Arti Performative Focus

La Commedia dell’Arte: pregiudizi e paradossi di un teatro d’arte diversamente di ricerca

Gertrude Cestiè

Si può parlare di Commedia dell’Arte parlando anche di teatro contemporaneo? Certo.

Potremmo citare il recente successo di Tim Robbins e del suo Harlequino: On  to Freedom portato su uno dei palcoscenici dell’edizione da poco trascorsa del Festival di Spoleto, ma è anche utile ricordare l’intramontabile Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni firmato da Giorgio Strehler che, prima con Marcello Moretti e poi, dagli anni Sessanta, con l’indomito Ferruccio Soleri, continua con il Piccolo Teatro di Milano a mantenere ancora in vista, nonostante i quattro secoli di età, il nome della Commedia dell’Arte.

Nell’immaginario comune, chi dice Commedia dell’Arte dice Arlecchino, dice maschera e dice gioco: ma dicendo Commedia dell’Arte si dice anche tanto studio e un lavoro attorale quanto mai complesso, faticoso, nascosto dietro l’apparente staticità e semplicità della maschera.

Tuttavia, la Commedia dell’Arte non viene tematizzata e attualizzata a dovere nei percorsi di studio legati alla professione attorale, sebbene la sua prospettiva storica sia stata ampiamente trattata e talvolta anche affrontata nei corsi universitari DAMS, assecondando un inquadramento, però, che non rende giustizia al suo magistero artistico, proprio come un libro resta nello scaffale, in attesa quantomeno di essere sfogliato.

Quando si pensa alla Commedia dell’Arte si ha subito la sensazione che si tratti di qualcosa di “vecchio”, di “antico” o comunque di una forma teatrale ben lontana dal nostro tempo o poco accattivante. Di certo le sue origini e radici sono antiche e c’è stato un lungo periodo di splendore, tra la fine del XVI e la metà del XVIII secolo, in cui famiglie di teatranti (come gli Andreini o i Martinelli) l’hanno portata in auge codificando un vero e proprio linguaggio, oltre che averla fatta diventare una fonte di guadagno assai redditizia. Espressione del lavoro in senso stretto, quello che garantisce una sussistenza, la CdA, infatti, era portata in scena da mestieranti attori che ne basavano le performance su storie, o piuttosto degli schemi pre-codificati di azioni, gli scenari, di volta in volta rimodellati in favore della scena e del pubblico presente. Anche oggi, come allora, è solo su raccolte di questi scenari (anche chiamati canovacci) che si basa la conoscenza e l’idea che gli studiosi e gli attori hanno di questo genere.

Come si spiega la scollatura tra lo studio accademico e la pratica scenica, e tra questa e la sua ricezione? Perché esiste? Quali sono i pregiudizi e quali i paradossi che governano questo genere e la sua tecnica? “Scene Contemporanee” ha incontrato una giovane compagnia di commedianti dell’arte, I Nuovi Scalzi, per addentrarsi nel mondo incompreso della Commedia dell’Arte e capire le difficoltà di una tecnica che da quasi mezzo millennio continua ad avere presa su molte giovani formazioni di teatranti.

Dal confronto con la compagnia, è emerso che la drammaturgia legata alla Commedia dell’Arte, basandosi su indicazioni frammentarie e di un tempo ormai lontano, oggi come allora, non viene considerata “alta” o sullo stesso piano della “nuova drammaturgia”, nonostante l’enorme lavoro di ricerca sul personaggio, anche alla luce della distanza che si avverte tra il mondo rappresentato e quello attuale. Inoltre, una serie di cliché e luoghi comuni favoriscono l’idea che performance di questo tipo, dato l’uso delle maschere, del dialetto e la continua forma di “gioco”, si confondano con una più semplice forma di “teatro per ragazzi” rendendole difficile il raggiungimento di uno status artistico di tutto rispetto, vanificando, per le compagnie attuali, la possibilità di acquisire i favori di una produzione o di una diversa circuitazione.

