Musica

Giardini di Mirò – Unluck

Gianpaolo Giordano

I Giardini di Mirò tornano su disco incidendo un EP di tre tracce dal titolo “Unluck”

I Giardini di Mirò riappaiono sulle scene la prima metà del 2012 pubblicando il quarto album della loro carriera. Good Luck è un prodotto qualitativamente ottimo, ma la sua (non-) svolta ha diviso sia fan che critica. Di pregi ne ha molti: volendo andare per metafore, è un albero spoglio, ma enorme e incantevole, dai suoni crudi e terrestri, non dreamy (Mogwai), ma viscerali (Interpol), è la consapevolezza di voler crescere diminuendo e perfezionando i propri suoni, piuttosto che ampliandoli. Il risultato è lontano (ma non troppo) dal sound post-rock che li ha fatti conoscere in Italia e all’estero, le digressioni di chitarre in delay sono alternate a cavalcate overdrive, i ritmi morbidi diventano inaspettatamente più veloci, i violini non sono onnipresenti e, soprattutto, alle voci spetta il ruolo principale di tracciare limiti definiti al pezzo.

Non è possibile introdurre questo mini album, Unluck, senza aver dato un’idea minima di come suona Good Luck, innanzitutto perché l’intervallo tra queste due creazioni è di soli sei mesi, secondo perché, è evidente, Good Luck – Unluck, la band di Cavriago vuole suggerirci qualcosa: all’ascolto di Unluck, si rivela lo stretto legame.

Già dai primi secondi dell’apripista Young Age si capisce di non essere più nelle cupe atmosfere di Flat Heart Society, ma di essere usciti all’aria aperta. Le prime note di un giro di chitarra mimano il vecchio stile, quello di Rise and fall of academic drifting, ma l’invadenza della batteria e della voce, dominanti per tutto il pezzo, soffocano ogni possibile variazione. I dubbi ritornano all’attacco di Invisibile (non sfugge il rimando ad Emily Dickinson, There’s a solitude of space) e stavolta sono fondati: l’anima post-rock dei Giardini di Mirò riappare in un luminoso trionfo di chitarre che dura poco, ma quanto basta per un respiro profondo (fornito nell’album precedente solo dalla title-track). La terza traccia si divide in due parti, End of the road si apre con un rintocco inquietante (che ricorda il buio de Il fuoco) accompagnato dalle note del basso e dalla eco di Jukka Reverberi, e si schiude nel lento finale di Send a present to Jude, un crescendo di chitarre, tastiere, archi e cori che, però, sbiadisce sul più bello.

Unluck è composto da tre tracce, per una ventina di minuti in totale, e probabilmente contiene quelle sonorità che, se fossero state incluse all’album precedente, avrebbero reso il suo ascolto certamente più intrigante. La rottura della forma predefinita, che scatena il lato più irrazionale di questa energica band, è più visibile in queste nuove tracce che nell’intero Good Luck, di cui però conserva l’attitudine creativa e la struttura compatta. È il forsennato senso della misura che i Giardini di Mirò mantengono nelle registrazioni, ma, per fortuna, ben poco sul palco.



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