Arti Performative Focus

Rimini Protokoll // Remote Milano

Renata Savo

Siamo stati a Milano per partecipare al progetto itinerante firmato dal pluripremiato collettivo tedesco Rimini Protokoll. Attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie e la performance urbana, Stefan Kaegi ha sfumato i contorni che definiscono realtà e finzione; il risultato, più che uno spettacolo teatrale, è un’esperienza di vita indimenticabile

Percorro un lungo viaggio da Roma a Milano per Remote X – per l’occasione, Remote Milano – il progetto che Stefan Kaegi e Jorg Karrenbauer, del noto e pluripremiato collettivo tedesco Rimini Protokoll, stanno portando in numerose città del mondo; tra quelle elette come scenario, è stata una vera fortuna che abbia figurato anche Milano, unica tappa italiana, dopo Berlino, Vienna, Avignone e San Pietroburgo.

Cuffie. Ricevitore. La riuscita dello spettacolo dipende in sostanza da noi: ci sediamo, ci alziamo, chiudiamo gli occhi, immaginiamo, camminiamo uniti, corriamo, giochiamo, danziamo. Rappresentiamo nient’altro che noi stessi anche se siamo un’orda guidata dalla voce femminile elaborata e diretta da un sistema operativo. Una donna che non esiste, appunto, ma dice di provare i nostri stessi sentimenti; Fabiana (così si presenta ai partecipanti), come il personaggio virtuale di Samantha nel film Her di Spike Jonze, si compone di voce ed emozioni, senza corpo che le contenga o volto che le esprima. D’altra parte, non rappresenta neppure una sola donna – così afferma – ma 2500 diverse, 2500 voci accuratamente modulate tra loro; e aggiunge che ogni sillaba da lei pronunciata è data dalla stessa combinazione di lettere estratta da altre parole. Non è un caso che per spiegare questo lungo processo creativo prenda come esempio la parola “identità”, in cui compare la sillaba estrapolata da “intimità”: l’identità rappresenta un concetto cardinale del progetto, dove si esalta sia l’immagine della città, con le sue caratteristiche peculiari, sia quella del singolo individuo, che conserva una sua ‘“intima” visione del reale persino nell’attimo in cui le sue azioni, e di altri suoi simili, sono suggerite da una volontà superiore, trascendentale.

Insieme a noi, gli altri “attori” che incrociamo sul nostro cammino dal Cimitero Monumentale all’Ospedale Fatebenefratelli: gli individui ignari di tutto, del perché ci troviamo lì, divisi tra chi fa finta di nulla e chi finge di aver compreso il gioco. Fabiana ci esorta a mutare la nostra percezione del reale, inteso sia come spazio fisico che ci accoglie (a sua volta opera di una complessa combinazione di natura e uomini, mani, menti, che prima di noi hanno costruito strade, piazze, edifici, con l’intento di rendere la città più vivibile per tutti, o solo per alcuni), sia come insieme di interrogativi, indagini sulla realtà e sulle azioni che compiamo ogni giorno: le strade per l’alta velocità, sotto i nostri occhi, nelle parole di Fabiana, si trasformano in arterie dentro le quali scorre linfa vitale di auto e mezzi di trasporto guidati da altri individui in viaggio verso non si sa dove, attraversati dai loro pensieri e dalle loro abitudini.

Posso dire di avere una conoscenza assai limitata della città di Milano, ridotta alle vie più importanti e al centro storico. Il Cimitero Monumentale, Piazza Gae Aulenti, Porta Garibaldi, i luoghi simbolici coinvolti nel percorso realizzato dai Rimini Protokoll, per lo più di passaggio, mi erano pressoché ignoti. Eppure, la fruizione di questo straordinario, imponente progetto si è rivelata intensa in un modo indescrivibile: un’esperienza indimenticabile, che non faccio alcuna fatica a definire mistica, in quanto viaggio simbolico dalla morte alla vita, dal passato al presente, preludio a un futuro che probabilmente, in quanto esseri mortali, non vedremo mai.

Se da un lato l’intento di mettere in risalto l’identità di un luogo porterebbe chiunque a rievocare la sua storia, la sua cultura di appartenenza, e quindi gli spazi che sono entrati a far parte di un immaginario collettivo, dall’altro, puntare al coinvolgimento di luoghi attraversati ogni giorno distrattamente da persone molto diverse rivendica una funzione che sta prendendo sempre più piede nel teatro contemporaneo: una tendenza a sfumare quella sottile linea che separa la realtà dalla finzione, che converte lo spazio virtuale del teatro, aristotelicamente inteso come “imitazione della vita”, in un dispositivo attivo, in grado di modificare la realtà attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie o l’interazione con il mondo esterno, facendo appello al potere di un patto convenzionale vigente tra spettatori e attori, che permette di trasformare la volontà e i desideri di una sola persona in manifestazioni collettive.