Tra queste, la compagnia de I Nuovi Scalzi fa capo a un’associazione culturale che nasce nel 2007 da un gruppo di giovani artisti provenienti da percorsi formativi differenti, tra cui il fondamentale corso di “Alta formazione in tecniche della recitazione teatrale – Commedia dell’arte”, presso il CTA (Centro Teatro Ateneo) de “La Sapienza” Università di Roma. Essa lavora grazie all’intersezione feconda di diversi elementi: l’espressività delle maschere, i linguaggi del nuovo circo-teatro, della giocoleria e la visual grafic art, per creare sempre nuove ricerche e stimoli da dare alla performance dal vivo.

Il gruppo si è formato intorno all’incontro tra due performer, Savino Italiano e Olga Mascolo, ai quali si sono aggiunti negli anni Ivano Picciallo e Piergiorgio Maria Savarese. La ricerca artistica dei Nuovi Scalzi si è poi perfezionata negli anni con maestri esperti di Commedia dell’Arte, fra tutti Claudio De Maglio, e poi Carlo Boso, ed altri con cui continua a specializzarsi grazie alle numerose partecipazioni a eventi, workshop e festival teatrali, in Italia e all’estero, dove la compagnia riceve menzioni e premi speciali dedicati alla peculiarità delle loro performance e alla prestazione dei singoli attori.

Perché, però, da parte di giovani attori contemporanei, rivolgere interesse proprio a questo genere teatrale?

Nella sua longevità – oltre quattrocento anni di vita – e nella semplicità assoluta fornita da alcune convenzioni da rispettare, scopriamo che la CdA serba potenzialmente un humus ricco che per l’attore diviene una necessità artistica e vitale: la certezza e la stabilità dei tratti tipici, i caratteri incarnati dalla maschera e dalla gestualità legata al personaggio e al suo rango sociale, la presenza di temi universalmente validi e conosciuti (potere, denaro, vendetta, amore) sono gli orizzonti tematici affrontati. Tutto il lavoro che vi è dietro, microscopico ma fondamentale, rivela la vera potenza ed essenza del genere: nel momento della singola performance, le caratteristiche basilari non si risolvono mai nella ripetizione, ma danno vita a molteplici forme uniche di cui ognuna massimamente significante. È proprio questo aspetto che appassiona e rende la CdA un genere di “teatro trasversale”, come credono fermamente i Nuovi Scalzi. A guidarli, l’idea che questo sia un teatro che, seppur legato a una tradizione italiana e per di più locale (poi ampliatasi ad accogliere esperienze note all’estero, in particolare in Francia e in Russia) possa essere compreso e riconosciuto da qualsiasi pubblico, grazie alla comune condivisione delle tematiche, a prescindere dalle barriere linguistiche che un teatro fatto di dialetti e di linguaggi alternativi (si pensi al grammelot) potrebbe porre. A questo proposito, è sorprendente come il gradimento e il successo di quest’arte all’estero sia decisamente più alto che in Italia. Basti pensare che la produzione dei Nuovi Scalzi, dal titolo La ridiculosa commedia della terra contesa, ha conquistato titoli e vittorie presso festival internazionali, tra cui il VII Festival Internazionale di Teatro di Mont-Laurier in Canada (“Miglior produzione”) e lo Sharm El Sheikh International Theatre Festival For Youth in Egitto (“Miglior spettacolo”, “Miglior attore non protagonista” a Ivano Picciallo e “Miglior attrice protagonista” a Giorgia Marras).

Eppure, anche la vetrina italiana più difficilmente raggiungibile concede al gruppo importanti conferme, per esempio la menzione di “Miglior recitazione” ottenuta alla prima edizione del DOIT Festival di Roma, laddove la constatazione della bravura – nella capacità recitativa – può essere ancora criterio più oggettivo e forte di qualsiasi pregiudizio o luogo comune. La possibilità di vederli in Italia non è quindi totalmente irreale. I ragazzi saranno infatti in scena con La ridiculusa commedia della terra contesa proprio il prossimo 30 luglio al Peltuinum Theatre Fest in Abruzzo.

L’idea di questi ragazzi è che anche la CdA possa affacciarsi nel mondo teatrale come una delle tante forme di nuovo teatro o di “ricerca”, e assurgere di diritto a uno statuto di genere meritatamente conforme alle capacità e allo studio attorale che viene investito nell’affrontare il lavoro al servizio di un’arte che, portando in scena il gioco puro della parte, a ben guardare condensa tutta l’essenza del reale.



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