Arti Performative

#Shortheatre. Cie L’Alakran // La casa di Eld

Sara Benvenuto

Dal racconto di Robert. L Stevenson. Oscar Gomez Mata, della compagnia Cie L’Alakran, ha tratto uno spettacolo che si confronta con la lotta generazionale, con la spinta al rifiuto e alla sovversione degli schemi. 

“La rivoluzione delle parole” della nona edizione di Short Theatre ha aperto i battenti con uno spettacolo tratto dalla favola di Robert. L Stevenson. Oscar Gomez Mata, regista della compagnia Cie L’Alakran, si confronta con la lotta generazionale, con la spinta al rifiuto e alla sovversione degli schemi.

Lentamente la scena si compone destrutturandosi, il buio cede lentamente spazio alla luce, a turno un folto gruppo di adolescenti entra in scena prendendo la parola. Si presentano, uno ad uno, sono tutti Jack, protagonista della favola che sta per essere raccontata, simbolo del cambiamento in atto: “Sono Jack , ho 10 anni e rifiuto”. Il potenziale sovversivo di quelle parole esplicita la volontà di affidare ai giovani la possibilità di destrutturare un passato ingombrante.

Il gruppo di ragazzi, formatosi attraverso i laboratori condotti a Roma in collaborazione con il festival, determina l’andamento dello spettacolo, accompagnando in scena i tre cantastorie. Sulle spalle del giovane Jack, protagonista del racconto, pesa il fardello del cambiamento, della ribellione, il peso della tradizione, della buona condotta e della dottrina cattolica: “Questo non basta perché un uomo porti le catene alla gamba destra”. Il coraggioso atto di liberazione in nome della salvezza altrui si rivela però una prigione, una cruda conseguenza.

Il corpo dello spettacolo risulta però troppo breve e poco significativo in confronto all’apparato scenico che lo contorna: intramezzi cantati, alternanza di luce e oscurità, dispositivi digitali di sovrimpressione, ombre cinesi. La spettacolarità delle danze, della composizione scenica, dei molteplici elementi atti a costruire il messaggio della sovversione tendono ad offuscare la struttura narrativa e ad allungare eccessivamente l’impianto. 

Circolarmente sul finale si torna sulla formazione giovanile, sull’inquietudine contemporanea che spinge a demolire il passato per costruire una fortezza nuova, una struttura che sostenga le nuove istanze: “Quanto tempo ci date per costruirla?”. La forza visiva ed evocativa di quest’immagine, seppur anch’essa eccessivamente lunga, ristabilisce sul finale un bagliore di speranza, rivedendo in quella collettività in moto una salvezza dall’oscurità. 


Dettagli

  • Titolo originale: La casa di Eld

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