Arti Performative

stabilemobile // Aminta

Carmen Navarra

Nelle parole scroscianti e fendenti dei personaggi, negli originali rimandi alla contemporaneità – la simulazione della voce ruvida e aggressiva di PJ Harvey – si nasconde l’essenza di Aminta, l’ultima opera teatrale della compagnia stabilemobile di Antonio Latella, andata in scena alla Triennale di Milano dal 17 al 20 gennaio.
La maestria di Latella, il quale si è già interfacciato nella sua lunga e autorevole carriera con opere letterarie e teatrali di grande complessità, si esprime qui con una non sempre accessibile chiave di lettura: nella scelta linguistica e formale di portare sul palco il dramma pastorale così come venne scritto da Tasso nel 1573, si ravvisa la “fatica” dello spettatore, che, pur non essendo intenzionato a perdere la concentrazione, trova difficoltoso e quasi ostico l’approccio ad Aminta.
Il dramma si snoda in due atti: Aminta (Emanuele Turetta) è un giovane pastore innamorato di Silvia (Matilde Vigna), scontrosa ninfa, fiera più che tutte le fere, che, non ricambiando i sentimenti di lui, lo rifugge ostinatamente. Inutilmente favorito dai più esperti Dafne (Giuliana Bianca Vigogna) e Tirsi (Michelangelo Dalisi), Aminta precipita in una sempre più cupa disperazione, finché, credendo erroneamente che Silvia sia stata sbranata da un lupo a causa del ritrovamento del mantello di lei impregnato di sangue – invero impigliatosi tra i rami di un albero – si getta da una rupe. Silvia, al racconto del suo suicidio, arresta la sua riluttanza scoprendosi innamorata di Aminta e scoprendo, infine, che la sua caduta è stata attutita da una siepe. Se in Tasso il dramma (il presagio di morte per entrambi) si trasforma in favola (il ricongiungimento dei due), in Latella il “focus” resta ossessivamente concentrato sui quattro personaggi, il cui esercizio retorico appare lodevole ma anche lezioso, prodigioso ma anche straniante. Anche la scelta di una scenografia essenziale (rotaie di legno su cui si muove l’unico faro; le scene sono di Giuseppe Stellato) e la quasi totale staticità dei personaggi (due dei quali spesso in ombra) risultano volutamente perturbanti: se da un lato le altere figure costringono lo spettatore a restare inchiodato alle loro parole pregne di poetica espressività, dall’altro lo escludono con rapida facilità; basta poco, infatti, perché la visuale risulti disarmonica e l’attenzione si vada smarrendo nello stesso buio di cui è intriso il palco.
Meno rigida è la parte finale del primo atto – che prelude ad una seconda, enfatica e comunicativa. In odore di lucida tragicità, si assiste alla “metamorfosi” di Aminta in Satiro, che avviene con l’ausilio delle febbrili mani di Silvia la quale sveste la medesima figura (Emanuele Turetta), determinando quasi una mescolanza tra due forme viventi antitetiche. Eppure nel loro sdoppiarsi e/o sovrapporsi, i personaggi sono in grado di rappresentare la duplice natura dell’essere umano, l’umanità e la bestialità. In un quadro ancora più esteso e complesso, essi restano fermamente speculari: Dafne è la confidente di Silvia, Tirsi è il confidente di Aminta, Dafne e Tirsi rappresentano l’amore vissuto e carnale, Silvia e Aminta quello agognato e platonico.
Su questa linea di demarcazione molto tremolante – le rotaie di legno sulla scena – si costruisce una incerta congiuntura tra più estremi, che tocca l’apice nel finale, ovvero nella trasformazione di Silvia in cantante rock, smodata e scomposta nel suo bisogno di esternare l’amore per chi ha finora rifuggito: “Lecca le mie gambe, io sono in fiamme, lecca le mie gambe di desiderio”, grida con veemente compiacenza. La favola pastorale del 1573 è stata trasposta in un happy ending dei giorni nostri.

 

AMINTA

di: Torquato Tasso
regia: Antonio Latella
con Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca Vigogna
drammaturga: Linda Dalisi
scene: Giuseppe Stellato
costumi: Graziella Pepe
musiche e suono: Franco Visioli
luci: Simone De Angelis
movimenti: Francesco Manetti
assistente alla regia: Francesca Giolivo
production: Brunella Giolivo
management: Michele Mele
produzione: stabilemobile
in collaborazione con: AMAT e Comuni di Macerata e Esanatoglia nell’ambito di “Marche inVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma”
progetto di MiBAC e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo
© Andrea Pizzalis per Centrale Fies



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