Per vie traverse, sta tornando in auge l’estetica postmoderna che da Marcel Duchamp in poi, passando per John Cage e Merce Cunningham, per la pop art, ha dato voce a un periodo storico investito da grandi trasformazioni tecnologiche, alla base del medesimo, attuale problema di un’incapacità dilagante: l’incapacità di riflettere sul senso apparentemente banale delle azioni quotidiane, conseguenza diretta del caos mediatico da cui siamo tempestati, un vortice che trascina l’uomo lontano dalla sua naturale percezione delle cose – non filtrata, cioè, da schermi e dispositivi elettronici.

Prestare attenzione, osservare, vivere intensamente sono le azioni che noi attori-spettatori del mondo reale siamo chiamati a eseguire; azioni di cui oggi stiamo smarrendo il senso, a causa dell’apparente, vitale necessità di erigere tanti piccoli “noi” virtuali, simulacri del nostro corpo vivo. Ed è singolare che quella stessa tecnologia, principale artefice del nostro isolamento dal mondo, sia stata impiegata nel progetto dei Rimini Protokoll non per dividere, bensì per unire: grazie alla figura indefinibile, ibrida, di Fabiana (non viva, eppure esistente e imperitura, pur nella sua assenza di forma, una non-forma che infine si consuma, paradossalmente, per smascherare la sua vera natura effimera tramutandosi in “Vittorio”) riflettiamo insieme sul paradosso di una realtà che tutto inghiotte rendendo indistinguibili i rapporti tra le cose che abitano il paesaggio: la vita, la morte, il vecchio, il nuovo, la verità, la finzione; dove sebbene il tempo scorra, inesorabile, una fotografia – che siamo invitati a scattare – riesce a fermarlo per sempre dentro un’immagine-ricordo. Una fotografia: una goccia nel fiume del tempo (l’acqua è l’elemento naturale citato più volte dalla voce di Fabiana). Una fotografia ci ricorderà di persone di cui non sapevamo nulla e che nulla sapevano di noi, ma con le quali, nonostante tutto, abbiamo affrontato decisioni comuni per un’ora e mezza della nostra esistenza.

Qualcosa di straordinario è accaduto in quell’ora e mezza: non abbiamo semplicemente camminato, corso, giocato, danzato, mostrato ad altri oggetti che portiamo sempre dietro con noi e che ci identificano. Nonostante la comunione d’intenti, il cammino compiuto da ognuno dei partecipanti non è stato identico per nessuno: ciascuno avrà inglobato dentro di sé emozioni diverse a seconda del suo grado di familiarità con i luoghi esplorati e della propria sensibilità. Di sicuro, nella coscienza di alcuni, il percorso affrontato con Remote Milano avrà segnato una sorta di bellissimo e irripetibile viaggio spirituale sospeso tra il teatro e la vita.

Non fa meraviglia, dunque, che l’associazione culturale Zona K, nel gestire la promozione del progetto, si sia presto accorta di ricevere un numero di richieste di partecipazione superiore alle aspettative, e le abbia tenute in considerazione lanciando ben undici repliche straordinarie: si sarà forse sparsa la voce che il percorso ideato dal collettivo tedesco rappresenti un viaggio alla riscoperta non solo del paesaggio urbano, ma anche di se stessi, delle proprie paure e degli atteggiamenti che assumiamo quando siamo invitati a compiere azioni comuni in mezzo agli altri; come una sorta di addestramento che vuole preparare alla vita attraverso il teatro, ma anche il contrario: risvegliando il bisogno di aprire il cuore ai dubbi di quest’esistenza oscillante fra innumerevoli e imprevedibili possibilità – che proprio il teatro, nella sua definizione più autentica, ha sempre cercato di riprodurre.


Dettagli

  • Titolo originale: Remote X
  • Regia: Stefan Kaegi
  • Anno di Uscita: 2014
  • Produzione: Rimini Apparat


Altro

  • Testo: Stefan Kaegi
  • Co-Regia: Jörg Karrenbauer
  • Sound Design: Nikolas Neecke
  • Drammaturgia: Juliane Männel, Aljoscha Begrich
  • Assistenza alla Regia: Ilona Marti, Federica Di Rosa (solo spettacolo di Milano)
  • Voci: Acapela Group
  • Direzione di Produzione: Caroline Gentz, Valentina Kastlunger (solo spettacolo di Milano)
  • Co-produzione: HAU Hebbel am Ufer di Berlino, Maria Matos Teatro Municipal e dem Goethe-Institut Portogallo, Festival Theaterformen Hannover/Braunschweig, Festival d’Avignon, Theater Spektakel di Zurigo, Kaserne Basel
  • Con il Sostegno di: Hauptstadtkulturfonds Berlin, Pro Helvetia, Schweizer Kulturstiftung e Fachausschuss Tanz und Theater Kanton Basel-Stadt; in coproduzione con House on Fire e con il sostegno del Programma Cultura dell’Unione Europea
  • Visto il: Venerdì, 14 Novembre 2014
  • Visto al: Milano, attraversamenti urbani per la città

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