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Angela Demattè // Mad in Europe

Chiara Nicolanti

Mad, protagonista di Mad in Europe, scritto e interpretato da Angela Demattè e vincitore del Premio Scenario 2015, è una madre in Europa

Ciò che accomuna le origini religiose di tutto il mondo è una figura femminile, sempre. Una figura che torna e ritorna ad ogni latitudine, in qualsiasi altezza cronologica: la fertilità. Prima che gli uomini diventassero stanziali, prima che i gruppi nomadi imparassero come sopravvivere in uno stesso luogo, l’entità religiosa era, ovunque, femminile. E lo è rimasta, per millenni, fino al momento in cui all’irrazionale si è sostituita, per la prima volta, la ragione. Ci sono studi antropologici che dimostrano come questa forza inarrestabile della divinità femminile sia stata, nei secoli, ammansita, ammaestrata, declassata, resa ubbidiente e controllabile dalle divinità maschili (come nel caso dell’organizzazione olimpica). Molte religioni moderne nascondono però tuttora, nei loro culti educati, radici ben meno ordinate e gerarchizzate.

Qualcosa è rimasto di questo antico potere, celato nelle preghiere cantilenate, qualcosa nel suono di certe parole, nei proverbi, nel modo di emettere i suoni in certi dialetti.

È una lingua oscura, magica. La lingua italiana, quando è stata fatta nascere (fecondazione assistita e parto cesareo), ha cercato di fare quel che poteva per assolvere il proprio compito: di mille parole in mille dialetti, ne ha scelta una, che certo non calzava esattamente con tutte, ma racchiudeva il senso generale delle cose. Al contrario, la lingua vera, nata per bisogno, di prepotenza, non lascia margine al generico: una parola vuol una cosa, e solo quella. La traduzione è estenuante, insoddisfacente. La vera traduzione intendo, quella tentata dai nonni dell’Italia, quando cercano di comunicare con i propri nipoti, consci del fatto che la verità di cui è depositaria la loro parola, morirà con loro.

Mad, il personaggio di Mad in Europe presentato da Angela Demattè, e andato in scena al Teatro Argot Studio di Roma, è una donna in carriera figlia dell’Europa, dell’emancipazione, dell’uguaglianza. Le lingue che parla fluentemente (inglese, francese, spagnolo, tedesco e italiano) sono solo un mezzo, non nascondono segreti: il significato è sempre univoco, è semplicemente espresso tramite suoni diversi a seconda dell’idioma di cui si è deciso di servirsi. La verità è una. La legge è una. L’Europa è una.

Qualcosa di inaspettato, irreparabile, accade però nella vita di questa donna: il suo corpo, a sua insaputa, ha cominciato a moltiplicare dentro di sé cellule che creeranno un altro essere umano. Mad è incinta. Lo scopre a lavoro, al Parlamento Europeo, e l’ordine e la razionalità del suo mondo crollano. Mad dimentica chi sia, da dove venga, quale sia la sua mansione in un posto che continua a riconoscere come familiare. Ma soprattutto dimentica quale sia, tra le tante, la sua madre lingua. Tra le lingue che usa per cercare di spiegarsi non ce n’è nessuna che davvero significhi qualcosa. Anche quelle parole su cui sa di aver costruito la propria esistenza, la propria carriera, ora sono vuote: libertad, equality, emancipazione.

Emancipazione. Cosa vuol dire essere una donna emancipata, oggi? Mad vuole abortire, sa che è un suo diritto, il diritto della donna a non essere solo un mezzo per la procreazione. Mad non vuole che quel figlio le cresca dentro, ma non trova le parole da dire in ospedale. Non trova più le giuste motivazioni, non ricorda più in cosa consisteva poi questo feminism.

Quello che ricorda invece, improvvisamente, è qualche episodio della sua infanzia. Ricorda sua nonna, il suono delle sue parole, un suono stresso, acerbo, irragionevole, impossibile da trascrivere. Ed ecco che quel suono le entra in testa cancellando tutto il resto: Mad preferirebbe essere diventata muta piuttosto che parlare in quel modo, con quel dialetto barbaro, incivile, inappropriato.

Spesso nelle scuole di recitazione, quando un allievo incontra particolari difficoltà nel trovare una verità in scena, gli insegnanti suggeriscono di provare a tradurre le parole del testo nel proprio dialetto di origine. È qualcosa che funziona sempre. La parola riacquista vita, trascinando l’attore nel luogo giusto. Un luogo reale, pratico. Non una strada o una stanza qualsiasi nel mondo, ma quella strada, quella stanza.

Mad ritorna nelle stanze della casa dove è cresciuta, tra l’odore di vecchio, il cotone, il sole, le statue delle madonne e I santini. Mad odia le sue origini, odia quel dialetto. Eppure più non vuole parlare quella lingua, più essa risulta esatta, precisa, stranamente carica di sfumature.

Mad è matta. E partorisce.

Fa quello che aveva fatto sua madre, e sua nonna e le donne della sua famiglia prima di lei. Lo fa in una chiesa, impreparata, con l’aiuto di un’altra donna passata di lì per caso. Fa questa cosa sporca, animalesca, lacerante: espelle dal suo corpo un bambino urlante. Si arrende alla tradizione, alla religione, alla vita. Mad si arrende alla vita, che ha deciso di farsi largo nel suo corpo. E quando si arrende, in quel bambino ritrova le parole e il senso prima di esse.

Una riflessione tutta al femminile di una storia che si ripete, da sempre.

La terra, la sacralità, la religione, il femminile, sono termini di un’equazione che va troppo indietro nel tempo, sono le pietre su cui si fonda la nostra cultura e che, evidentemente, non possono essere cancellate da mezzo secolo di emancipazione e globalizzazione.

La critica, coraggiosa, che questo spettacolo vuole muovere, dunque, non è alla libertà della donna di scegliere (a maggior ragione se in scena c’è un’attrice realmente in gravidanza che decide di continuare a lavorare), ma forse vuole far nascere qualche dubbio su cosa realmente significhi “emancipazione femminile” oggi.


Dettagli

  • Titolo originale: Mad in Europe
  • Regia: Mad in Europe
  • Anno di Uscita: 2015
  • Cast: Angela Dematté
  • Altro: vincitore Premio Scenario 2015


Altro

  • Testo: Angela Dematté
  • Visto il: Sabato, 27 Febbraio 2016
  • Visto al: Teatro Argot Studio, Roma

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