Libri

Vetrina. “Miele”

Giorgia Tolfo

Il nuovo romanzo di Ian McEwan, sospeso fra memoir, spy-story e meta-racconto

Se c’è una cosa alla quale ci ha abituati Ian McEwan è l’imprevedibilità dei suoi romanzi, a cui si accompagnano, di volta in volta, sperimentazioni di genere, riflessioni metanarrative, vertiginosi approfondimenti psicologici.

Quel che ci offre nel suo nuovo romanzo, Miele (Sweet Tooth nell’edizione originale), è una summa di tutto ciò. Egli parte da un genere già collaudato in Lettera a Berlino, la spy-story, e lo contamina imprevedibilmente con il memoir di finzione (mutuato da Espiazione), la metanarrazione e il racconto breve (Fra le lenzuola e altri racconti) per offrire quello che potremmo definire un “memoir che racconta una spy-story al cui centro c’è uno scrittore e il suo lavoro artistico”.

La storia è quella di Serena Frome, membro dei servizi segreti inglesi, che racconta le vicende che hanno portato al fallimento suo e del suo amato, un giovane scrittore (T. Haley) da lei segretamente coinvolto in un progetto dal nome in codice “Miele”, progetto volto a combattere ideologicamente le derive comuniste nell’Inghilterra degli anni ’70 tramite il paradossale sostegno di scrittori dalle idee controverse.

L’operazione di contaminazione fatta da McEwan è senza dubbio originale, tanto più che, intrecciando le azioni dei servizi segreti con le politiche editoriali inglesi e il lavoro dello scrittore Haley, può riflettere sull’importanza politica della letteratura, argomento molto presente di questi tempi, nonché interrogarsi sui rivolti oscuri dell’apparente liberismo e democrazia intellettuale.

Eppure il romanzo, in sé incredibilmente appassionante ed in certi punti persino comico, è debole per gli standard a cui l’autore inglese ci ha abituati: troppo presto si intuisce una certa e possibile corrispondenza tra il romanzo che Haley sta scrivendo e quello che teniamo tra le mani; troppo improvvisa e stonante la risoluzione finale, affidata ad una lettera modello “deus-ex-machina” metafinzionale.

In sé queste debolezze potrebbero anche sfuggire, ma McEwan ci ha insegnato, con la sua produzione artistica, due regole fondamentali: diffidare del narratore e sospettare sempre la presenza di qualche meccanismo nascosto, letterario o psicologico, che possa sovvertire tutta la narrazione. Queste regole, felicemente utilizzate nelle opere precedenti, alla lunga imprigionano lo scrittore stesso, rendendolo vittima dello stesso acume della sua poetica.

Con ciò non si vuol certo scoraggiare la lettura di Miele, ma avvisare che per amarlo bisogna prenderlo in mano con ingenuità. Se, come scrive Haley nella lettera finale a Serena, per conoscere l’altro bisogna seguirlo e studiarlo fino ad assumerne l’identità, sarebbe meglio qui, per godere dei meccanismi letterari del romanzo, studiare e conoscere McEwan e dimenticarlo.


  • Genere: Narrativa straniera
  • Altro: Traduzione di Maurizia Balmelli

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