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“Unconventional Date”, la prima stagione teatrale targata WeNeed: “cerchiamo di offrire una luce nuova al “reale” in cui gli spettacoli accadono”

Andrea Zangari

Parte stasera, 10 gennaio, nel cuore del quartiere Pigneto di Roma, Unconventional Date, la prima stagione di teatro in orario preserale targata WeNeed, in cui le repliche degli spettacoli avvengono a una settimana di distanza. Presso lo spazio non convenzionale del Club55, fino al 29 maggio, tutti i venerdì a partire dalle 19.30, ci sarà, per la direzione artistica e organizzativa di (in o.a.) Francesca Brunetti, Carlo Maria Fabrizi, Vincenzo Nappi, Ludovica Santuccio, una serata non convenzionale che avrà il suo core event in uno spettacolo di teatro civile o in scritture e riscritture non convenzionali.
Ciascuna serata si articola in quattro fasi: ore 19.30, uno spettacolo teatrale di acclamata qualità, che viene replicato almeno il venerdì successivo; ore 21.00 un break di un’ora; ore 22.00, “open session”; ore 23.30, un dj set. Venti, gli appuntamenti in programma.

Il pluripremiato Alessandro Blasioli, con il suo spettacolo di successo che racconta l’Abruzzo martoriato dal sisma del 2009, Questa è casa mia, è l’artista di apertura (in scena ancora il 17, il 24 e il 31 gennaio). Seguiranno Giulia Nervi, Davide Paciolla, Tony Allotta, Alessandro Sesti, Giusy Emanuela Iannone, Andrea Cosentino.

Ne abbiamo parlato con i direttori artistici.

La direzione artistica: Francesca Brunetti, Ludovica Santuccio, Vincenzo Nappi, Carlo Maria Fabrizi

Partiamo dal nome del vostro progetto: WeNeed. A chi si riferisce quel “noi”? Chi è il soggetto di questa “necessità”? E qual è questa “necessità”?

Il ‘noi’ di WeNeed è il ‘noi’ di una generazione di giovani. Essere giovani spesso vuol dire essere inesperti, certo, però anche essere curiosi, desiderosi di costruire qualcosa di nuovo e di ‘nostro’. I giovani hanno la forza del nuovo, di uno sguardo forse ingenuo, ma pulito e libero da logiche istituzionali. Secondo noi la necessità è quella di trovare, oppure creare, dei luoghi e dei momenti di incontro in cui questo desiderio di mettersi in gioco possa essere accolto e sperimentato; è anche un ‘noi’ che si allarga a tutti coloro che non si arrendono alle difficoltà del tempo e credono che esista un modo per continuare a fare cultura insieme, esiste la possibilità di continuare a ricreare spazi di riflessione e di condivisione, riconoscendo questa necessità come fondamentale per lo sviluppo e la coesione del tessuto sociale del nostro paese.

Come diceva qualcuno, le parole sono importanti. E allora proseguiamo con quelle che voi avete scelto. Unconventional Date è il titolo dell’edizione zero della vostra stagione. In che modo vi ponete al di fuori delle convenzioni? E di quali convenzioni pensate una programmazione teatrale, o un modo di fare e di vivere il teatro, debba fare a meno?

La nostra proposta non convenzionale non vuole esprimere il desiderio di “togliere” convenzioni, ma semmai di aggiungerle. Non l’abbiamo pensata soffermandoci su ciò di cui il teatro di oggi può far a meno, ma al contrario: su cosa si può ancora sperimentare, di quali spazi e luoghi “non convenzionali”, appunto, può ancora appropriarsi.

Per questo abbiamo deciso di programmare i nostri spettacoli in un orario non abitudinale, che può essere un rischio oppure può dare vita a nuove abitudini: andare a teatro subito dopo il lavoro o l’università, senza passare da casa a rilassarsi, decidendo di rilassarsi qui con noi, creando cultura insieme. L’altra scelta non convenzionale è il luogo, non perché un teatro non sia più adatto per fare teatro (sarebbe un bel paradosso), ma perché in un club il teatro può incontrare la musica, la conversazione, il divertimento, e magari attrarre persone che il venerdì sera in un teatro non ci andrebbero, ma magari in un club sì.

“Non convenzionale”, quindi, perché ciascun appuntamento vuole essere diverso, vicino a chi non gravita ancora attorno all’ambiente teatrale. È soprattutto verso l’intercettazione di un nuovo pubblico, infatti, che ci poniamo come non convenzionali.

Alessandro Blasioli, “Questa è casa mia”. Foto di Manuela Giusto

Se l’inconvenzionalità misura un discostarsi, è però impossibile creare da zero un progetto che si articoli solo come divergenza rispetto al reale. Quali sono le fondamenta di Unconventional Date? A cosa vi siete ispirati? Io vi ho incontrati spesso, negli ultimi anni, per teatri e festival: avete dei modelli nelle rassegne che avete attraversato? 

Ci siamo ispirati al desiderio di unire diverse competenze in uno spazio in cui intessere rapporti duraturi. La nostra forza allora sarà la stagione, l’esserci tutti i venerdì da gennaio a maggio per creare, solidificare e smuovere una rete di artisti che vogliono conoscersi e confrontarsi. Questo sarà possibile anche grazie alla seconda parte della serata, che prevede una sezione “open” in cui tutti avranno la possibilità di esprimersi ed esporsi.

