Arti Performative

#ToBorNot. Recitare secondo il metodo di Susan Batson, “coach degli Oscar”

Chiara Nicolanti

“To B or Not” è la nuova rubrica di arti performative curata da Chiara Nicolanti, che ci presenterà alcune tra le più diffuse tecniche di recitazione degli ultimi anni. Qui, ci spiega in che cosa consiste il metodo di Susan Batson, la “coach degli Oscar”


 

Da qualche anno ormai in Italia si sente parlare di lei: Susan Batson, la coach degli Oscar. Ringraziamenti ufficiali le vengono da Nicole Kidman, Juliette Binoche, Tom Cruise, Jordan Bayne e molti altri.

Ma cos’ha di così particolare il suo approccio alla recitazione?

Susan Batson comincia a studiare recitazione da bambina, frequentando la scuola di Uta Hagen e Herbert Berghof prima, per poi arrivare nelle aule dell’Actors Studio.  È proprio in quelle aule che comincia ad insegnare, sotto la spinta di Strasberg.

Nel 1996 nasce il Susan Batson Studio (conosciuto anche come Black Nexxus). Come l’Actors Studio, esso è concepito come una palestra, aperta ad attori con qualsiasi tipo di background alle spalle. Susan segue nelle sue lezioni attori provenienti da tutto il mondo, spesso incapaci di esprimersi in inglese, di culture variegate e dalle tradizioni a volte molto lontane da quella americana. Tutti questi artisti arrivano a New York, o a Los Angeles, decisi a lavorare su quello che c’è di universale nella loro arte. Scopo principale dello Studio come istituzione è quello di creare un luogo preservato dalla tirannia del mercato, un luogo di sperimentazione, dove ogni artista abbia modo di scoprire e sviluppare il suo metodo personale. Gli esercizi proposti, infatti, devono essere percepiti dagli attori come suggerimenti, da accettare o rifiutare, a seconda della funzionalità personalmente riscontrata (concetto già chiaro nella ricerca di Stanislavskij). Al contrario di quanto usuale all’Actors Studio, il Susan Batson Studio non è aperto al pubblico, proprio per dare agli allievi la massima libertà e intimità, presupposti necessari per il tipo di percorso richiesto.

Piccola premessa: tutte le lezioni del Susan Batson Studio iniziano con una stessa formula. I ragazzi, in piedi o seduti in cerchio, vengono interrogati circa la loro consapevolezza in quel preciso istante. La consapevolezza è il primo passo verso l’apertura del proprio strumento. Dove Stanislavskij usava il rilassamento, Susan usa questo particolare modo di “costringere” le persone a fermarsi, a porsi degli interrogativi. La consapevolezza corporea, semplice, del dove si è e del come ci si sente, delle tensioni muscolari in atto e della posizione a riposo assunta, porta il soggetto a scandagliare il proprio fisico. Gli allievi tornano ad assumere posizioni corrette, si rendono conto di avere un muscolo inutilmente sotto sforzo, o di essere preda di un tic da stress. Essere in ascolto di se stessi è la prerogativa essenziale per fare un buon lavoro durante tutto il corso delle lezioni.

Molte volte questa presa di consapevolezza inattesa prende alla sprovvista l’attore, soprattutto se nuovo allo Studio. Questa richiesta genera risposte a volte inaspettate, irruente. Molti attori piangono quando gli si chiede di prendere consapevolezza del proprio stato. Probabilmente la maggior parte degli esseri umani lo farebbe, senza sapere il perché. L’esercizio è esattamente nel porsi questo interrogativo: «perché?». Riconoscere cosa causa un’emozione è la chiave di volta del metodo. E così quando accade, quando alla domanda «di cosa sei consapevole?» l’attore frana, l’insegnante chiede perché. La risposta ha valore solamente per l’attore stesso. Non importa che sia oggettivamente valida, la motivazione è valida perché funziona. E la motivazione è sempre un bisogno inappagato.

Lo scopo finale del metodo di Susan Batson è quello di dare all’attore gli strumenti per dare la vita ad un nuovo essere umano. Secondo il suo metodo, infatti, il personaggio condivide con l’attore la struttura della sua personalità, formata da tre parti in perenne contrasto tra loro:

Public Persona – Un personaggio non nasce quando appare sullo schermo, o sul palcoscenico: il personaggio adulto, come ci viene presentato all’inizio dello script, è il frutto delle esperienze del bambino. Che ne sia cosciente o meno, gli ostacoli personali, le sofferenze e le questioni irrisolte che il personaggio ha sperimentato nell’infanzia rimangono con lui per il resto della sua vita. È proprio durante l’infanzia che il personaggio, come ogni essere umano, ha esperito per la prima volta la sensazione che deriva da una privazione. Questo dolore, questo conflitto irrisolto, questo desiderio irrealizzato, inconsciamente lo spinge a fare le azioni descritte sul copione e a prendere determinate decisioni.

Per un personaggio immaginario, quindi, valgono le stesse dinamiche che si muovono in un vero essere umano. Una buona recitazione deve sapersi muovere dietro la maschera della Persona Pubblica, mostrando solo in alcuni momenti il Bisogno che essa cela.

Need – I personaggi non sono consapevoli del loro Bisogno primario, quindi l’attore, per scoprirlo, deve fare un percorso a ritroso, partendo dalla Persona Pubblica e riflettendo su quale potrebbe essere il suo opposto. Quando il Bisogno inappagato non può più essere ignorato e va in contrasto con la Persona Pubblica, si rivela la terza dimensione del personaggio: l’Errore Tragico.

Tragic Flaw – Il termine Tragic Flaw (errore drammatico) è la traduzione del sostantivo greco hamartia (αμαρτία) e sembra essere stato coniato per indicare una parte innata dell’identità di un personaggio drammatico. Se il Bisogno è il motore interno di ogni personaggio e la Persona Pubblica il freno che gli impedisce di muoversi, l’Errore Tragico è la scelta di ingranare la retromarcia, è il potenziale distruttivo latente che sussiste in ogni essere umano. 

Le lezioni denominate DYOM (Develop Your Own Method) sviluppano degli esercizi pensati a “step”, che portano l’allievo ad acquisire una sempre maggior consapevolezza del modo in cui queste tre forze si muovono dentro di lui e poi dentro il personaggio.

Quello che ho descritto non è che la premessa essenziale di un processo di conoscenza e di sviluppo artistico potenzialmente infinito, le cui dinamiche interne cambiano ogni volta che un attore si troverà ad affrontare un nuovo personaggio. Molto di Strasberg è sopravvissuto in questo approccio alla recitazione, ma forse ancora di più possiamo trovare di Clurman, del suo modo di sviscerare una qualsiasi sceneggiatura. Proprio di Susan Batson è invece l’attenzione alla missione di ogni personaggio, e di ogni artista dentro di esso.

 



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