Arti Performative

VolterraTeatro: l’utopia di un nuovo pubblico?

Valentina Solinas

Alla trentesima edizione, il VolterraTeatro Festival ha aspirato alla società perfetta lasciandosi guidare dalle suggestioni evocate dal romanzo Utopia di Thomas More, che quest’anno festeggia cinque secoli dalla sua pubblicazione.


 

 La città toscana si era preparata a una seconda genesi, comunicata attraverso l’immagine di un uovo cosmico nel suo guscio latteo. Nella filosofia taoista, l’uovo è il contenitore perfetto di equilibri tra bene e male (yin e yang); e secondo le ricostruzioni dei miti pelasgici di Robert Graves la Dea Eurinome depose l’uovo da cui fuoriuscirono tutte le cose del creato. La forma ovale richiama la nascita sia nella filosofia Zen sia nell’induismo, e in epoca rinascimentale era simbolo d’illuminazione interiore, dell’Uno da cui trae origine il molteplice.

La società ideale teorizzata da More è stato il filo che ha legato insieme le tematiche di molti spettacoli andati in scena durante il festival. Quasi tutte le scelte in programma ricadono, infatti, sulla diversificazione di significati relativi al risveglio dell’umanità, e la scelta grafica chiude come un cerchio – perfetto – il festival di Volterra. 

L’evento centrale della programmazione, Dopo la tempesta. L’opera segreta di Shakespeare di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza, è una performance che designa la crisi socio-politica contemporanea attraverso la metafora della tempesta shakespeariana. Il lavoro è stato presentato nella tradizionale location del carcere di Volterra, la Fortezza Medicea.

Gli spettatori penetrano nella realtà penitenziaria e si ritrovano all’interno di una sorta di mini-arena delimitata da inferriate; siedono su strutture lignee poste su due lati dello spazio. La potenza estetica dell’allestimento scenico magnetizza lo sguardo del pubblico: uomini alti dai corpi muscolosi e tatuati indossano lunghe gonne bianche con strascico distribuiti accanto a croci o sopra altari di legno. Il testo della performance è una ricomposizione delle frasi più significative dei drammi shakespeariani, scelte in funzione di una riflessione sul tema della crisi sociale moderna. Armando Punzo, seduto al centro di una piattaforma lignea, assume il ruolo del drammaturgo; il suo corpo sottile, vestito con camicia e calzoni neri, si contrappone ai busti statuari degli attori/detenuti, i quali, ibridi nelle loro figure, non recitano alcun personaggio: sono voci che raccontano il loro sentire filtrato dalla penna del Bardo. Le frasi dei vari Lear, Riccardo III, Caliban, Cordelia, Ofelia, Desdemona, Iago sono frammentate, enunciate, rimanendo sospese come le atmosfere dello spettacolo, con gli attori che si muovono con incedere lento e surreale. La performance annulla il limite tra arte contemporanea e teatro, e tra vita e arte; e denuncia la decadenza sociale e storica, attraverso il vuoto, l’incomunicabilità, l’inespressività e la rinuncia all’azione. 

Dopo la tempesta. L’opera segreta di Shakespeare immortala il disfacimento della società coeva, rievocando metaforicamente una collettività immobile, minacciata dalla regressione spirituale e intellettuale, e Vai Oltre. Le città ideali, creazione collettiva guidata da Armando Punzo con l’associazione culturale VaiOltre!, (andato in scena al Teatro Persio Flacco, il 29 luglio), potrebbe essere letto come un contraltare del primo. Un gruppo di ragazzi corre, accompagnato ritmicamente da musiche di genere pop e rock; quando la musica si ferma, i giovani intervengono a turno citando pensieri e aforismi dei personaggi che hanno contribuito all’evoluzione scientifica e culturale dell’occidente. Sotto il tema delle città ideali, i due spettacoli di Punzo formano una dicotomia semantica: i reclusi riflettono il disagio contemporaneo, mentre il messaggio dei giovani è rivolto al futuro, alla speranza, alla vita che pulsa e si rigenera. 

