Moon Duo – Circles
Recensione dell’album di Moon Duo “Circles”, che si rifà nell’ispirazione all’opera di Waldo Emerson.
La vita dell’uomo come un cerchio che si evolve da sé, una progressione dell’esistenza in cui pensieri e azioni si svolgono dinamicamente e in maniera non finita: i Moon Duo prendono spunto dal pensiero di Ralph Waldo Emerson, forse il filosofo statunitense più influente, e dal suo saggio “Circles” del 1841 per dare forma alla loro nuova creazione, che ne riprende anche il titolo.
Dinamicità e circolarità perfettamente trasposte in un linguaggio musicale acido e tagliente, che fa della ridondanza sonora un vero e proprio tratto caratteristico, tra intrecci di chitarre psichedeliche e solide geometrie percussive Ripley Johnson e Sanae Yamada confezionano un allucinante blocco di dieci tracce senza soluzione di continuità, nel quale difficilmente si trovano spazi in cui fermarsi a riprendere fiato.
Un occhio allo space rock anni ’70, l’altro alle trame ipnotiche della psichedelia, “Circles” parte in quarta con “Sleepwalker”, traccia d’apertura che getta le basi dell’intero lavoro: da lì in poi un unico flusso inarrestabile di onde sonore che variano di intensità e velocità, ma lasciano inalterata la struttura dei pezzi, tanto monolitica quanto straniante.
Le chitarre, distorte e talvolta epilettiche, si trasformano in lame affilate sia quando si avvicinano a territori dall’indole country (“Free action”) che in schizofrenici riff più marcatamente rock’n’roll (“I can see”, “I been gone”), solo in parte ammorbidite da trame di tastiera che vi si avvolgono sinuosamente (“Dance pt. 3”).
Pezzi granitici come “Sparks” e “Trails”, infine, dettano i tempi con linee melodiche più dilatate che fanno da prodromo alla lunga e trascinata traccia di chiusura “Rolling out”, in cui Ripley elimina qualsiasi freno e dà sfogo al suo impeto tracciando velenosi assoli di chitarra.
I Moon Duo, così, pur estremizzando a tratti alcune soluzioni, la cui prolissità rischia di rendere ostico l’ascolto ad un orecchio meno predisposto, riescono abilmente a plasmare un proprio stile definendone gli spazi in quella emersoniana “circolarità” della quale si tracciavano i contorni. Senza dubbio un lavoro che difficilmente lascia indifferenti.