Arti Performative

Valerio Binasco // Porcile

Gertrude Cestiè

Si misura con un fantasma Valerio Binasco: lo spettro di Pasolini e del suo Porcile. Lo affronta senza timore, ma con il rispetto e l’umiltà di un professionista che si avvicina a un grande autore del passato per comprenderlo, senza farsi carico della grande leggenda che lo sovrasta.


 

È il primo giorno di primavera. È un giorno di festa per Ida, che ama Julian e vuole celebrare il suo compleanno. È un giorno funesto per Julian che, massimamente infelice e sconsolato, probabilmente desidererebbe non essere mai nato.

Inizia così Porcile: il dramma di Julian, o forse il dramma di tutti coloro che gli sono intorno. Nonostante l’epilogo più tragico sia quello del giovane, il dramma si consuma puntualmente in tutti coloro che amano Julian, o meglio tentano di amarlo: i genitori – i signori Klotz – e la stessa Ida – una specie di Ofelia moderna e in fondo più combattiva.

Come nei più classici drammi shakespeariani, l’attenzione è posta tutta nella psicologia e nell’evoluzione dei personaggi. Questo Porcile, con il suo linguaggio satirico, grottesco e pungente, accompagna lo spettatore verso la scoperta e la conoscenza dei singoli personaggi. Svuotato dai più evidenti significati ideologici e politici, il densissimo testo pasoliniano, nell’operazione compiuta da Binasco, getta, infatti, i riflettori soprattutto sulla condizione reale umana: al di fuori degli elementi metaforici e simbolici (maiali come uomini contemporanei che fagocitano tutto col proprio denaro), il regista cerca di portare in scena la “semplice” storia di un giovane che ama i maiali e il conseguente disgusto e terrore che questa sua zooerastia provoca negli altri.

Interpretata da un cast magistrale, questa versione di Porcile esplora il terribile segreto di Julian (Francesco Borchi) con il suo sarcasmo insieme mesto e lieto, che riconosce l’amore urgente e disperato di Ida (Elisa Cecilia Langone) e vive il dramma dei signori Klotz (Mauro Malgoverno e Valentina Banci) che tentano di amare il figlio, ma non lo conoscono realmente. Già la prima entrata in scena dei genitori con il loro aspetto ingessato e i movimenti lenti e nervosi anticipa la loro nostalgia in evoluzione durante tutto il dramma: dapprima nostalgici dei “gloriosi” tempi che furono, si scopriranno, poi, profondamente nostalgici di ciò che non hanno mai affrontato e contro cui purtroppo ormai non possono fare nulla: la drammatica verità del proprio figlio. Divengono quasi interamente loro i protagonisti di questa versione di Porcile.

La scenografia accurata, i cui cambi sono realizzati a vista efficacemente, con un fascino che trattiene e vivifica lo sguardo dello spettatore, è completata da un semplice gioco di luci tenui e soffuse che incorniciano il tutto.

È riuscito il regista Valerio Binasco a salvarsi dall’ingombrante fantasma di Pasolini (qui, anche l’intervista al regista)? Probabilmente sì, liberando tutto il testo da quell’eco ammonitoria che esula dal singolo significato delle sue parole. Il testo di Pasolini rimane giustamente intatto nella sua carica, ma è depurato dalle sue evocazioni politicamente e ideologicamente fuorvianti. Il Porcile messo in scena da Binasco non ci giudica e non afferma sentenze moraleggianti, ma ci mostra il dramma – seppur nella sua forma estrema – di chi convive con la propria verità tragica.


Dettagli

  • Titolo originale: Porcile

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