Arti Performative Focus

“Mittelyoung”: fotografia fedele della nuova generazione artistica post pandemia

Renata Savo

Cividale del Friuli è una tranquilla cittadina situata in provincia di Udine che nel mese di maggio gode già di un’atmosfera placida e vacanziera. Possiede uno dei ponti architettonici più belli d’Italia, chiamato “Ponte del Diavolo”, da una leggenda che vedrebbe il diavolo come l’artefice giunto in soccorso dei cividalesi che non riuscivano a portare a termine la sua opera di costruzione. Da oltre trent’anni, a Cividale del Friuli si ospita il Mittelfest festival, uno dei più attesi appuntamenti estivi con le arti performative di tutto il nord Italia.

Il territorio friulano, con le province di Udine e Gorizia, è estremamente vicino al confine sloveno, frontiera e meta di villeggianti curiosi che giungono per godere delle bellezze e dei sapori della terra (il più pregiato prosciutto italiano, il San Daniele, nasce proprio in quest’area del Friuli Venezia Giulia). Una cittadina di piccole dimensioni, seppure vivace e animata come Cividale, si presta bene per una contaminazione culturale e per uno scambio di pratiche artistiche attraverso la visione e la discussione intorno agli spettacoli.

Dall’11 al 15 maggio si è svolta la prima tranche della XXXI edizione di Mittelfest, quella che per il secondo anno consecutivo ha visto protagonisti compagnie e artisti Under 30, italiani e internazionali, denominata Mittelyoung, ovvero la sezione “giovanile” che ha distribuito i suoi eventi a Cividale e che il 15 maggio si è conclusa quest’anno a Gorizia, con due spettacoli, per rendere omaggio a un «cammino comune che porterà a GO! 2025 Nova Gorica – Gorizia» (si legge sul comunicato stampa), ovvero a Gorizia e Nova Gorica che insieme rappresentano la Capitale Europea della Cultura 2025.

Arrivati a Cividale il 12 maggio, risalta subito all’occhio l’attenzione comunicativa che il festival rivolge alla città (raccontata anche nel volume Mittelfest. 30 anni a cura di Roberto Canziani): le vetrine dei negozi accolgono piccole sculture a forma di hashtag #imprevisti e #mittelfest, un sidecar (una installazione temporanea), è parcheggiato davanti al bar “Da Giordano“, amichevole e perfetto per ospitare gli incontri fra pubblico e artisti prima o dopo la visione degli spettacoli.

Imprevisti è il sottotitolo della trentunesima edizione di Mittelfest, diretto dal 2020 da Giacomo Pedini: il claim perfetto per Mittelyoung. Gli spettacoli vengono infatti scelti da un team di “curatores”, tutti Under 30 e provenienti da enti culturali e di spettacolo di aerea friulana: un tipo di curatela che rende la proposta artistica estremamente variegata, interessante e raffinata tanto quanto scivolosa, com’è giusto che sia. Così a Mittelyoung abbiamo assistito a spettacoli molto diversi tra loro e diversamente apprezzabili. Alcuni artisti dimostrano già maturità di pensiero, altri, si può dire, avrebbero bisogno di essere guidati da occhi esterni in fase avanzata di realizzazione del lavoro: quando ciò non accade, si può ammettere che sia un errore in giovane età più che concesso. Ne emerge la fotografia fedele di una nuova generazione artistica, quella post pandemia: ha vissuto l’isolamento per mesi e, durante questa fase, ha sentito il bisogno di esprimere conflitti interiori attraverso le arti performative. A volte non riesce a esternare abbastanza, sa cosa vuole comunicare, ma non ha gli strumenti per farlo a causa di insufficienti sguardi; altre volte risalta, proprio entro i limiti dati dalla condizione storica, la ricerca di vie alternative al training in sala: si esce all’aperto per addestrare il corpo, oppure si assimila voracemente, con gli occhi che restano posati per ore sugli schermi per scoprire nuovi stimoli, immagini che ritornano poi in altre forme sulla scena.

