Arti Performative Dialoghi

Zona Bianca #4 // Vincenzo Albano, Erre Teatro: “Quali nuove capacità i tempi ci richiedono e ci offrono, per ampliare i nostri codici, le nostre azioni?”

Maria Ponticelli

Teatri e cinema sono chiusi da fine ottobre, prima che venissero imposte le attuali limitazioni che hanno voluto il Paese diviso in zone diverse in base al livello di contagio. Appare sempre più lontana la possibilità di instaurare a livello locale delle “zone bianche” nel nostro Paese, che consentirebbero di tornare a teatro in sicurezza, nelle regioni e province autonome con meno di 50 casi ogni 100.000 abitanti. Nel frattempo, “Scene Contemporanee” dedica spazio, per la rubrica “Zona Bianca”, a stati d’animo, proposte e interventi di alcuni operatori culturali durante questo momento storico di grande incertezza, sentendo il loro parere.
Dopo Mario Gelardi del Nuovo Teatro Sanità, dopo Francesco Chiantese di Accademia Minima, e dopo Federica Fracassi del Teatro i, risponde da Salerno alle nostre domande Vincenzo Albano di Erre Teatro, direttore artistico della Stagione teatrale Mutaverso Teatro e di altre valide iniziative di diffusione della cultura teatrale sul territorio campano.

Ci sono secondo Lei ragioni altre, rispetto a quelle note, per cui il Governo ha disposto tout-court  la sospensione delle attività legate al settore delle arti e dello spettacolo?

Mi chiedo quanto le ben note ragioni non tradiscano anche una disabitudine, da parte nostra, ad andare oltre una certa “retorica” artistica, oltre una certa rappresentazione della “cultura”, distinta dal “volgo”, o del politico che se ne frega; mi chiedo se sia possibile – o utile, o più incisivo – che siano altri, con noi se non addirittura per noi, a perorare il nostro ruolo nella cosidetta filiera. Se sì, mi chiedo: come lavorare a questa connessione affinché sortisca effetti “politici” più prorompenti? Un’utopia? Probabile, ma quanto sarebbe stato “rivoluzionario” se certe forme di dissenso (e di auspicio) avessero assunto nel tempo connotati più trasversali alle singole categorie di appartenenza, proprio per la straordinarietà di quanto accaduto. Quale “occasione migliore” di un disastro pandemico per rimettere al centro la collettività. E, invece, queste stesse proteste e questi stessi auspici sono andati avanti (e vanno avanti) come compartimenti stagni isolati, a difesa di ragioni e interessi particolari; per quel che riguarda la cultura, fermi a una certa narrazione di se stessi. Sono evidenti i vantaggi concreti che all’ecosistema reca un teatro aperto, ma non c’è alcuna consapevolezza o conoscenza nei tantissimi beneficiari indiretti. Quali le nostre co-responsabilità in questo cortocircuito al di là delle “ben note ragioni” di cui mi chiedi?

In riferimento al vostro territorio d’intervento, è a conoscenza di modalità alternative pensate dalle amministrazioni locali (Regione, Comune) per cercare di rispondere alla domanda di cultura, pur garantendo le principali misure volte a tutelare la salute pubblica? Cosa invece proporrebbe lei?

La scorsa estate, alla riapertura delle attività, il Comune di Salerno ha promosso e sostenuto un ricco cartellone di eventi dal vivo, da luglio a ottobre, individuando tre spazi della città come tra i più adeguati ad accogliere il pubblico secondo le normative anticontagio. L’iniziativa ha senz’altro restituito una parvenza di normalità sociale dopo il primo totale lockdown e, senz’altro ancora, ha consentito agli operatori culturali di Salerno e provincia di recuperare date annullate a causa della pandemia. Sul piano del dibattito, invece, a monte della ripartenza estiva, ricordo con particolare interesse il tavolo di confronto per aree tematiche promosso dall’Assessorato alla Cultura, con l’intento di tradurre l’umore generale in riflessione istituzionale a livello locale, anche dopo la pubblicazione di una call che fece molto discutere. Al primo incontro on-line non ne sono seguiti altri, purtroppo, e sul piano delle proposte mi sentirei quindi di caldeggiarne la ripresa, portando a confronto i pensieri che ebbi modo di esprimere. Supporterei l’idea di ragionare su possibili parametri a sostegno del lavoro nello spettacolo dal vivo, e di censire consequenzialmente la pluralità preziosa delle espressioni attive tutelandone però l’esistenza nel rispetto di missioni, competenze e obiettivi specifici. Magari, attraverso bandi dedicati.

