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La famiglia di Pascual Duarte

Carmen Navarra

“La famiglia di Pascual Duarte” (Utopia, 2020), opera d’esordio del vincitore dello scrittore spagnolo premio Nobel per la letteratura 1989 Camilo José Cela, è un romanzo che porta alla luce i nostri demoni interiori. Quando non si riesce ad arginare la frustrazione derivata da una vita di stenti, pur provando ad opporle con abnegazione una certa dose di coraggio e di resistenza, si tenta di vincere con l’odio e con la violenza e su quella catena di odio e di violenza si imbastisce la propria esistenza.

Duarte, che è insieme il narratore e il protagonista della vicenda, è un condannato a morte che decide di trascorrere il tempo che gli resta da vivere in carcere scrivendo la sua biografia. La storia, anticipata da una nota del traduttore che informa il lettore di aver trovato il manoscritto in una farmacia di Almendralejo, la cittadina di provenienza di Duarte, ripercorre tutte le tappe della sciagurata vita di quest’uomo. Nella sua famiglia trionfano sin dall’infanzia la violenza e l’analfabetismo, la povertà e l’alcolismo, a cui si aggiunge la scomparsa prematura del fratello minore Mario, “nato scemo”, come chiosa nel romanzo Cela, il cui pensiero resterà sempre vivido nella memoria del protagonista. L’affetto quasi goffo di Pascual verso suo fratello diventa più accorato nei confronti della sorella Rosario, il personaggio a cui sono dedicate le pagine più belle del romanzo – divenne quasi una ragazzina e, per quel che potemmo osservare del suo carattere, ci rendemmo conto che era più svelta di una lucertola e , siccome in famiglia a nessuno di noi era capitato di saper fare uso dell’intelligenza ai fini per cui ci era stata elargita, ben presto la piccola divenne la regina della casa e tutti ci faceva rigare dritto – .

Dallo squallore della sua adolescenza, Pascual impara la lezione peggiore, quella di essere violento “per natura” ed usa questa cosiddetta natura come unico strumento di riscatto: Cela tinteggia così il ritratto di un derelitto che alla violenza subita risponderà con altrettanta violenza. I (pochi) momenti di “normalità” – due matrimoni – sono messi in discussione dall’altro grande motivo che permea il romanzo, la sorte: tutte le volte che Pascual tenta una ripartenza, la cattiva sorte – nominata più volte dal protagonista – gli sbarra il cammino: dopo la perdita di due dei suoi figli (il primo per un aborto spontaneo della prima moglie e il secondo a soli dieci mesi dalla nascita), Duarte fugge dalla sua vita e prova a costruirne un’altra viaggiando prima verso Madrid e poi verso la Coruña; il suo sogno di raggiungere l’America si frantuma per mancanza di mezzi. Così l’amarezza di una vita cupa e crudele inghiotte il protagonista e si tramuta gradualmente in ferocia seriale – l’odio più soffocante era l’unica sensazione che mi scorreva nel sangue – e in una condanna senza appello.

Nonostante la vittima si sia trasformata in carnefice, resta un sentimento di umana pietas verso Duarte, se non da parte del lettore, senz’altro da parte del cappellano del penitenziario che lo incontra prima che lui venga condotto al patibolo: “forse ai più appare come una iena (come apparve anche a me quando fui chiamato nella sua cella), sebbene a sondare la sua anima si potesse intuire che altro non era che un mansueto agnello, atterrito e aizzato dalla vita”.




Altro

  • Autore: Camilo José Cela
  • Titolo Originale: La familia de Pascual Duarte
  • Traduttore: Salvatore Battaglia
  • Nazione: Spagna
  • Lingua: Spagnolo
  • Editore: Utopia
  • Data di Pubblicazione Originale: Ottobre 1942
  • Data di Pubblicazione Edizione Recensita: 17 Settembre 2020
  • Tipo di Media: Stampa
  • Pagine: 155
  • ISBN: 979-1280084026

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