Libri

#Focus. Anna Marchesini vista attraverso i libri.

Carmen Navarra

Lungo tutto l’arco della vita si conosce un enorme quantitativo di persone. Di queste, la maggior parte ci interessa poco, la si snobba con facilità, non ci colpisce, galleggia in superficie; ma le altre, ovvero quelle che non rientrano in questo ampissimo spettro, sono quelle che chiamiamo eccezioni, cioè persone difficilmente dimenticabili. Anna Marchesini ne è un esempio significativo.

Per chi, come la sottoscritta, appartiene alla prima generazione – quella pioneristica – di internet, l’incontro con gli altri può avvenire anche in altro modo, ovvero toccando spazi atopici, eppure esistenti: i social network. Se oggi ho deciso di scrivere un focus su Anna Marchesini è perché il passaparola virtuale circa la sua rappresentanza in qualità di ‘personaggio dello spettacolo’ (espressione, in tal caso, limitante) ha toccato anche il mio ‘micromondo’, che di lei aveva semplicemente abbozzato uno schizzo. La gloria post mortem ha puntualmente definito il disegno.

La notizia della scomparsa di Anna Marchesini arriva in un giorno caldo di luglio, mentre sono placidamente distesa sulle spiagge della costa tirrenica. L’accaduto mi spinge a voler approfondire la sua vita e la sua carriera; non mi impressiona tanto il clamore sollevatosi intorno al suo nome, bensì la rievocazione di una recente intervista che aveva rilasciato e nella quale presentava il suo libro Moscerine.
Chi era Anna Marchesini? L’indagine di scavo sarà singolare: non mi preme parlare esclusivamente del personaggio in senso canonico – anno di nascita, formazione culturale e artistica, e le classiche informazioni da biografia – quanto della persona che, scrivendo, ha messo a nudo se stessa, disvelandosi agli occhi dei lettori. Di fatto Moscerine (Rizzoli, 2013) è un viaggio nelle vite degli altri che non lascia spazio né al caso né all’immaginazione, poiché l’ampio parterre dei suoi personaggi viene vivisezionato attraverso minuziose descrizioni. L’esposizione mediatica dell’attrice di origini umbre, meglio nota come la punta di diamante del trio comico Solenghi-Lopez-Marchesini, nonché regista e sceneggiatrice di un nutrito numero di pièce teatrali (l’ultimo dei nove racconti di cui è composto Moscerine è andato in scena l’anno successivo alla pubblicazione), si riversa sui protagonisti delle storie, quasi esclusivamente di sesso femminile. Le loro vite ordinarie – al pari di quelle dei moscerini, o meglio delle moscerin-e che indicano, nell’inesistente desinenza al femminile, il corrispettivo della scelta del loro sesso – vengono miracolosamente autenticate dall’autrice. Accadimenti all’apparenza effimeri e fulminei, poco rilevanti, se non addirittura invisibili (come gli insetti menzionati nel titolo), diventano determinanti per i personaggi che li vivono, rappresentano, nella loro epifania, una svolta sostanziale in esistenze altrimenti anonime. È il caso di Nelda, una donna “non proprio brutta, no, piuttosto era opaca […], nessuno la notava, passava quasi inosservata, lei ne era felicissima, in mezzo agli altri si sentiva impacciata non sapeva mai cosa dire e come dirlo, aveva il terrore di venire interpellata proprio lei, qualsiasi domanda anche una a cui fosse facilissimo rispondere”. Il suo modo di essere la spinge a delegare tutte le scelte – compresa quella di sposarsi – alla sua amatissima sorella Flora, di contro affascinante e tenace (da questo accadimento la protagonista subirà un’evoluzione inattesa). È il caso della Signorina Iovis che “in tutta la sua vita si era storta una caviglia”, anche se da questo singolo e apparentemente banale evento si innesca un paradossale meccanismo per il quale la sua felicità è irrimediabilmente compromessa. È il caso di Maria Luce Colli, una professoressa di matematica taciturna e impenetrabile che combatte con ogni mezzo possibile la progressiva cecità di suo figlio senza che nessuno ‘al paese’ abbia il sospetto che, pur di trovare i soldi per l’operazione, arrivi a prostituirsi. Il tono drammatico di questi racconti si assomma a quello comico di altri, come accade in ‘La torta nuziale’, nel quale l’autrice narra con una maestria degna del Daniil Charms di Casi (Adelphi, 2008) una vicenda esilarante, ovvero l’arrivo di ‘ospiti invisibili’ alla festa: si tratta di mosche descritte meticolosamente nell’atto di mordicchiare la torta con estrema voracità, all’insaputa degli invitati che sono in procinto di mangiarla: “Tre, tre obbrobriose macchie nere, precise nette inzaccherano la panna immacolata, ogni mosca ha scelto il suo territorio, il suo disco volante nuziale, si ignorano, per lo più rimangono distanti, soltanto per un attimo due di loro si scontrano sullo stesso preciso punto, eh no! Allora ecco, si avverte un ronzio acuto nervoso, un battibecco convulso, una ridicola infinitesimale manifestazione di isteria collettiva, la mimesi, l’epico accenno all’andamento di una bega condominiale […]”. La tecnica narrativa dell’ironia tragica – o meglio tragicomica – attecchisce anche nel racconto ‘Il salotto’, dove viene bonariamente sbeffeggiata Madame Isidori, un personaggio frivolo e che ama circondarsi di gente altrettanto insulsa. Stilisticamente si ha l’impressione che a tratti la Marchesini pratichi un esercizio di retorica fine a se stesso poiché l’uso di un linguaggio formalmente ineccepibile e l’arbitraria assenza di punteggiatura tesa, probabilmente, a creare un ritmo ossessivo e repentino, penalizzano, talvolta, la linearità e la scorrevolezza del contenuto.

