Arti Performative

Gabriele Lavia // Medea

Valentina Solinas

Gabriele Lavia con Medea mira alla semplicità e sceglie di rispettare il testo di Euripide, ponendo un’estrema attenzione a rendere la traduzione, curata da Maria Grazia Ciani, più veritiera possibile con l’obiettivo di restituire il testo di Euripide alla contemporaneità e ripulirlo dal linguaggio alto della tragedia greca.

«Giacché l’arte ha bisogno di conoscenze…», scriveva Brecht nel suo saggio sull’Osservazione dell’arte quando spiegava che l’arte per arrivare a tutti deve essere immediata affinché si possa educare lo spettatore a osservarla a piccole dosi; da questo punto di vista, Lavia, lungi dal guardare a Brecht, si uniforma, però, alla massima del grande drammaturgo, eludendo i riferimenti all’età classica contenuti nel testo e sostituendo ogni rimando con elementi immediati per lo spettatore moderno, così che il testo risulti ripulito. Mentre l’obiettivo consisteva nel ritrovare la sobrietà del testo, la rappresentazione, nei fatti, ha corso il rischio di risultare appesantita da un surplus di aggiustamenti deformanti. La diligenza con cui si rispetta l’originale testuale non presupporrebbe, infatti, l’effettiva scenografia, spingendo lo spettatore a chiedersi perché, nell’antica Corinto, la casa di una forestiera “barbara” debba essere provvista di cucina di ferro e bagno con WC e doccia. L’intento sarebbe di ricreare un ambiente familiare abbandonato e inaccessibile a causa del deterioramento della relazione coniugale, ma le spiegazioni dell’autore nelle diverse interviste non sembrano giustificare l’alienante scenografia moderna; un capriccio estetico che aspira a indurre l’associazione mentale fra l’usura del ferro e il disgregarsi del focolare casalingo, metafora inefficace alla rivisitazione di un testo classico che punta all’essenzialità del tema.

Per altri versi lo spettacolo non delude, e pur inseguendo un’impostazione da dramma borghese che ne determina qualche défaillances, la regia di Lavia esalta la tensione tragica del testo di Euripide, accentuando il dolore di Medea: donna in terra straniera, abbandonata dal marito, che sposa la figlia del re di Corinto. Soluzione resa possibile eliminando discorsi prolissi e personaggi superflui (come Egeo e il nunzio o il lungo dialogo iniziale tra la nutrice e Aio) e recupera la centralità eternante del testo originale: le relazioni di coppia e il rapporto con l’alterità, il disagio della lontananza dalla patria.

La rabbia e la solitudine di Medea prendono corpo e voce nell’attrice Federica Di Martino; l’irrequietezza dei suoi spostamenti, l’allusione all’odio, al tormento e all’angoscia interiore, esprimono sentimenti che scombussolano l’animo umano fino all’incivilimento di chi li porta. Medea si muove in modo animalesco sul palco del Teatro Era, e, straziata dal dolore, urla vendetta per i torti subiti dal marito per poi lanciarsi in danze rituali che suggellano la sua rivalsa. Sicuramente Di Martino regala una Medea magnetica, da cui è difficile destare lo sguardo, mentre compie l’omicidio dei figli a sangue freddo, qui, diversamente dalla tradizione antica, a vista del pubblico. Azzardata, la rivisitazione ironica di un Giasone (Mario Pietramala) effeminato e vigliacco, che seppure traduce alla lettera l’ἀμηχανία, il suo frustrante sentimento di inadeguatezza e di impotenza, guasta la solennità del dramma.

Se pur godibile, la Medea di Lavia inciampa in una struttura di stampo moderno, simile più al dramma borghese che alla tragedia, creando un divario fra azione e parola. L’obiettivo di non tradire il testo si perde nel risultato finale; e anche il momento che nell’opera di Euripide è quasi il più tragico, in cui Medea e Giasone spinti dalla sofferenza si contendono il seppellimento dei figli, in Lavia è smorzato, banalizzato. Di Martino e Pietramala, usano un tono melodrammatico, melenso, durante il compianto dei figli, e risultano distaccati e vagamente comici durante la contesa per il seppellimento, momento che avrebbe richiesto un’intensa concentrazione del pàthos. La Medea di Lavia è una Medea borghese, una donna abbandonata dal marito che si trasforma in un’assassina calcolatrice, una figura che è parte della realtà evocata dalle cronache quotidiane; il montaggio scenico stesso è costruito sotto l’ombra della fiction televisiva moderna, dove la musica guida gli stati d’animo enfatizzando i momenti cruciali della messa in scena. Questa Medea appare come un collage scenico che punta sul colpo sicuro, l’effetto che l’occhio di uno spettatore moderno può sempre apprezzare. Si ha la sensazione che il risultato non rispetti l’intento iniziale di restituire l’essenza di Euripide al quotidiano, e tradisca il grande drammaturgo con il cliché accademico di certi usi e costumi che non si rifiutano mai.


Dettagli

  • Titolo originale: Medea
  • Regia: Gabriele Lavia
  • Anno di Uscita: 2017
  • Musiche: Giordano Corapi e Andrea Nicolini
  • Costumi: Alessio Zero
  • Produzione: Fondazione Teatro della Toscana
  • Cast: Federica Di Martino, Simone Toni, Mario Pietramala, Giorgio Crisafi, Angiola Baggi, Francesco Sferrazza Papa e con Sofia De Angelis, Giulia Horak


Altro

  • Adattamento: Gabriele Lavia
  • Traduzione: Maria Grazia Ciani
  • Coro: Barbara Alesse, Ludovica Apollonj Ghetti, Silvia Biancalana, Maria Laura Caselli, Flaminia Cuzzoli, Alice Ferranti, Giulia Gallone, Giovanna Guida, Katia Mirabella, Sara Missaglia, Marta Pizzigallo, Malvina Ruggiano, Anna Scola
  • Scenografia: Alessandro Camera
  • Luci: Michelangelo Vitullo
  • Assistente alla Regia: Lorenzo Terenzi
  • Capo Macchinista: Adriano De Ritis
  • Capo Elettricista: Javier Alberto Delle Monache
  • Fonico: Riccardo Benassi
  • Capo Sarta: Piera Mura
  • Amministratore: Filippo Rossi
  • Foto di Scena: Filippo Manzini
  • Visto il: Martedì, 09 Maggio 2017
  • Visto al: Teatro Era, Pontedera

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