solo un paese fuori di testa ma anche pieno di contraddizioni. Nel corso dello scorso anno, ho preso la droga chiamata Bacurau per navigare questo terreno bizzarro e orribile. Mi ha reso più forte, in termini di sviluppare due o tre idee che penso siano vere, non solo in Brasile ma in tutto il mondo.


  • Diretto da: Kleber Mendonça Filho, Juliano Dornelles
  • Prodotto da: Emilie Lesclaux, Saïd Ben Saïd, Michel Merkt
  • Scritto da: Kleber Mendonça Filho, Juliano Dornelles
  • Protagonisti: Sônia Braga, Udo Kier, Bárbara Colen, Thomas Aquino, Silvero Pereira, Karine Teles
  • Musiche di: Mateus Alves, Tomaz Alves Souza
  • Fotografia di: Pedro Sotero
  • Montato da: Eduardo Serrano
  • Distribuito da: Vitrine Filmes (Brasile), SBS Distribution (Francia)
  • Casa di Produzione: CinemaScópio Produções, SBS Productions, Globo Filmes, Simio Filmes, Arte France Cinema, Canal Brasil, Telecine
  • Data di uscita: 15/05/2019 (Cannes), 29/08/2019 (Brasile), 25/09/2019 (Francia)
  • Durata: 132 minuti
  • Paese: Brasile, Francia
  • Lingua: Portoghese, Inglese

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