Musica

Murder by death – Bitter drink, bitter moon

Gianpaolo Giordano

Murder (ballads?) by death: il country si mescola al punk rock.

            Non sono necessari molti ascolti per convenire sul fatto che il sesto album dei Murder by death sia americano. Il motivo di questa convinzione è intuibile riflettendo sul ruolo chiave della tradizione musicale americana in uno dei fenomeni più in vista della scena attuale, cioè la ripresa e la rielaborazione delle sonorità acustiche semplici antecedenti l’avvento dei beat elettronici e dei generi da esso derivati (si parla ovviamente degli anni Ottanta). In questa nuova tendenza, però, il gruppo di Indiana gioca bene le sue carte per non confondersi né coi suoi contemporanei né con chi lo ha preceduto: le parole chiave, non a caso, sono americane: country (se non western) e punk rock (più svelto e meno ideologico del punk inglese), il sound che bisogna aspettarsi da quest’album è l’abisso compreso tra questi due stili “nudi e crudi” della musica.

Bitter drink, bitter moon più che aprirsi, sembra schiudersi: le poche note di My hill sono accompagnate dal fievole e più baritono del solito Adam Turla (l’ispirazione a Cash è evidente in molti punti), così come nell’orchestrale Lost river, dove il tappeto di fiati si intreccia genuinamente alle chitarre (un mix che ricorda l’ultimo di Dan Mangan). In Straight at the sun l’atmosfera si incupisce, qui è la nevrotica combinazione basso-batteria a prevalere sulla leggerezza del piano e degli archi, i quali tornano subito alla ribalta nel delizioso e blueseggiante No oath, no spell. Il primo singolo estratto I came around, seppur molto orecchiabile, di certo non eccelle quanto le tracce restanti, ma contribuisce a variare in modo geniale e fluido: da sonorità più soft si passa alla rabbiosa batteria punk di Hard world, dal ritmo sostenuto di un graffiante folk (Ditch Lilly) si va al classico country di The Curse Of Elkhart che degenera nelle inarrestabili montagne russe di Ramblin’. Il fiume burrascoso dei Murder by death si placa sfociando nell’ultima parte, qualitativamente superiore e meno banale delle altre, un inaspettato dulcis in fundo.

A trasparire leggermente dalle tredici tracce di Bitter drink, bitter moon è l’influsso di Nick Cave, l’unico artista che può venire in mente accostando il mondo ribelle del punk alla tradizione cantautorale americana. Ma se nell’autore delle murder ballads è la poliedricità di una mente singola (e folle), i Murder by death sono una band capace di strutturare i pezzi in un complesso meno eccentrico e più organico, a costo di sacrificare ciò che sarebbe potuto apparire un prodotto davvero originale. Il risultato è comunque un lavoro ottimo e meritevole di ascolto.



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