Arti Performative Focus

Trasparenze Festival VII edizione // le utopie danzate di Simona Bertozzi e Balletto Civile

Maria D'Ugo

È un titolo che si è fatto eco fra il web e fra le chiacchiere di chi vi ha assistito e preso parte, quello della da poco conclusasi settima edizione di Trasparenze Festival – “Muovere utopie”. Un’idea che si pone al limite dell’ossimoro nell’accostare la perfezione immobile, lontana e spesso monolitica dell’utopia alle vibrazioni anche emotive connesse al verbo della mobilità, della motilità. Ma che è compresa in totosicuramente nelle intenzioni della compagnia modenese del Teatro dei Venti, sua ideatrice, e del direttore artistico Stefano Tè, con la consulenza di Giulio Sonno, declinandosi in quattro giornate in cui continuare a muoversi “svicolando” fra una dimensione e l’altra: dalla spettacolarità di piazza del Moby Dick (di diretta paternità della compagnia, che dopo le diverse anteprime dello scorso anno arriva ora al suo debutto ufficiale) agli insight all’interno delle carceri di Castelfranco Emilia (con il progetto curato da Nicola Borghesi della compagnia Kepler-452 con i detenuti) e di Sant’Anna (con la lettura scenica Divine di Danio Manfredini su testo di Genet), dall’atmosfera leggera dell’area festival all’intimità del Cimitero San Cataldo o della sala de La Torre, dalla conclusione formale dello spettacolo alla fragilità aperta del progetto o dell’esito di laboratorio; seguendo un percorso che avrebbe dovuto trovare il suo culmine in un ulteriore svicolamento domenicale in Appennino, se non fosse stato per un ancora ulteriore passaggio, stavolta dall’utopia alla surrealtà, che ha fatto sì che la neve fuori stagione rendesse impraticabili le strade di Gombola, borgo d’elezione. Nel movimento, l’elemento saldo, e dunque quello davvero utopistico, riguarda un aggancio umano fatto di sguardi da rivolgere verso un territorio e verso certe pratiche inclusive da trasformare in un respiro di lentezza, e in un certo agio nella relazione in cui recuperare quella “trasparenza” che permetta che dietro le forme e le formule, senza necessità di doverla esplicitare e senza sovrastrutture che ne schiaccino l’effettiva densità, emerga naturalmente la consistenza della loro proposta, e sicuramente l’impegno su questo fronte è tema caro al mondo delle arti, mai da de-limitarsi e sempre da rimettere in discussione. Su quello artistico, di sicuro la serata del 3 maggio ha lasciato che le parole si riducessero, diventando il fiato sodale del corpo sottratto alla quotidianità negli spettacoli di Simona Bertozzi e di Michela Lucenti, coreografa della compagnia Balletto Civile.

Bertozzi ha presentato “OHHHH” Appunti per una nuova danza: la prima serie di appunti coreografici creati per un lavoro più grande che sarà in debutto alla Biennale Danza di Venezia 2019, ed è meno uno stupore, meno un’esclamazione, che un vero e proprio respiro che pervade tutto il corpo. La condizione eretta e la frontalità con gli spettatori sono due regali che la performer si guadagna con calma, mentre in lingua inglese i tre vettori di movimento, dichiarazioni di stato che direzionano la coreografia, si sovrappongono a una piccola base musicale che non dà nessun tipo di input ritmico a un corpo che cerca al suo interno le condizioni di stabilità ed equilibrio. The line, the spine, the ball: nella semplicità delle linee, il corpo di Simona Bertozzi esplora le sue varie possibilità. Un moto continuo, fluido e delicato anima anche i momenti fisicamente più precari: mentre le mani disegnano sulla schiena linee dritte e “radicali”, i piedi cercano nei colpi battuti col dorso sul pavimento la possibilità per le ginocchia di essere un vertice di quel balance che quando raggiunto è davvero una scoperta e una meraviglia, nella voce della danzatrice. What do I see? La sfida sembra essere quella non solo della conquista di una posizione eretta, che dà modo alla maggiore “spigolosità” razionale della lingua italiana di far capolino nella partitura fisica (quale strada dovrei prendere? Dipende da dove vuoi andare. Allora non ha importanza che strada prendi.) ma di una morbidezza all’interno del rituale, in cui nessuna gravità, a un tempo concetto fisico e comportamentale, arresti del tutto un respiro che continua a propagarsi negli interstizi muscolari. E che prosegua oltre, anche nel radicamento al suolo: fra la roccia, il corpo, gli abitanti e il volume dell’aria, come, ancora in italiano, ci viene detto in un fiato.

Alla semplicità di OHHHH, il CONCERTO FISICO di Michela Lucenti fa da contrappunto e variazione, si pone sulla direttrice opposta: all’ambiente essenziale fin nel piano luci e vuoto di scenografia del primo si sostituisce un ambiente di “pieni”, occupato da più elementi, con tecnica a vista, e solcato dai grossi fili colorati dei microfoni attraverso cui far propagare l’estesa voce della Lucenti. Una voce decisa e risoluta, forte di una ricerca vocale che ha attraversato tutti gli anni della compagnia Balletto Civile e rispetto ai quali CONCERTO FISICO è quasi un “greatest hit”, la summa di un percorso compiuto. La volontà è quella di cogliere un intervallo nel movimento, un punto nel caos. Stasi intima e movimento forsennato e rabbioso si alternano continuamente nella coreografia, con gradazioni e temperature che sembrano puntare ai rispettivi estremi. Proprio attraverso la voce il soggetto può amplificarsi nella densità delle azioni fisiche, che attraversano la duplice dimensione del trasformativo verso l’esterno e di scavo e rivolgimento verso l’interno. Le ginocchia puntate l’una contro l’altra chiudono il corpo e acuiscono la percezione di una fragilità così come le campionature vocali aprono alla condivisione delle parole: quelle che la danzatrice estrapola da due piccoli diari neri, che senza nostalgia raccontano di un disagio insostenibile. Tiziano Scali e Maurizio Camilli, ideatori del disegno sonoro live, fungono a loro volta da contrappunto, introducendo un’ironia studiata e familiare in risposta a questo particolare ritmo coreografico teso in larga parte a portare all’eccesso movimenti e sonorità, che si congestiona in rabbia e rigidità prima di arrivare a sciogliersi, piano, fra note finalmente lasciate ad altri (sono i due “tecnici” ora, a “stonare” con grazia No Surprises dei Radiohead), e condividere col pubblico altre piccole annotazioni dal diario, finalmente in riposo e al caldo di una coperta termica. Frasi che corrispondono alla preghiera che Michelangelo Buonarroti fece al suo allievo Antonio Mini, dopo avergli richiesto di realizzare una copia della “Vergine con bambino”: “disegna, Antonio, disegna e non perder tempo”. Non perder tempo, continuare a muoversi portandosi dentro quel solido punto di fermezza: un imperativo a cui tornare come al calore di un buon consiglio.

 

[Immagine di copertina: Michela Lucenti/Balletto Civile. Foto di Chiara Ferrin]



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