Arti Performative Dialoghi

“A Bottega” da Michele Santeramo al FestiValdera. Conversazione sulla descrizione di un metodo

Valentina Solinas

Il 26 maggio si è svolta stata la serata inaugurale del FestiValdera, prima edizione di un progetto triennale ideato dalla Fondazione Peccioliper e dal nuovo brand culturale The Other Theater della Fondazione Teatro della Toscana,  con il contributo della Fondazione Pisa e con il patrocinio del Comune di Peccioli, di Pontedera e di Montaione, in collaborazione con la Belvedere Spa e Toscana Resort Castelfalfi.

Il progetto toscano, assai ambizioso, promette un impatto culturale inedito sui territori della regione cercando di valorizzare diversi territori nel cuore della Toscana e creare una visione artistica che sia in stretta relazione con il territorio, scenario della quotidianità e del cambiamento, sociale e ambientale.

Michele Santeramo, uno dei più incisivi drammaturghi contemporanei, in rapporto di collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana da diversi anni, è l’autore scelto per questa prima edizione del FestiValdera, il cui tema di fondo è il Decamerone di Boccaccio, opera che si accorda con l’idea del rapporto uomo-ambiente, alla base del festival. Gli spettacoli, come il reading musicale Un amore (presentato in prima nazionale il 31 maggio), con Marco D’Amore su testi di Santeramo e le musiche di Francesco Mariozzi, sono in scena sul palcoscenico del nuovo Anfiteatro Tetro Era, nel parco esterno inaugurato per il progetto, ma anche allAnfiteatro del Triangolo Verde di Peccioli e nel borgo di Castelfalfi. Oltre a Marco D’Amore, protagonisti sono stati Anna Foglietta (Una guerra, 3 giugno) e Claudio Santamaria (Il potere, 8 giugno).

Nelle prime settimane di aprile, l’organizzazione del FestiValdera ha realizzato anche un laboratorio, condotto da Santeramo, A Bottega: l’iniziativa ha coinvolto attivamente dieci aspiranti professionisti già attivi nel panorama artistico e nella scrittura autorale, con la partecipazione di altri dieci uditori appassionati. L’evento non è stato un caso unico nella carriera di Santeramo, che ha spesso condiviso la propria poetica e il suo metodo di scrittura che gli hanno permesso di entrare in relazione profonda con i suoi personaggi.

A conclusione di questa prima edizione del FestiValdera, il 17 giugno nel borgo di Castelfalfi sarà possibile vedere una piccola parte dei risultati del laboratorio: debutterà lo spettacolo itinerante Racconti del Decamerone, interpretato dalla compagnia Bohemians Arte e Musical che interpreterà le canzoni tratte dalle novelle del Boccaccio, riscritte da Santeramo, alle quali seguiranno i brevi racconti redatti dagli allievi del laboratorio. Nel bel mezzo del festival, abbiamo intervistato l’autore.

 

Quando ti sei reso conto per la prima volta che volevi essere uno scrittore?

Da ragazzino mi guardavo intorno e pensavo che non potesse essere tutto semplicemente com’era. Sapevo che doveva esistere qualcosa di altro. Ma non trovandolo, questo altro, ho cominciato a raccontarmelo. Forse è cominciato così.

Se dovessi citare un autore che è stato importante per il tuo percorso, chi citeresti? Ad esempio durante il tuo laboratorio “A Bottega”, organizzato in occasione della prima edizione del FestiValdera, hai fatto spesso il nome di Eduardo De Filippo e di Umberto Contarello, però quest’ultimo è un grande sceneggiatore cinematografico, cosa pensi di aver imparato dal suo lavoro?

Ho partecipato molti anni fa a un laboratorio tenuto da Contarello; ero ragazzo e in quell’occasione lui mi ha insegnato una cosa determinante nell’approccio ai personaggi. Ma il mio autore, oltre Eduardo, è senza dubbio Calvino.

Durante questi incontri insisti molto sul tuo metodo personale e sembri focalizzarti soprattutto sull’interiorità del personaggio attraverso la pratica della “condizione-relazione”, una pratica che fa emergere stati d’animo. Qual è stato il percorso che ti ha portato a essa?

Diciamo sempre che in teatro cerchiamo la verità della relazione nella finzione della scena. Attraverso questa pratica di scrittura cerco di avvicinarmi il più possibile a quella verità di relazione. Parto sempre dal presupposto che le parole che usiamo e le azioni che compiamo siano soltanto il mezzo con cui cerchiamo di trasferire la nostra condizione emotiva. Tutti i processi sono lunghi, non so dire con esattezza quale sia stato il percorso che mi ha portato a questo metodo. Certamente passa attraverso il lavoro quotidiano.

Il personaggio deve essere vero nel teatro?

Il personaggio non è vero, la relazione tra gli attori può esserlo.

Anche se il teatro e la letteratura possono essere complementari, sono comunque due linguaggi differenti, quali sono i rispettivi vantaggi e svantaggi nella libertà d’espressione dell’autore?

Mi piace dire che la letteratura ha una scrittura “esplosa”, in cui ogni dialogo è sostenuto da descrizione di pensieri, paesaggio, sensazioni, emozioni. La drammaturgia è una scrittura “implosa”: tutto quel che in letteratura è disteso, in teatro deve stare nella battuta o nell’azione.

Durante lo sviluppo dell’opera i personaggi subiscono un’evoluzione, i loro stati emotivi mutano, ti capita mai di sentirti cambiato dopo aver concluso un testo? Ti riferisci a questo quando affermi di poter concludere un testo nel momento che questo non può insegnarti più niente?

Già. Non scrivo di quel che conosco, scrivo di quel che voglio imparare. Ogni testo è quindi una scoperta innanzitutto per me. Credo che quando questo avviene, nel testo ci finisce lo stesso senso di stupore che lo spettatore potrà riconoscere e magari provare. Quando quel senso di scoperta finisce, significa che il mio lavoro è terminato. Non perché abbia capito tutto, ma perché in quel momento non ho altro da imparare.

Pensi che il tuo metodo possa essere adattabile a una messa in scena che lascia più spazio all’immagine e al suono e limita la parola?

Sì, perché cerca di mettere in luce la condizione emotiva di chi abita la scena.

Quest’anno porti in teatro il Decamerone di Boccaccio, per la precisione i primi spettacoli sono ispirati al tema principale del testo boccaccesco, ossia la fuga dalle problematiche attuali (nel Decamerone i protagonisti si raccontano storie per salvarsi dalla peste). Pensi che l’arte possa preservare dal malessere contemporaneo, potrebbe guarire il pubblico?

Le storie guariscono, sì. Si ascolta una storia nella speranza che ci dia una indicazione, anche in maniera leggera, su come cambiare il nostro punto di vista. Sono specchi che riflettono continuamente la nostra immagine, e ce la mostrano sempre nuova e diversa.

 

 

 



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