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“Prove Generali” in Val d’Aosta: il teatro che va in montagna

Pietro Perelli

La Valle d’Aosta, una piccola regione nel nord-ovest d’Italia, tra Francia e Svizzera, a pochi passi da due grandi città come Torino e Milano. Ci si arriva in autobus o in treno, un viaggio non particolarmente lungo o scomodo. Non più di altri. Il cielo tra il 6 e il 7 aprile è grigio, come nel resto d’Italia, ma le organizzatrici di Prove Generali, rassegna di drammaturgia contemporanea che si propone di creare uno spazio di programmazione teatrale indipendente in Valle d’Aosta, Stefania Tagliaferri e Verdiana Vono garantiscono che «Tra quelle due montagne, seguendo la valle, si erge sua maestà il Monte Bianco». In due giorni di appostamenti, però, neanche l’ombra, sempre nascosto dietro il cielo plumbeo. Fortunatamente eravamo lì per la rassegna Prove Generali, appunto, che oltre a Stefania e Verdiana vede impegnata tutta la compagnia teatrale Palinodie nell’organizzazione. La sede di quest’ultima sarebbe Aosta, ma per l’occasione si spostano a Morgex, piccolo paese lungo la strada che porta a Courmayeur, prima, e al traforo poi. Lì c’è una bellissima scuola e, sotto, un auditorium che il sindaco ha concesso per l’organizzazione della rassegna che porta nel paese dove risiedono circa duemila anime, e molte giovani compagnie provenienti da tutta Italia. 

Si tratta ormai della terza edizione, anche se il numero segnato nei manifesti e nelle cartoline è un “due”. Questo semplicemente perché la prima è stata un’edizione zero, una “prova generale” per riuscire a portare il teatro in montagna. Non che questa sia un’operazione nuova, ma il concetto principale della rassegna è quello di riuscire a portarlo senza entrare nella logica turistica dell’evento. Anche per questo probabilmente le organizzatrici specificano più volte, in diversi occasioni, che non si tratta di un festival. La manifestazione si svolge quest’anno, infatti, nell’arco di un mese, dal 27 marzo al 24 aprile. Ogni fine settimana due repliche di uno stesso spettacolo, una il sabato sera, l’altra la domenica pomeriggio. Sei sono le proposte principali, Ommioddio di Francesca Franzè (Brescia), Intimità di Amor Vacui (Padova), Ci ho le sillabe girate di Teatro Officina (Milano), Almost, Maine della Compagnia Indipendente dei Giovani Umbri (Perugia), Apnea. La più giovane delle Parche di Palinodie (Aosta) e Nome di battaglia Lia del Teatro della Cooperativa (Milano). 

Milano, Brescia, la Lombardia la fa da padrona in questa edizione. Ma nel week-end tra il 6 e il 7 aprile è toccato alla Compagnia Indipendente dei Giovani Umbri che portano in scena Almost, Maine, sogno di una notte di mezzo inverno, una commedia scritta da John Cariani, tradotta in italiano da uno degli attori in scena, Jacopo Costantini, e diretta da Samuele Chiovoloni. Insieme a loro, in scena, ci sono Giulia Trippetta, Silvia Zora e Ludovico Röhl. Cinque frammenti amorosi, degli undici scritti da Cariani vengono messi in scena. «Metterli tutti – spiega il regista – avrebbe voluto dire creare una pièce da quasi due ore e non saremmo riusciti a stare nel tempo più fruibile dell’ora; inoltre – aggiunge Costantini – alcuni dei frammenti non inseriti avrebbero presentato problemi dovuti alla traduzione». 

La pièce, apprezzatissima dal pubblico, è ambientata a Almost (quasi) nel Maine, Stato in cui la famiglia di Cariani si trasferì quando lui aveva solo otto anni. Un venerdì sera una ragazza dal cuore spezzato arriva ad Almost, vuole rendere omaggio al defunto marito guardando l’aurora boreale. Una donna, probabilmente maltrattata dal marito, spiega cos’è il dolore ad un ragazzo che non può provare quello fisico. Due cowboy ricordano sfacciatamente la “cotta” che si prendono Heath Ledger e Jake Gyllenhall in I segreti di Brokeback Mountain. Una coppia cerca di dare un peso o un volume al proprio amore. Una novella Cenerentola perde la scarpa nel tentativo di rinvigorire il proprio rapporto. Una buona prova per attori e regista che riescono a trattare il tema senza cadere nel banale, ma soprattutto creando un legame con il pubblico che, confessatosi attraverso la bocca di uno spettatore, dice di essersi sentito finalmente al pari degli attori. Una sensazione che non è dovuta solamente all’apertura fisica al pubblico da parte della compagnia durante l’incontro finale, ma proprio da una capacità di recitazione e di messa in scena famigliare, capace di creare connessione con il pubblico tornando a essere popolare. 

Non abbiamo altri riscontri rispetto alla rassegna. Seguirla tutta è impossibile per chi vive lontano ma in fondo è giusto così. Se infatti non lo si vuole chiamare festival, se vuole essere un modo per portare il teatro contemporaneo in un paesino immerso in una valle, circondato da castelli e sovrastato da “sua maestà” il Monte Bianco, è giusto che i fruitori siano del posto. «Penso che questa rassegna e il nostro fare teatro qui si possano paragonare a un orto – dice Stefanica Tagliaferri in un’intervista su PAC – : richiedono presenza, pazienza, attenzioni continue. Sicuramente c’è della follia […], scegliere di sostare in un luogo, in un’epoca che ti chiede di essere ovunque, è quantomeno controcorrente, però nella follia c’è la visione». 

E se è vero che nella follia c’è visione speriamo di vedere molte altre follie…

 

[Immagine di copertina: Almost, Maine



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