Arti Performative

César Brie // La volontà – Frammenti per Simone Weil

Valentina Solinas

 

 

La volontà: frammenti per Simone Weil o di surrealismo? 


 

Nella sua complessità, la figura di Simone Weil è ancora oggi oggetto di studio. Ricordata come filosofa, mistica, letterata e intellettuale schierata dalla parte dei lavoratori, il suo merito più grande, ciò che la distingue rispetto ad altri grandi pensatori, è la sua inarrestabile ricerca della verità, alla quale ha dedicato l’intera esistenza: la conoscenza diretta delle cose che appartengono al mondo, la bellezza, l’amore per la vita, la libertà, ma anche il dolore, la sofferenza e la sventura. La sua sete di sapere la porta giovanissima a provare sul suo stesso corpo l’esperienza dell’operaia manovale in fabbrica, nonostante non ne avesse necessità economica; per lei l’importante era sentire su se stessa la fatica, l’umiliazione e il senso di schiavitù condivisi da milioni di lavoratori dei quali lei aveva contribuito solamente a sostenere la lotta per i diritti, attraverso i suoi studi filosofici. La conoscenza per Simone Weil era empirica, non si poteva teorizzare di qualcosa che non si testava con l’esperienza diretta. Nella metà degli anni trenta inizia a girare l’Europa, persuasa soprattutto dal bisogno di trovare la verità nella religione cattolica, una ricerca personale e sociale che la affianca alle classi di cittadini sventurati, perché per questa donna la vera sventura si radicava nella differenza sociale. E le sofferenze personali sono «sventura a metà».

L’anima di Simone Weil viene raccontata in teatro attraverso le immagini di César Brie in La volontà: frammenti per Simone Weil, che dopo aver debuttato al Festival del Sacro di Lucca è stato riproposto al Campo Teatrale di Milano, dal 15 ottobre al 1 novembre, e al Teatro Era di Pontedera, il 21 e il 22 novembre. La scena si apre con l’immagine di un infermiere del sanatorio di Ahsford, personaggio fittizio interpretato da César Brie, che guida il pubblico in un viaggio a ritroso nella biografia di Simone Weil, selezionando i passaggi più critici e criptici della vita della mistica.  Brie spiega l’invenzione dell’infermiere italiano con il bisogno di creare un dialogo con la sua Simone Weil. L’idea nasce da una frase che ancora oggi è presente sulla lapide della letterata: «la mia solitudine, l’altrui dolore ghermiva fino alla morte». La frase è scritta in italiano, sulla tomba inglese della Weil, e per l’autore argentino rappresenta un segno da interpretare, un personaggio sepolto nella storia della filosofa francese, che nella messa in scena di Brie prende forma con l’infermiere Carlo Manfredi. La storia di Simone Weil si srotola tra i frammenti dei ricordi dell’infermiere/narratore intradiegetico, immaginato come un confidente e amico della Weil. Nella prima immagine, la scrittrice emerge come una donna debole e malata, ricoverata al sanatorio di Ashford, nel Kant, dove muore, nel 1943. Il sorriso dilatato sul viso dolciastro dell’attrice Catia Caramia restituisce alla scena l’espressione beata e assorta di Simone Weil con un look reinventato, ispirato all’ideale della santità della martire del Novecento: i capelli sono lunghi, sciolti sulle spalle, distanti dal caschetto tipico della letterata, e gli occhiali, simbolo della miopia della filosofa, sono assenti. Nella regia di Brie tutto quello che è terreno è allontanato da Simone Weil, resta solo la purezza della sua anima.

La struttura drammaturgica è concepita su ispirazione della memoria umana: non si ripercorre la vita di Simone Weil in maniera lineare, e le immagini affiorano come dei ricordi sfumati, intrisi dei pensieri tratti dagli scritti della letterata e militante francese; riflessioni anacronistiche dal taglio apocalittico sul futuro della Germania nazista e dell’Italia fascista si contrappongono al pensiero intellettuale del tempo, rappresentato dall’interlocutore sanitario che assume il ruolo della controparte in un complesso dialogo con la Weil.

In una drammaturgia estremamente attenta a non trascurare elementi salienti e caratterizzanti la biografia e il pensiero di Simone Weil, la scelta di narrare i fatti attraverso il dialogo penalizza l’azione che risente di tempi dilatati. Se nei quadri scenici resta la sensazione di “surrealismo magico” cercata da César Brie, nello spettacolo complessivo manca il ritmo; la staticità e il distacco nella recitazione, ben lontana dallo straniamento, sviliscono la potenza romantica della drammaturgia, riducendo tutto a una commemorazione celebrativa delle vicende e degli scritti di Simone Weil.


Dettagli

  • Titolo originale: La volontà - Frammenti per Simone Weil

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