Cinema

Bertolucci In Vista. L’assedio

Vincenzo De Divitiis

Presidente della Giuria alla Biennale Cinema di Venezia, Scene Contemporanee celebra l’opera immortale del maestro Bernardo Bertolucci, film per film: L’assedio, lavoro in cui ancora una volta Bertolucci ritrae vite rinchiuse in ambienti interni densi di pulsioni psicologiche.

La carriera di ogni grande autore è contraddistinta da capolavori acclamati e pluripremiati e da film meno considerati ma non per questo privi di contenuti e di spunti di alto cinema. È il caso de L’assedio, film del 1999 con il quale Bernardo Bertolucci conferma la tendenza, proseguita anche con i successivi The Dreamers e Io e Te, a chiudersi in spazi interni ma vivaci, e densi di pulsioni psicologiche. Inizialmente destinato alla televisione, il film rappresenta l’occasione per porre sullo schermo un confronto fra culture molto lontane ma vogliose di dialogare fra loro all’alba del terzo millennio sullo sfondo di una Roma grigia e impoverita dei suoi monumenti e della sua magia. Immagine, questa, derivata dal difficile rapporto del regista con la capitale, dove si è trasferito all’età di undici anni.

Shandurai (Thandie Newton) è una giovane donna africana che lavora come colf presso lo sfarzoso appartamento del compositore pianista Jason Kinsky (David Thewlis). Sembrerebbe una situazione come tante, se non fosse per il fatto che la ragazza si trascina dietro un passato di sofferenza alle spalle. Suo marito, infatti, è stato arrestato dal regime dittatoriale e condotto in un carcere militare. Il compositore, ormai travolto da una forte passione per Shandurai , arriva al punto di vendere tutti i suoi oggetti più preziosi, tra cui il pianoforte, per pagare il riscatto del marito. Un gesto che colpisce nel profondo la protagonista la quale non può che innamorarsi definitivamente del padrone di casa.

L’inquadratura iniziale proietta fin da subito lo spettatore nel clima di contaminazione e scambio culturale del film: un cratere vulcanico ripreso dall’alto circondato dal mare. Un’immagine fortemente simbolica che richiama la dinamica assediante-assediato da secoli caratterizzante il rapporto tra primo e terzo mondo. Una dialettica nella quale gioca un ruolo fondamentale anche la musica, che irrompe sulla scena con un canto di un indigeno le cui parole incomprensibili ritornano spesso nel film quasi a lasciar trasparire il senso di disagio e malessere che da sempre attanaglia la terra d’origine di Shandurai. A questo lamento spontaneo e dolente si contrappone il suono classico del pianoforte di Kinsky che simboleggia la cultura ottocentesca con la quale ancora oggi, come una sorta di filtro, l’uomo occidentale è portato a vedere le culture lontane, con un pizzico di timore e diffidenza.

Da questo conflitto socio-culturale si passa al privato con un rapporto reso difficile dalle psicologie molto diverse dei due protagonisti. Kinsky è un uomo solo, dedito solo alla musica ed estraneo al suo tempo come dimostra l’arredamento antico del suo appartamento che richiama quello del professore di Gruppo di famiglia in un interno di Visconti. Shandurai, al contrario, è una ragazza ben conscia della realtà che la circonda e dei problemi cui deve far fronte ogni giorno, come ben sintetizzato nella breve sequenza in cui è in fila per il permesso di soggiorno. Anche in questo caso, la musica gioca un ruolo fondamentale con la sua forza trainante, diventando uno strumento di comunicazione e avvicinamento fra i due, in special modo in una prima parte contraddistinta da molti silenzi e un fitto gioco di sguardi, quasi a voler essere una danza di accompagnamento. La musica suonata al pianoforte da Thewlis affascina e rapisce la giovane donna portandola alla scoperta di un mondo per lei misterioso ma allo stesso tempo affascinante. L’amore tra i due diventa, così, un legame talmente indissolubile da portare l’uomo a mettere in pratica una frase scritta da Jean Cocteu per il film di Bresson Les dames du bois de boulogne e ripetuta sia in Io ballo da sola che nel successivo The Dreamers: “ non c’è amore, ci sono solo prove d’amore”. La prova d’amore in questo caso è di quelle importanti, con il protagonista che si spoglia di tutti i suoi averi e del pianoforte, la passione della sua vita, per regalare una gioia alla sua amata anche a costo di perderla.

Facile, in conclusione, fare un parallelo con Ultimo tango a Parigi. Come nel capolavoro del 1972, i personaggi sono due persone sole, due caratteri in divenire rinchiusi in un appartamento – lo stesso in cui Gabriele D’annunzio ha scritto il suo romanzo più famoso, Il Piacere – inteso come un universo parallelo nel quale psicanalizzarsi a vicenda in un vortice di passione. Una passione, in questo caso, meno violenta e dirompente (almeno in apparenza), con la sessualità che viene soltanto accennata in un finale che trasmette grande dolcezza e affetto fra i due protagonisti.


Dettagli

  • Titolo originale: Besieged - L'assedio
  • Regia: Bernardo Bertolucci
  • Genere: Drammatico
  • Fotografia: Fabio Cianchetti
  • Musiche: Alessio Vlad
  • Costumi: Metka Kosak
  • Cast: Thandie Newton David Thewlis Claudio Santamaria
  • Sceneggiatura: Clare Peploe e Bernardo Bertolucci, sulla scorta del racconto di James Lasdun contenuto nell'omonimo volume pubblicato da Garzanti.

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti