Libri

Una volta ancora. L’originale – Intervista a Stefano Piccirillo

Maria Rosaria Carifano

Giochiamo al “se fosse” con l’amore. Una sola regola: fornire una risposta secca, univoca. Allora, cominciamo… Se l’amore fosse una canzone, quale sarebbe? È molto difficile scegliere. Il brano che ci ha fatto sognare oppure la colonna sonora della nostra storia importante? Quello che ci è rimasto scolpito nel cuore o il nuovo pezzo appena scoperto?
E se l’amore fosse un cibo? Anche qui, che indecisione. Si può andare dal comfort food della cena in due sul divano alla specialità di quel localino sul mare scoperto durante un’improvvisa fuga romantica.
Ma se l’amore fosse un paio di scarpe? Ah, qui non ci sono dubbi: sicuramente, quelle da ginnastica. Non le calzature eleganti delle prime uscite, dove ognuno veste la migliore versione di sé che non combacia mai con il proprio intero; né tantomeno quelle destinate al posto di lavoro, accuratamente abbinate e appositamente scelte. Le scarpe dell’amore sono comode, informali, pronte ad essere usate così come tolte. Fatte per le passeggiate, i giri tra i negozi, le domeniche al parco e le gite fuori porta. Tutte quelle piccole cose di cui l’amore si nutre, che rendono complici e hanno il sapore della certezza.
Lo sa bene Stefano Piccirillo, storica voce di Radio Kiss Kiss, che per il suo sesto libro “Una volta ancora. L’originale” ha scelto di metterle perfino in copertina, le sneakers. Blu, come il mare di Napoli, la città dove i passi dei personaggi della sua storia si muovono, si separano, si intrecciano.
Un romanzo scritto in prima persona, quasi un diario, dove autore e protagonista coincidono: Stefano, speaker famoso, cinquantenne. Eppure, non è un’autobiografia: “Quello che state leggendo è il mio “sentire” l’amore, come vivrei una storia, nessun riferimento a fatti persone o luoghi è reale ma frutto della fantasia”, scrive ad un tratto Piccirillo, rompendo la “quarta parete” con il lettore e fugando il dubbio avuto fin dalla prima pagina.
Una volta ancora. L’originale” nasce come naturale evoluzione della storia e dei personaggi incontrati nel romanzo precedente, “Una volta, ancora una volta”. Qui lo “Stefano” del libro incontra Alessia, una fan che gli ha scritto su Messenger. Un messaggio che potrebbe sembrare come quello di tante, stregate dalla sua voce e in cerca di attenzioni dal personaggio noto, eppure è diverso, profondo. Lui risponde dopo un anno e, nonostante il primo contatto d’interesse sia venuto proprio da lei, cederà per primo all’amore.
Terza protagonista è la musica, che ha un ruolo centrale sia nella storia che nella scrittura di Piccirillo. Spesso intere canzoni sostituisco i pensieri, raccontano i momenti. D’altronde, come l’autore precisa, “la musica conosce tutti i fatti nostri”.

Ma da dove nasce l’esigenza di scrivere un libro sull’amore ideale? Soprattutto in un’età in cui di solito si è più disillusi…

Io non vivo l’età anagrafica in modo circoscritto all’illusione o alla disillusione. Semplicemente, vivo la vita. Molto intensamente, per il carattere che ho, per le cose che faccio. Per questo parlare d’amore è indifferente a qualsiasi età ed è stato naturale scriverne. È un argomento che ho già trattato nei miei precedenti romanzi in altre sfaccettature, come le fragilità, la gelosia e il senso di possesso, la dipendenza affettiva. Con il passare del tempo, ho solo messo nero su bianco le mie emozioni e la mia immaginazione. Questo libro nasce da un’ispirazione che per me ha un valore assoluto: l’amore dei miei genitori, che ho traportato nella contemporaneità.

Perché un affermato speaker radiofonico ha sentito la necessità di mettersi alla prova come scrittore?

Mi hanno definito “radio-scrittore”, ed è un’espressione che mi piace. Penso ai miei libri come a delle trasmissioni radiofoniche, non vivo nessun tipo di passaggio se non quello dall’arte oratoria al mettere nero su bianco, ma sono sempre io, con le mie emozioni. E pur avendo pubblicato dei libri non penso mai a me come “scrittore”, non mi pongo in paragoni letterari di nessun genere. Per me scrivere è un dono, un’ulteriore forma di comunicazione che uso e che vuole comunque essere diretta. Non mi trasformo, uso un linguaggio semplice.

È inevitabile che nei nuovi lavori letterari compaiano i social, e nel suo libro il loro ruolo nelle storie d’amore è palesato in tutte le caratteristiche. Possono essere dei facilitatori nelle relazioni, aiutano a farsi conoscere, ma scatenano anche nuove gelosie. Stefano protagonista li vive in tutti questi aspetti e un po’ li subisce. Qual è il pensiero di Stefano autore, a riguardo?

I social sono un nuovo mezzo, com’è stato il telefono, per comunicare con gli altri. Ovviamente hanno una tempestività, un’immediatezza diversa. Mi piace pensare al social come ad un’evoluzione del cellulare, ma non come a qualcosa che sostituisca la realtà. Nel libro ho immaginato una lettera scritta su Messenger perché mi capita di ricevere, attraverso i social, dei complimenti oppure dei pareri sul mio modo di lavorare in radio, da parte di ascoltatori o di persone che mi hanno conosciuto. Ho dato uno specchio di contemporaneità ad una storia che, volendo, è “antica”, fatta di un sentire oggi raro.

Nel libro viene chiarito che non c’è pretesa di universalità: questo è il punto di vista personale di un uomo sull’amore. Ma c’è un messaggio che vuole lasciare ai lettori?

Non sono nessuno per dare dei messaggi, spero che innanzitutto il lettore si identifichi con le emozioni e con i protagonisti. E poi che si percepisca che, quando un amore finisce, non deve per forza trasformarsi in tragedia. Bisogna anche saper coccolare il ricordo ed essere felici di aver fatto quel pezzo di strada insieme, rispettando le decisioni altrui. Quando parliamo di amore ideale abbiamo in mente un modello puerile, favolistico. Invece vorrei che prima o poi tutti potessero vivere un amore che non è perfetto, proprio perché reale, ma è comunque pieno di rispetto. Un amore ideale ma non idealizzato. All’interno di una storia ci possono essere alti e bassi, altalene e montagne russe, ma il rapporto deve essere sempre sano. Non voglio fare la morale a nessuno, perché il mio è un romanzo leggero, ma oggi c’è spesso un’estremizzazione nelle relazioni e nelle rotture. La sofferenza è a tutti gli effetti un pezzo del puzzle dell’amore, composto anche da gioia, complicità, passione, divertimento. Ogni persona lascia qualcosa in noi, ha fatto parte della nostra vita, ma se si sta bene con se stessi si riesce ad avere cura del ricordo pur andando avanti.

Non spoileriamo il finale. Ma ci sarà un seguito a questo libro, una “terza volta”?

Non lo escludo. “Una volta ancora”, in fondo, è un titolo divertente, che si presta a varie interpretazioni e lascia aperta la possibilità di un ritorno. Se i lettori dovessero appassionarsi ai protagonisti… Perché no?



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