Arti Performative

Intervista a Carmen Giordano di “Macelleria Ettore”

Cristina Lucarelli

Intervista alla compagnia “Macelleria Ettore”, una delle compagnie giovani più interessanti nel panorama italiano.

Macelleria Ettore è sicuramente una delle compagnie giovani più interessanti nel panorama italiano; il loro approccio ai classici in una maniera originale ed innovativa, la commistione di elementi teatrali e testuali alle coreografie, e molti elementi ancora, hanno posto il gruppo all’attenzione nazionale. In occasione della loro esibizione a Napoli, per il festival Movimentale, dove hanno portato Elektrika (e di cui abbiamo la recensione qui), abbiamo avuto modo di intervistare la regista della compagnia, Carmen Giordano.

Per iniziare, qual è stata l’idea che ti ha spinto a realizzare Elektrika?

Lo spettacolo nasce per la volontà di confrontarsi con la struttura dell’opera, che per noi era una novità, e a questo proposito abbiamo lavorato con questa compositrice, Chiarastella Calconi, che aveva già composto le musiche per il precedente NIP – Not Important Person, e a partire da questo poi abbiamo scelto il mito dell’Elettra proprio per la sua funzione di doppio contenitore, sia di tragedia greca e sia di opera lirica, su cui si è innestata questa sonorità elettronica.

Da ciò nasce anche la costruzione scenica dello spettacolo, che di fatto è un enorme carillon su cui si muovono i protagonisti.

Si, noi lavoriamo a stretto contatto con la nostra scenografa, che lavora con me allo studio della drammaturgia, e abbiamo creato questa struttura che ricorda anche due dischi che il dj “scretcha”, e a ciò abbiamo aggiunto la postazione del dj, che compare in scena per tutta l’opera, il quale con la musica fa muovere i protagonisti lungo questo carillon.

C’è anche un certo immaginario degli anni ’80 presente nello spettacolo.

In realtà gli anni ’80 sono caratteristici dell’immaginario della disco-dance, per cui quando vai a parlare di discoteca, che è una delle ambientazioni possibili di questo spettacolo, escono in maniera spontanea elementi come gli strass ed altro; è anche un discorso legato alle luci, perché usare gli strass e i led sui vestiti generavano una sorta di elettrificazione dell’aria che ci piaceva molto. Noi non abbiamo pensato consapevolmente agli anni ’80 nel momento della creazione dello spettacolo, ma è un po’ la conseguenza che tutto questo immaginario si porta dietro.

Una cosa interessante dello spettacolo è l’esistenza di due diversi piani di realtà: quello della musica e quello del silenzio.

Si, in realtà di silenzio vero e proprio c’è soltanto quello finale, ma questi due piani sono presenti in tutto lo spettacolo, anche perché i due personaggi si muovono specularmente, in realtà non si incontrano mai. Infatti lei alla fine quando si incontrano dice: “E’ strano vederti in un posto diverso dal sogno”, che è una cosa molto più fedele alla tragedia di quanto non sembri, perché c’è sempre questo modo di comunicare tra lei ed Oreste che è sempre mediata, lei non ha mai la certezza di incontrare Oreste, ma se lo sente, e noi abbiamo fatto questa trasposizione nel sogno. E poi ci sono due piani anche perché lei ascolta la musica, la sua verità è quella che c’è in cuffia, ma non è detto che sia la vera realtà, potrebbe essere anche semplicemente una ragazzina disturbata.

Adesso quali sono i vostri progetti futuri?

A Gennaio debutteremo con un lavoro legato ad Alice nel Paese della Meraviglie, che sarà un monologo fatto con la nostra attrice Maura Pettorusso, ma di cui ancora non so niente su come lo realizzerò perché sono ancora in fase di studio e di ricerca; a Giugno prossimo debutterà Amleto è morto, tratto da Shakespeare, al Fringe del Napoli Teatro Festival, dopo un periodo in residenza da Maurizio Panici ad Orvieto.



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