Musica

Deftones – Koi No Yokan

Gianpaolo Giordano

Sul ritorno dei Deftones

            Il destino dei Deftones, nel novembre del 2008, viene stravolto dall’incidente stradale che costringe il bassista Chi Cheng, con la band fin dagli esordi, in stato comatoso. Lo sostituisce Sergio Vega, già militante nei Quicksand, con il quale la band registra da capo un nuovo album, mentre rimane in sospeso Eros, album composto e concluso con Cheng. Gli sforzi, siano essi creativi o psicologici, sono più che visibili nelle tracce di Diamond Eyes (2010). Inutile ricordarlo, ma il cambio di formazione in una band porta sempre a rimettere in discussione le decisioni prese in precedenza e talvolta a cogliere occasioni di vantaggioso mutamento. Se il penultimo album dei Deftones è, però, cosciente di non essere alla pari dell’ignoto fratellastro Eros, la nuova creazione Koi No Yokan appare molto più convincente.

            Resistono tracce legate alla classica forma canzone, come quella del primo singolo Leathers, dove un’intro precede banalmente l’esplosione di hardcore e accordi rabbiosi (modello già seguito due anni prima in Diamond eyes). Non mancano reminiscenze di Around the fur nelle linee vocaliche di Romantic Dreams o di Saturday night wrist nei ritmi di Swerve City. In quest’ultimo pezzo, come nel resto dell’album, si avverte una maggiore fluidità nel suono della chitarra di Carpenter, i cui riff, talvolta privi di inventiva (Goon Squad), scivolano in sequenze inaspettatamente più complesse (Poltergeist). Koi No Yokan non sembra quindi nulla di sorprendente finché non si arriva al cuore: la squisita sequenza che va dalla quinta alla nona traccia è prova di un’ulteriore maturazione del profilo musicale dei Deftones. La band californiana non ha mai composto una ballad più leggera di Entombed, un crescendo di chitarra che diventa una genuina commistione di synth e distorsioni; spicca nella tracklist Graphic Nature, dove la chitarra segue meccanicamente i battiti di batteria in un flow strisciante e intrigante; pesantissime dissonanze e digressioni quasi prog percorrono Tempest, le stesse che si trovano in Gauze, ma disposte in uno schema più classico e prevedibile; Rosemary è il gigante dell’album, un muro di suono di sette minuti smorzato da chitarre dal suono sporco (riprese dall’album precedente).

            Seppur Koi No Yokan (che in giapponese significa “presagio d’amore”) non sia, nella sua totalità, una svolta stilistica, dei Deftones bisogna apprezzare la costante ricerca del giusto mezzo fra tradizione e innovazione, avvenuta stavolta in modo più consapevole, ponderato e diretto.



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