“Assenza Sparsa” di Pan Domu Teatro. Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2022

Il primo lavoro cui abbiamo assistito nella Chiesa di Santa Maria dei Battuti, luogo d’elezione per la messa in scena degli spettacoli di Mittelyoung, è stato il concerto dell’ensemble austriaco Chez Fria, un viaggio musicale chiamato Enimon Enis: letto al contrario, il titolo è un gioco verbale, «Sine nomine», una proposta coraggiosa che dimostra un eccezionale eclettismo per rendere omaggio agli antichi maestri del passato, suonando ad esempio una cover di Die Kunst der Fuge di Bach, mescolando tastiera, synth, basso e batteria con strumenti a fiato, e toccando timbri jazz, ambient e rock (tra quelli che il nostro orecchio inesperto è riuscito a riconoscere). Un’operazione sperimentale che si sforza, sfiorando il kitsch ma riuscendo a scansarlo, di avvicinare all’oggi alcune delle forme musicali più impegnative del passato. Dopo l’incontro con gli artisti “da Giordano”, si è tornati nella Chiesa per lo spettacolo Assenza sparsa di Pan Domu Teatro, di e con Luca Oldani. Tratto da una storia vera, il suo percorso drammaturgico si sarebbe avvantaggiato, della possibilità, vinta tramite il bando Degenze Artistiche della Fondazione Sant’Orsola di Bologna (come ha spiegato la compagnia durante l’incontro con il pubblico), di entrare in quei luoghi proibiti a esterni durante la pandemia: le sale di rianimazione e, in generale, le sale di attesa degli ospedali. Lo spettacolo, già vincitore di alcuni premi, è ispirato a una storia vera, quella di un amico che, in seguito a un incidente, entra in ospedale e dopo poco lì muore. Pan Domu Teatro prova a raccontare, attraverso il punto di vista di chi resta, i pensieri, i gesti, gli stati d’animo che riempiono una straziante attesa, un progetto denso di potenziale che però non va troppo oltre gli stereotipi, sia quelli tragici sia quelli tragicomici. Pur entrando nell’analisi di certe situazioni familiari a molti, finisce per far provare allo spettatore lo stesso effetto procurato dallo stare in sala d’attesa, in cui il più delle volte, anche controvoglia, si cerca un modo per ammazzare il tempo. Tuttavia, dobbiamo segnalare che il progetto è risultato vincitore per la prosa, e che perciò si potrà rivedere a Mittelfest in una data in via di definizione tra il 22 e il 31 luglio.

“G.A.S.” della Compagnia del Buco. Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2022

Il 13 maggio, una fra le piacevoli scoperte di Mittelyoung è stata incontrare la giovanissima Compagnia del Buco (formata da Luca Macca, 22 anni, e Simone Vaccari, 21) che ha portato in scena uno spettacolo circense, per grandi e piccini, G.A.S., alla sua prima presentazione su un palcoscenico “teatrale”. Macca e Vaccari, abituati a performare in strada sin da quando avevano 13 anni e frequentavano gli spazi periferici del quartiere residenziale e industriale di Reggio Emilia chiamato “Il buco del signore” (da cui il nome della compagnia), hanno dimostrato di essere grandi dominatori della situazione teatrale. E forse solo a Reggio Emilia, nel cui centro storico pullulano teatri maestosi e attivissimi (basti pensare alla ricchezza di proposte del circuito “I Teatri di Reggio Emilia”), potevano crescere due ragazzi come Luca e Simone, attratti dalla magia dello spettacolo dal vivo, che invece di perdere tempo sui tablet come il 90% degli adolescenti della loro generazione uscivano a far acrobazie allenandosi in un parcheggio nei pressi delle loro case, come ci ha raccontato la compagnia. Due clowneschi personaggi si ritrovano in campeggio in un teatro, e grazie all’aiuto di alcuni spettatori, compiono una missione: accendere un fornello a gas per far il tè. Prima di raggiungere l’obiettivo, però, capitano una miriade di incidenti e acrobazie. Energici, innovativi e sorprendenti nel linguaggio, i due, esperti conoscitori del legame attore-spettatore a dispetto della giovane età, sono una rivelazione. Più acerba, invece, la performance Percorrersi di Bibi Milanese che è andata in scena poco dopo. Bibi, italiana trasferitasi nei Paesi Bassi, sta costruendo il suo percorso in direzione di una fusione tra musica e teatro, ancora da calibrare bene per funzionare all’esterno, ancora in cerca di un sistema di linguaggio in grado di governare il flusso indisciplinato di pensieri e di immagini che popolano la sua mente.

