Arti Performative Dialoghi

Da Pordenone a New York: intervista all’attrice e regista Bruna Braidotti con “Luisa” all’InScena! festival

Roberta Leo

Con il dovuto fuso orario, va in scena stasera al prestigioso “In Scena! Italian Theater Festival NY” una replica dello spettacolo Luisa, scritto, diretto e interpretato dalla friulana Bruna Braidotti, direttrice artistica della Compagnia di Arti & Mestieri di Pordenone. Dopo una prima americana il 4 maggio, stasera tornerà a calcare il palcoscenico questo spettacolo che rappresenta uno dei più amati del repertorio della compagnia. Luisa è una donna sola, in un bagno davanti ad un specchio. Ripercorre la sua vita e nei flash della memoria compare la sua infanzia, la violenza sessuale subita nell’infanzia da parte del padre, che rivedrà, come un fantasma, in ogni uomo che incontra. Solo il ricordo della madre le permetterà la risalita verso sé stessa. Ne parliamo con Bruna Braidotti.

Bruna, il tuo spettacolo Luisa è volato dall’Italia al Sudafrica e ora a New York. Te lo aspettavi?

Lo spettacolo è andato benissimo. Stranamente il pubblico che c’è è americano e non italiano, anche se i testi sono in italiano. Non me l’aspettavo. Non mi aspettavo, quando ho iniziato ad andare in scena con Luisa, che questo spettacolo avrebbe avuto un pubblico internazionale, e non me lo aspettavo di essere adesso qui a New York, programmata all’interno del festival In Scena! che contiene il meglio del teatro italiano – credo, e lo dico anche come spettatrice. Mi sento molto onorata di far parte di questa “carovana” di teatro italiano a New York. La cosa che mi sorprende è che si tratti di spettacoli che in Italia non sono affatto così visibili e noti, anche se sono davvero di qualità, e parlo non per me stessa ma per gli altri spettacoli che ho visto.

Come ha reagito il pubblico internazionale a un lavoro su un tema tanto affrontato quanto delicato come la violenza di genere?

Il pubblico sia a quel tempo a Cape Town, dove però avevo recitato il testo in parte in inglese, sia qui a New York, reagisce sempre in maniera partecipe. Ha reagito come reagisce di solito il pubblico in Italia. Lo spettacolo colpisce molto, resta un lavoro molto emozionante. Io ero un po’ preoccupata, perché la storia è quella di una violenza sessuale nell’infanzia, e a New York esiste una società comunque diversa, e anche geograficamente lontana dalla nostra. Siccome la storia che io racconto è italiana si può dire che non corrisponda ai comportamenti americani, mentre invece colpisce nel segno anche qui, ne deriva che il messaggio che porto è universale.

Chi è Luisa e perché si racconta in un monologo-mosaico?

Un monologo-mosaico perché il racconto procede per frammenti. C’è un’evoluzione biografica nella storia di questa donna, Luisa, dall’infanzia alla gioventù all’età matura segnata dall’abuso del padre durante l’infanzia. Si costruisce appunto per frammenti che arrivano attraverso altre persone, frasi e luoghi, e che compongono singolarmente pezzetti di un mosaico. È un modo di raccontare che produce immediatamente delle immagini. La cosa un po’ particolare, infatti, di questo spettacolo è che viene vissuto come un film da chi lo ascolta. In scena ci sono solo io su uno sgabello, che narro la storia di diversi personaggi. Il modo di procedere per flash di questa storia permette a chi la ascolta di visualizzarla. In un mosaico vedi il disegno solo alla fine, grazie all’unione dei singoli frammenti, così accade anche nel racconto di questa storia, dove è solo alla fine che si comprende tutto quello che è accaduto mettendo insieme i pezzi al posto giusto.

Perché hai scelto di affrontare proprio il tema della violenza sessuale, aggravata dalla dimensione domestica, ossia quella di una figlia abusata dal padre?

