Arti Performative

Daniele Timpano – Storia cadaverica d’Italia

Renata Savo

Per “Villani – Braccia rubate all’altra cultura”, Daniele Timpano ha presentato la sua trilogia pubblicata da Titivillus Edizioni, “Storia cadaverica d’Italia” 

Secondo ospite di “Villani – Braccia rubate all’altra cultura”, ciclo di incontri culturali organizzato ad Avellino da HUB – Network delle Culture Contemporanee insieme a Presidio del Libro di Avellino, è stato il regista, autore e performer romano Daniele Timpano – vincitore nel 2012 del Premio Rete Critica per Aldo Morto. Tragedia e finalista al Premio Scenario nel 2006 per Dux in scatola. Nella cornice di Villa Amendola, si è parlato della sua celebre trilogia “funeraria”, pubblicata da Titivillus Edizioni (2012) sotto il nome di Storia cadaverica d’Italia.

Storia cadaverica d’Italia, a cura di Graziano Graziani – che è stato anche protagonista del primo appuntamento della rassegna, dove ha presentato il suo libro Stati d’eccezione. Cosa sono le micronazioni (Edizioni dell’Asino, 2012) – raccoglie tre capolavori teatrali, Dux in scatola, Risorgimento Pop e Aldo Morto; accompagnati dalla prefazione del curatore e da quattro contributi critici (di Attilio Scarpellini, Antonio Audino, Lorenzo Pavolini e Paolo Puppa) che agevolano la comprensione di alcuni interessanti aspetti del teatro di Daniele Timpano.

Tre scritture teatrali composte tra il 2005 e il 2012 legate da un filo rosso, lo sguardo cinico e disincantato con cui Timpano guarda alla Storia, vista come mera “successione di cadaveri”. Mazzini, Garibaldi, Mussolini, Aldo Moro: celebri morti, seppelliti (o anche disseppelliti) decenni e decenni fa, di cui l’autore riprende miti, memorie e retoriche per penetrare con una scrittura graffiante la storia del Belpaese dall’Unità al 1978. Dal punto di vista della generazione di Timpano (nato nel 1974), il caso dello statista cinque volte Presidente del Consiglio, Aldo Moro, ha rappresentato l’ultimo cadavere entrato a far parte dell’immaginario di un Paese “abortito” un secolo e mezzo fa, a sua volta cadavere (de)composto di tanti piccoli resti. Nato morto, insomma, e mai risorto.

Senza pretesa documentaria, sebbene gli scritti lascino trasparire una ricerca appassionata, Daniele Timpano rimodella la materia storica – il trafugamento del cadavere di Mussolini, il Risorgimento, e il caso Moro – inseguendo un suo dissacrante punto di vista, che avvicina anche il lettore meno interessato; più che argomentare, infatti, Timpano apre dei varchi attraverso cui, incuriositi, viene voglia di addentrarsi, stimolando l’approfondimento personale dei temi trattati.

Sia chiaro che a Daniele Timpano non interessa affatto mostrarsi portavoce di qualche altra Verità, su cui neanche gli storici sono riusciti a mettere il punto. Prendendo di mira l’impossibilità di una ricerca assoluta, di un punto di vista oggettivo sui fenomeni – soprattutto se non vissuti in prima persona – Timpano segue le orme di un’indagine priva di consequenzialità (perché si tratta di spettacolo, non di un’indagine storica) in cui affronta la contraddittorietà del presente che, volenti o nolenti, ci stiamo trascinando verso il futuro.

In quanto uomo di spettacolo, Timpano si diverte con un’operazione postmoderna a frullare insieme le fonti alle quali si è abbeverato, per servire al lettore un cocktail ghiacciato come una «doccia fredda», che –  per usare le parole di Lorenzo Pavolini – «non lava, ma sveglia». Smascherando le retoriche del nostro tempo, l’autore mette in scena il corto circuito emotivo, sempre più grottesco, con il passato. Perché ancora oggi, si chiede Timpano, nei primi decenni del XXI secolo, ci troviamo circondati da scritte che inneggiano al fascismo? Da dove proviene tutto il fascino che le nuove generazioni nutrono verso certi fenomeni così lontani da noi?  

Davanti agli spettri del passato, su cui i media hanno costruito miti di ogni genere, Timpano lascia emergere tutta la sua giustificata freddezza emotiva dovuta al problema di non aver stretto con la Storia un legame diretto. Da questa freddezza emotiva proviene il carattere “pop” di alcuni suoi spettacoli: uno stile di cui il suo teatro non vuole essere “Manifesto”, bensì lo “sbeffeggiatore”. Ed è ancora questa distanza emotiva che lo ha indirizzato non a fare una semplice parodia della Storia, ma piuttosto a evidenziare come alcuni dettagli della Storia stessa restituiscano all’uomo contemporaneo il quadro di una gigantesca parodia (ricordando in questo la scrittura di Alberto Savinio).

I “grandi” cadaveri del passato, quindi, scendono dal piedistallo. Anzi, vengono trascinati giù a forza, per essere smitizzati, spogliati e incarnati nel ricordo a posteriori di ciò che realmente sono stati: uomini, in carne e ossa (oggi più “ossa” che carne).

Proprio per sottolineare la forte rappresentabilità di tutta questa materia riplasmata su presupposti non lineari, Massimo Marino – su «Doppiozero» – ha definito la Storia cadaverica un teatro di “anti-narrazione”. Perché il modo in cui Daniele Timpano porge la Storia al lettore tradisce la consapevolezza di chi si trova a combattere una battaglia persa in partenza: prende atto, cioè, dell’impossibilità dell’arte, della scrittura, del teatro, di interpretare i tempi che abbiamo vissuto. Meno ancora, verrebbe allora da dire, quelli che non abbiamo vissuto. 


Dettagli

  • Titolo originale: Storia cadaverica d'Italia

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