Chiunque abbia frequentato con assiduità le sale e i circuiti destinati al teatro sa che essere non convenzionali in quel senso è molto difficile: abbiamo visto tutto e l’abbiamo visto fare in tutti i modi. “Non convenzionale” vuole essere anche il nostro approccio verso il contesto in cui lo spettacolo va in scena: cerchiamo di offrire uno sguardo ulteriore, una luce nuova al “reale” in cui gli spettacoli accadono. Ci poniamo volontariamente in una “non comfort zone” riservandoci la possibilità di scoprire altro da noi. È non convenzionale tutto ciò che insegue il suo tempo, e a quel tempo prova a dare risposte. E noi, come teatranti e appassionati di teatro, siamo anche prima di tutto spettatori: cerchiamo di frequentare quanto più è possibile il panorama teatrale romano e nazionale in primis perché è quello che ci piace e ovviamente perché è il modo migliore per crescere. Partiamo allora da quello che già c’è cercando di immaginare quello che vorremmo ci fosse. Tutti e quattro abbiamo collaborato e partecipato in vari modi (come volontari, come spettatori, come lavoratori, come tirocinanti, come artisti) a festival e stagioni teatrali.

 

Come si arriva ad immaginare una stagione teatrale? Tracciate la strada che vi ha portato a immaginare questo progetto insieme (i vostri percorsi, come vi siete incontrati etc. …)

Ci siamo incontrati nell’estate 2018 al Kilowatt Festival, grazie a un progetto di Dominio Pubblico e dell’Agenzia Nazionale Giovani che ha finanziato la nostra permanenza e partecipazione per l’intera durata dell’evento. Durante quell’esperienza, semplicemente siamo diventati amici con una passione in comune. Sembra una banalità, ma crediamo che il creare cultura passi anche dai rapporti personali sinceri, dalle serate d’estate passate in compagnia e dalla voglia di stare insieme. È per questo che crediamo che i momenti di incontro e condivisione, come quelli che vorremmo promuovere con Unconventional Date, siano così preziosi, perché il nostro futuro inevitabilmente si basa sulle relazioni personali e professionali che riusciamo a intessere anche in circostanze fortuite.

Il progetto di Unconventional Date è iniziato circa un anno fa, grazie a Vincenzo [Nappi, ndr] che ha avuto per primo il coraggio di pensare ad una nostra stagione teatrale non solo come a un sogno, ma come a un progetto concreto. Da lì abbiamo iniziato a lavorare ognuno con le competenze ed esperienze acquisite in questi anni di formazione, sicuramente incomplete, ma che abbiamo deciso di mettere alla prova, anche per renderci conto di quanto ancora ci sia da imparare.

  

Dove può e deve arrivare questa strada?

In questo momento di condivisione e incontro era per noi fondamentale dare spazio alle nuove drammaturgie e a giovani artisti che parallelamente a noi stanno cercando la loro identità espressiva. Punto di arrivo di questo percorso ideale è chi ha completato, se completare si può, la propria ricerca passando attraverso le stesse difficoltà; pensiamo ad Andrea Cosentino, che nel 2018 ha ricevuto il Premio Ubu nella categoria Progetti Speciali «per la sua lunga opera di decostruzione dei linguaggi televisivi attraverso la clownerie, e in particolare per Telemomò, che attraversa i suoi lavori da anni». Consideriamo il progetto WeNeed in continua “beta permanenza” con la possibilità di arricchirsi e di mutare forma nel tempo, nutrendosi degli stimoli e dei suggerimenti di chi avrà il desiderio di entrare in relazione col progetto stesso. Ma se il progetto è in continuo mutamento la nostra vision è decisamente più chiara: vogliamo diventare un punto di riferimento e un approdo per chi nel nostro paese si occupa di innovazione, cultura e creatività.

 

Qual è la vision di questo primo cartellone? C’è un filo rosso? Avete deciso tutto collegialmente o ciascuno ha segnalato i “suoi” spettacoli?

Tutti gli spettacoli di questa stagione parlano, in un modo o in un altro, del nostro presente e lo fanno in una relazione diretta che si instaura con gli spettatori. Sono tutti monologhi che vanno in scena in uno spazio intimo e accogliente. In principio avevamo lanciato un bando pubblico al quale però hanno risposto poche persone, così abbiamo deciso di scavare tra i nostri contatti e ogni volta che si presentava un’ipotesi la condividevamo nel gruppo e ci confrontavamo. Abbiamo scoperto che non è così semplice creare un match tra artista, spettacoli, disponibilità etc.. ma alla fine ci siamo riusciti.

 

Con quali forze economiche è stato possibile avviare il progetto? Quali strategie di crowdfunding avete messo in atto?

Questa è la domanda più semplice! Zero strategia e zero crowdfunding (almeno per quest’anno). La stagione zero di Unconventional Date è stata completamente autoprodotta da noi in collaborazione con il Club55. Per il prossimo anno prevediamo di realizzare una campagna di crowdfunding e un party di autofinanziamento!

Maggiori info: www.eventbrite.com



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