La verve comica della Marchesini è ‘affar noto’ sin dagli anni ’80: a consacrare il suo successo attoriale sarà la creazione di personaggi massimamente esilaranti, presentati in diverse edizioni di Domenica In e Fantastico (il più celebre dei quali è l’irriverente sessuologa). Tuttavia la Marchesini, nel corso della sua lunga carriera, mostra estrema duttilità: la vena comica è altresì interrelata a quella di un animo sensibile e profondo. Questo tratto emerge in particolar modo quando l’artista approda alla scrittura con la pubblicazione di Il terrazzino dei gerani timidi (Rizzoli, 2011) in cui gli occhi timidi di una bambina fragilissima esplorano in chiave decisamente inusuale il mondo; e prosegue con Di mercoledì (Rizzoli, 2012), che narra la vicenda di Elsa, una donna spilungona e svampita che tutti i mercoledì si reca al quinto piano di un palazzo per assistere a delle sedute psichiatriche di gruppo. La capacità di esaminare l’universo – in particolar modo quello femminile – e di decifrarne i suoi insondabili aspetti sono evidentemente abilità legate all’esperienza personale dell’attrice/scrittrice. Negli ultimi anni di vita, infatti, la Marchesini ha lottato contro una grave forma di artrite reumatoide che l’ha lentamente e progressivamente deformata nel corpo, fino a spegnerla del tutto pochi mesi fa. Durante questi anni di prostrazione e sofferenza fisica, sono tuttavia rimaste intonse la grinta e la passione che l’hanno contraddistinta da sempre; inoltre l’amore per il teatro l’ha spinta, a partire dal 2007, ad insegnare nell’ Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico dove si era diplomata molti anni prima.
Gli studi di psicologia prima, quelli di teatro poi (Pirandello e Moliere su tutti), il talento innato, la forte espressività della mimica, la vena comica, le capacità scrittorie hanno reso il personaggio Marchesini irripetibile nonché dei più compianti dal pubblico; ma sono soprattutto la dignità con cui ha affrontato la malattia e la grande umanità del suo essere (stata) Anna, ad averla cristallizzata nel tempo.



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