Ho scelto di parlare di questo tema tanti anni fa. Mi rendevo conto all’epoca – e purtroppo constato che ancora adesso è così – che la violenza sessuale sulle bambine, e in particolare all’interno delle famiglie, rappresenta un tema non sviscerato sufficientemente, ma soprattutto tenuto nascosto. Inizia a trovare spazio verso la fine degli anni ’90, quando stavano nascendo in Italia dei centri che ascoltavano e accoglievano queste particolari vittime di violenza, e si incominciava a parlare anche della violenza sulle donne in generale. Sono usciti anche diversi libri al riguardo. In particolare mi ha ispirato un libro americano, The Best Kept-Secret di Florence Rush, che esamina in maniera approfondita l’argomento. Mi interessava, soprattutto, percorrerlo attraverso le testimonianze di donne che hanno vissuto questa esperienza sulla propria pelle nella loro infanzia. Mi è sorta l’urgenza di rompere il muro di silenzio costruito attorno a tutto questo. Mi rendevo conto di quanto gli abusi sessuali nell’infanzia fossero molto comuni nelle generazioni passate, ma non detti, assolutamente. Questa cosa l’ho poi verificata facendo lo spettacolo negli anni. Succedeva sempre che dopo lo spettacolo si avvicinasse qualche donna a raccontarmi che era successo anche a lei. Questo spettacolo andava a toccare esperienze che in qualche modo hanno sfiorato molte donne. E quindi l’intento era questo, politico, sociale: parlare del problema perché parlarne è il primo passo per affrontarlo e superarlo. Uno degli ostacoli maggiori affinché questo tema venga veramente superato è che molto spesso, avvenendo in famiglia, va a scardinare l’equilibrio famigliare: la famiglia viene messa in discussione. Ecco perché resta taciuto, perché quando gli eventi vengono scoperti, per esempio dalla madre, si preferisce tutelare la famiglia rispetto al benessere dei propri figli. Questo è il motivo per cui sentivo il bisogno di affrontare l’argomento. Negli anni ho riscontrato che questo violento fenomeno continua a esistere. Se pensiamo anche a come si è evoluta la cosa con il turismo sessuale, per esempio… ed esistono persino delle correnti di pensiero che vorrebbero legittimare la pedofilia! Insomma, è urgentissimo parlarne, e bisognerà farlo ancora per molto.

Secondo te c’è stata un’evoluzione nell’ambito della rassegna La Scena delle donne dalla sua prima edizione?
Sì, è iniziata come un piccolo festival nel 2006, poi è cresciuta sempre di più, diventando una manifestazione internazionale. Ciò è accaduto perché anche io ho cominciato a partecipare alle convention di teatro a livello mondiale e fatto da donne, come il Women Playwright International, La escritura de la/las diferencia/s. Questo ha permesso quindi di portare ne La Scena delle donne alcuni spettacoli del panorama internazionale. C’è stata una crescita a ogni edizione, a cui abbiamo cercato di assegnare un filone, un fil rouge, una specificità. Dopo il calo che c’è stato con la pandemia, già dall’anno scorso si sta riprendendo a regimi normali, anche con il concorso La giovane scena delle donne, nato nel 2018. Sicuramente è una manifestazione evolutasi in questo senso. Nel corso del tempo notavo che le proposte teatrali avevano interpreti, autrici, registe, sopra gli “anta”. Ho pensato al concorso sulla giovane scena affinché sui temi femminili si esprimessero e dessero il proprio contributo anche le nuove generazioni. Questo concorso ha avuto molto successo. A testimonianza di ciò, il fatto che sono sempre di più le candidate che partecipano. Dall’anno scorso ho voluto anche creare un collegamento fra le donne e i saperi del passato. Infatti ho promosso la ripubblicazione del libro La scena delle donne di Emilia Costantini e Mario Moretti che delinea, nella riedizione che abbiamo fatto ripubblicare, la storia delle donne dall’antichità  fino ad oggi. L’idea è anche quella di far sì che le nuove generazioni non perdano il patrimonio di storie e la ricchezza culturale che le donne hanno consegnato alla storia del teatro. Perché la storia delle donne è spesso stata rimossa, e anche quella del teatro: ci sono donne che hanno fatto, creato, avuto valore. È necessario che il teatro riprenda in mano tutto quello che le donne hanno fatto. Quest’anno La giovane scena delle donne viene promossa per incentivare le nuove generazioni a proporre spettacoli sulle donne e sulla memoria, sul patrimonio artistico del passato lontano, ma anche su quello più recente. Perché ci sia questa presa in carico dello spessore e della forza storica delle donne nella cultura e nel teatro. La missione che sta abbracciando La scena delle donne è in sintesi quella di ampliare sempre di più l’attenzione su quello che le donne hanno da dire.



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