Se VolterraTeatro affronta l’utopia di una società ideale, Massimiliano Civica propone il suo ideale di concittadini, ne I concittadini ideali. Una raccolta di citazioni estrapolate dalle varie monografie che il maestro Civica – per sua stessa ammissione – utilizza per arricchire il suo “diario” su Facebook, e con cui costruisce uno spettacolo dal forte taglio cabarettistico: un puzzle di racconti e pensieri in versione satirica, con frasi provocatorie di Robert Mitchum, aforismi di Emanuele Luzzati, Aldo Capitani e Peter Brook, e qualche ironica imitazione dei “maestri” che hanno illuminato il suo cammino d’artista come Andrea Camilleri. Un intervento divertente che sprona a superare i propri limiti, proponendo l’esempio di chi ha raggiunto la propria meta con successo.

Tra gli spettacoli che erano attesi del Festival è stato anche l’Amleto + Die Fortinbrasmaschine di Roberto Latini: un lavoro complesso e che tiene insieme due testi densi di significato, Amleto di Shakespeare e la riscrittura di Heiner Müller, Hamletmaschine. L’artificiosa drammaturgia è stata scritta in collaborazione con Barbara Weigel e non si esaurisce in una semplice rivisitazione dei testi, ma somiglia a una scatola cinese: l’Amleto shakespeariano già destrutturato nel testo di Heiner Müller subisce un’ulteriore trasformazione nella drammaturgia di Latini, e il punto di vista del principe danese è sostituito dalla visione di Fortebraccio per ritornare a tratti ad Amleto; la performance, quindi, diventa un grosso contenitore che ospita riferimenti ai miti dei nostri tempi, quali Mariilyn Monroe, Blade Runner, Carmelo Bene e altri.

Lo spettacolo si apre con la frase più suggestiva delle prime pagine del testo di Müller: «Io non sono Amleto»; un Amleto che si rinnega, straziato dal suo dramma, «Non recito più alcuna parte. Le mie parole non dicono più niente». Un avviso allo spettatore: a parlare non è Amleto, ma Fortebraccio, principe di Norvegia e alter ego di Amleto, con la sua virilità e la propensione a battersi per rivendicare le terre perse dal padre in guerra, lontano dalla molle tristezza di Amleto, al quale si accompagna il macabro desiderio di vendetta.

Già l’autore tedesco aveva intuito che Amleto rispecchia il caos storico di ogni epoca, e nel suo Hamletmachine, il testo di Shakespeare diventa una traccia che evoca le brutalità dei crimini nazisti nella seconda guerra mondiale.

Anche Roberto Latini rilegge i testi di Shakespeare e Müller per rievocare la decadenza, le tragedie e le tensioni di questo presente storico.

Ricca di riflessioni, la messa in scena è costituita da immagini di grande potenza estetica: un Amleto incapace di sostenere il dolore dell’assassinio del padre trascina il carro della sua infinita pena, e un Roberto Latini nella bellissima metafora di Amleto/atleta che ruota su se stesso con il suo lutto, come un ginnasta sugli anelli. La ripetizione infinita dei medesimi gesti e delle azioni all’interno di alcune scene, tuttavia, appesantisce e rallenta lo scorrere complessivo dello spettacolo. 

Come ogni anno, anche per l’ultima edizione, il festival di Volterra ha risucchiato la città etrusca nell’atmosfera festiva della manifestazione. Il pubblico, però, sembrava essere attratto dalla tradizione che si ripete annualmente più che dall’interesse vero e proprio per gli spettacoli proposti. I cittadini “ideali” di Volterra così come i visitatori esterni hanno partecipato passivamente e con scarsa attenzione ai vari spettacoli. Come già accaduto a Napoli (il quale ha avuto anche problemi di disorganizzazione, se ne segnalano gli articoli in merito, Francesca Saturnino per www.napolimonitor.it e Alessandro Toppi per www.ilpickwick.it), Santarcangelo e altri, ancora una volta, un altro festival teatrale mostra il distacco, un disequilibrio irreversibile, tra i cittadini e gli eventi culturali, in particolare di teatro. Sono per lo più i critici e i tecnici a girare i festival nei vari luoghi d’Italia, e molto difficilmente si riesce a parlare con uno spettatore e sentirsi sorprendere dalla sua conoscenza dei vari festival di teatro sparsi sul territorio : situazione piuttosto controversa se si pensa che solo in Toscana a partire dal mese di marzo si organizzano circa trenta festival di teatro, di vario genere, tra manifestazioni locali, teatro popolare ed eventi di risonanza. Sperando in una soluzione a questa anomalia, non possiamo fare che augurarci di avere una trentunesima edizione del festival di Volterra, dove sia presente una più viva partecipazione di quel pubblico totalmente estraneo ai meccanismi interni del teatro.

 

 



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