“Nymphs”, coreografia di Niek Wagenaar. Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2022

Abbiamo fatto il pieno di danza, poi, il 14 maggio, partendo con uno spettacolo mattutino in prima assoluta, Marea, del Trio Tsaba. Nelle intenzioni lo spettacolo vorrebbe sfatare il tabù del ciclo mestruale – ammesso che oggi, in Occidente, siamo sicuri di poterlo definire ancora un tabù – ma se non lo avesse letto nel foglio di sala, una buona fetta di pubblico, persino quello femminile (compreso chi scrive), difficilmente ci sarebbe arrivata. Sempre restando nel campo della danza, sentiremo sicuramente parlare anche in futuro di Niek Wagenaar, danzatore e coreografo olandese che ha diretto cinque danzatori in una vorticosa performance dal titolo Nymphs, che adotta l’immaginario mitologico delle ninfe per affrontare il tema della fluidità di genere e le trasformazioni del corpo. In Nymphs già si riesce ad apprezzare una grande maturità nell’utilizzo dello spazio anticonvenzionale della Chiesa di Santa Maria dei Battuti, la cui architettura interna presenta due pilastri non removibili. La coreografia di Niek Wagenaar oscilla in modo sapiente da uno stile all’altro senza soluzione di continuità: siamo di fronte all’esempio lampante che la cultura e lo studio possono trascendere l’esperienza diretta, ed essere rimpiazzati in tempi morti come quelli vissuti durante la pandemia nutrendo l’immaginario attraverso una quantità innumerevole di informazioni, reperibili grazie agli strumenti concessi dalla tecnologia, sfruttandone le potenzialità in una direzione costruttiva per la propria formazione. Il successo dello spettacolo è stato riconosciuto anche dalla giuria, che lo ha decretato vincitore per la sezione danza.

“Since my house burned down I now own a better view of the rising moon” di Musaši Entertainment Company. Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2022

Un successo invece non abbastanza riconosciuto è stato quello di Since my house burned down I now own a better view of the rising moon di Musasi Entertainment Company. Folle, visionario, clownesco, consapevolmente demenziale e per questo estremamente raffinato e intelligente. Lo spettacolo in costume, maschere e speciali calzature, s’ispira a racconti popolari giapponesi, riprende, toccandone la parodia, le colorate forme del teatro giapponese, come il kabuki e il butoh, ed è in breve una esilarante competizione tra un samurai senzatetto e un suo nemico, il demone Tengu, accompagnati nelle loro paradossali imprese da musicisti sullo sfondo.

“107 ways to deal with pressure” di Kanta Company. Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2022

Non ci è dispiaciuto neanche 107 ways to deal with pressure di Kanta Company, presentato l’ultimo giorno, il 15 maggio al Teatro Verdi di Gorizia. La compagnia, anche qui naturalmente formata da giovanissimi, ha ribaltato in tutto e per tutto le aspettative di gravità, massa e potenza fisica, soprattutto legate al genere, e ha realizzato 107 modi differenti di posizionare i corpi gli uni sugli altri, eseguendo pressioni  e composizioni che non avremmo mai potuto immaginare. Chapeau. E ancora, proprio sull’ibridazione tra maschile e femminile, e il contrasto tra comportamenti socialmente riconosciuti e attribuiti ai due generi, realizzato attraverso un corto circuito costante, l’interessante performance Vacation from Love del collettivo tedesco Cuma Kollektiv, definito un concerto di teatro fisico, accostabile al musical per l’energia messa in campo dalla cantante e attrice dal fisico androgino Elina Brams Ritzau. Anche quest’ultimo lavoro, vincitore per la sezione musicale, si potrà recuperare a Mittelfest in estate.

 

[Immagine di copertina: “G.A.S.”. Foto di Luca A. d’Agostino]



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