C’è qualche forma di protesta alla quale avete aderito?  

Come in altre città italiane, anche a Salerno lo scorso anno è stata organizzata da alcuni operatori una marcia pacifica, poi annullata. Per il resto ammetto di no, lo dico sinceramente, anche perché da un certo momento in poi non mi sono sentito più a mio agio nell’egotismo di certe forme e di certi toni, soprattutto sui social network.

Quali invece sono state (se ve ne sono state) le forme di riorganizzazione della produzione che è riuscito a mettere in atto?

Erre Teatro ha finora basato la sua attività sulla programmazione di spettacoli dal vivo. Ho sempre pensato questi esordi come base fondante di un percorso che dovesse accrescere le sue prospettive anche in altre forme che ne sviluppassero vocazioni e competenze. Ho proceduto per guizzi e acrobazie dalle prime sortite all’inattesa pandemia. Non disaderendo alle tensioni che ad essa sono conseguite, ho man mano rallentato il passo trasformandolo in “ozio terapeutico”, in una sorta di sospensione, tutt’altro che inoperosa, nella quale sto interrogandomi molto anche sul “come” di una ripartenza. Vorrei che l’associazione andasse oltre la cadenza delle sue rassegne (termine che non amo particolarmente) come unica ragione e momento d’esistenza; vorrei che scavalcasse il perimetro nel quale ha agito finora, che superasse la routine, il limite sempre più evidente alle sue azioni e relazioni. Cerco insomma di sussurrarmi un nuovo senso. Quindi per rispondere sinceramente alla tua domanda, alla “produzione” ti contrappongo i miei “pensieri” in atto, perché è solo così che al momento sto riorganizzando Erre Teatro e me.

Alcuni teatri hanno proposto spettacoli in live streaming: come valuta l’iniziativa, pensa possa essere una soluzione da replicare?

Considero le liturgie del teatro ineludibili e credo occorra lavorare, senza farne trincea, per rilanciarne l’artigianato e i protagonisti, che sono i luoghi e le persone. Ti rispondo quindi di no, a maggior ragione dopo un anno trascorso interamente on-line. Il punto non è però questo, secondo me. Non escludo a priori una relazione con gli strumenti della contemporaneità e sotto sotto non credo disincentivino il primordiale bisogno dell’uomo di riunirsi attorno a un fuoco; ma, l’idea dello streaming, così com’è, non è che una mera moltiplicazione di canali di diffusione già esistenti, percorribile, tra l’altro, solo da “certa” cultura in grado di farsi garante del suo veicolo sostenendone relativi oneri tecnici ed economici. Insomma, a me tutto pare già superato mentre se ne discute. Sinceramente mettere uno spettacolo on-line non è una soluzione, tanto meno innovativa, pur se importante a fini documentali e d’archivio; e non credo servano scudi a difesa del culto teatrale perché questo si difende già da solo con la sua forza millenaria. Va sì ovviamente rilanciato, come dicevo prima, ma come? Quali nuove capacità i tempi ci richiedono e ci offrono, per ampliare i nostri codici, le nostre azioni, e per incontrare le esigenze, forse cambiate, del pubblico attuale e potenziale?

Una volta terminata l’emergenza sanitaria, pensate sarà possibile trarre da questa difficile esperienza qualche elemento di positività per ripensare al teatro?

Nutro sinceramente qualche dubbio, anche perché in generale, in Italia, molto mi sembra orientato al mantenimento di certi stati di fatto. Ma, magari, chissà che non si “muti verso” per davvero.

 

[Immagine di copertina: Vincenzo Albano, direttore artistico della Stagione salernitana Mutaverso Teatro]

Leggi anche:

Zona Bianca #1 // Intervista a Mario Gelardi, direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità a Napoli 

Zona Bianca #2 // “Abbiamo assunto gli spettatori come comparse per andare in scena”: intervista a Francesco Chiantese di Accademia Minima

Zona Bianca #3 // Federica Fracassi: “La cultura è anch’essa salute, un antidoto alla solitudine e ad altri malanni”



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