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In Equilibrio Dinamico tra Italia e America: intervista alla coreografa Roberta Ferrara

Roberta Leo

Vincitore del festival romano InDivenire 2018 per la sezione danza, SIMPLE LOVE: Odi sull’essere umano è creazione firmata da Roberta Ferrara, direttrice artistica e coreografa della compagnia pugliese Equilibrio Dinamico. Lo spettacolo ha fatto ritorno, proprio a Roma, sul palcoscenico dello Spazio Diamante il 15 febbraio, ma si prepara nel corso di questo 2019 a un tour oltreoceano della durata di un mese, in America, grazie al Seattle International Dance (SIDF); in scena ci sono Tonia Laterza e Nicola De Pascale, rispettivamente “miglior interprete femminile” e “miglior interprete maschile” al premio InDivenire 2018.
Reduce anche da altri riconoscimenti nazionali e internazionali (come quello riscosso lo scorso anno al prestigioso Solo Tanz Theater Fest di Stoccarda), la giovane e talentuosa Roberta Ferrara concepisce oggi la danza come un linguaggio versatile, pronto ad accogliere nel suo grembo un sentimento profondo e universale di umanità, e qui, nella fattispecie, di “amore”. Un amore semplice. La creazione si compone di quattro parti, che comprendono, oltre alla performance che dà il titolo allo spettacolo, EQUAL TO MAN e e due lavori coreografati per la compagnia Equilibrio Dinamico da altri importanti artisti, WALKING & TALKING di Jiří Pokorný danzatore e coreografo del Nederlands Dans Theater e NUNC di Gaetano Montecasino, danzatore della Compagnia Zappalà Danza.
In attesa di nuovi viaggi e scoperte, che puntualmente gli Equilibrio Dinamico fanno dentro e fuori dall’Italia, di questa nuova e pluripremiata indagine sull’umano, SIMPLE LOVE, abbiamo parlato con lei, l’ideatrice Roberta Ferrara.

“SIMPLE LOVE: Odi sull’essere umano” è un progetto coreografico composto a più mani, o meglio, a più voci. Qual è il fil rouge che le attraversa tutte?

Il filo conduttore dello spettacolo è l’indagine sull’essere umano. La partitura coreografica si suddivide in quattro parti, ognuna delle quali cerca di rispondere a delle domande che l’uomo si pone. È un vero e proprio monologo interiore, che ogni coreografo sviluppa in modo diverso soffermandosi su un tema piuttosto che un altro.

Lo spettacolo si apre con un solo, Equal To Man, cui è stato assegnato il premio internazionale Solo Tanz di Stoccarda, nonché la menzione speciale per il circuito Anticorpi XL, rete urbana e che adesso è in tour sia in Italia che all’estero. Lo interpreta la danzatrice Tonia Laterza, e vi si indaga l’uomo in quanto essere che cerca di riappropriarsi del senso delle proprie radici, della sua libertà. Richiama, infatti, un passo di Omero sulle donne amazzoni, suggeriendo un parallelismo tra la bellezza di queste figure femminili e la loro potenza.

Sicuramente lo spettacolo è la testimonianza di più sguardi su uno stesso oggetto: l’umanità. Dal titolo però traspare anche la presenza di un altro tema principale, l’amore. In che misura e in quale modalità è presente questo sentimento universale nelle coreografie dello spettacolo? 

È presente in maniera totalizzante. Se non si pala di amore verso l’altro, allora si parla di amore verso te stesso. Bisogna sapersi amare per amare a propria volta. Nel sentimento entra in discussione la fragilità dell’uomo. Ci si chiede quanto l’amore sia indispensabile, quanto ci si riesca a donare all’altro e, non ultimo, quanto ne valga davvero la pena.

Equilibrio Dinamico è una compagnia che si distingue per la sperimentazione della danza contemporanea. Quando crei le tue coreografie segui un processo schematico di creazione coreografica, un piano di lavoro ben definito o lasci prevalere la ricerca e l’improvvisazione?

Decido la struttura coreografica prima, quindi entro in sala con un’idea, un concept, che poi si modifica lavorando con i danzatori, dando importanza all’uso dello spazio e della musica. È fondamentale il gruppo di lavoro, dev’esserci alchimia. I danzatori per me sono un prolungamento del coreografo stesso e quindi devono essere in grado ogni volta di assumersi una grande responsabilità. L’atto del coreografo non consiste solo nel saper donare, ma anche nel saper ricevere ciò che arriva dall’esperienza dei danzatori. Il processo, certo, parte con una mia idea, ma poi si evolve insieme ai danzatori. Ti può ispirare anche un loro sguardo, un movimento che risulta un po’ più incisivo rispetto a come l’avevi pensato. Alla fine sono loro ad andare in scena e il coreografo a quel punto deve saper fare un passo indietro. È una sorta di scambio.

Equilibrio Dinamico incarna l’esempio della giovane e talentuosa compagnia di danza contemporanea che decide di nascere e restare in Italia. Quali sono le difficoltà che incontri maggiormente nel tuo lavoro vista la drammatica situazione della danza nel nostro paese?

Credo che il principale problema sia che in Italia manchi la capacità di saper riconoscere un buon lavoro, si ha quasi paura di riconoscere un talento e di credere nel mestiere artistico. All’estero è normalissimo sentir parlare ad esempio di un lavoro di networking. Personalmente io preferisco lavorare all’estero, soprattutto per un discorso di empatia e gratificazione. I teatri sono sempre pieni, perché lì andare a vedere uno spettacolo fa parte della vita di tutti i giorni, l’arte e la cultura costituiscono la quotidianità. A monte vi è il sostegno delle istituzioni (che in Italia spesso purtroppo scarseggia). Tuttavia, esistono delle strategie per uscire da questo momento di crisi: la nostra compagnia, ad esempio, cerca di lavorare molto sulla sensibilizzazione del pubblico, non dimenticando di inserire nei nostri palinsesti anche spettacoli di teatro ragazzi.

Perché hai deciso di strutturare il lavoro della compagnia sulla creazione di un solido repertorio anziché sulla danza d’autore?

Mi reputo una persona entusiasta. Amo il lavoro di squadra. Dai danzatori ai consulenti musicali ai collaboratori, all’ufficio stampa, al light designer. Se questo mancasse non riuscirei a lavorare. Non sento l’esigenza di esprimermi da sola e mi piace vedere i miei danzatori dare anima e corpo anche al pensiero di un altro coreografo. Amo il danzatore versatile, che non deve conoscere solo il mio linguaggio, ma possedere una mentalità aperta ed essere  pronto ad accogliere codici diversi della danza contemporanea. Non mi interessa la danza autoriale, preferisco che il mio pensiero e quello dei danzatori semplicemente s’incontrino. 

Com’è nato il tuo bisogno di coreografare, visto che inizialmente sei stata un’interprete?

L’ho sentita come una necessità. Per me non c’è divergenza o separazione tra il momento in cui sono in scena e quello in cui creo. Non sento il bisogno del palcoscenico per trovare la mia dimensione. Mi piace particolarmente vedere quello che io sto vivendo, che io muovo con il mio corpo su un altro corpo. È come un riverbero. Il mio più piccolo movimento immaginato, eseguito da uno o più danzatori, diventa come un “urlo”, che risuona più forte del movimento stesso. Mentre creo è come se stessi danzando, è come entrare in un’altra dimensione e vedersi restituire con maggiore intensità attraverso un altro corpo ciò che hai provato sul tuo.

 

[Immagine di copertina: “Simple Love” con Tonia Laterza e Nicola De Pascale]



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