Libri

Dialoghi. Intervista a Giovanni Arduino e Loredana Lipperini

Francesca Fichera

Un’intervista agli autori di “Morti di fama”

Dal libro a chi lo scrisse: dopo aver letto e recensito Morti di fama, piccolo, intenso e prezioso saggio edito da Corbaccio, Scene Contemporanee intervista i suoi due autori. A Giovanni Arduino, scrittore e traduttore (fra gli altri, degli ultimi due Stephen King), e Loredana Lipperini, scrittrice nonché voce storica di Radio Tre, è stata chiesta qualche precisazione in merito al fenomeno della “microfama”, sul perché è bene parlarne (e scriverne) e sulle possibili vie d’uscita (sempre se ce ne sono) 

 

“Morti di fama”: come e quando esplode l’urgenza di scriverne?

LL: Dopo anni di frequentazione quotidiana della rete, dopo aver compreso che la vecchia utopia del “cambiamo i confini della realtà diventandone protagonisti”, rimbalzata dalla Neotelevisione al breve innamoramento per le Realtà Virtuali fino al “sono qui e scrivo” dei blog, stava restringendosi e riducendosi all’”io sono qui”. Io, da solo, e solo io conto.


GA:
Dal mio punto di vista, dopo le chiacchiere via e-mail, telefoniche o di persona con Loredana. A certo punto, il troppo è diventato tale, almeno per me, che pure ho una soglia abbastanza alta, e certamente per lei. All’ennesima autopromozione sguaiata e travestita da “altro” su Facebook o varie piattaforme similari, Loredana e io ci siamo detti: “Va fatto Morti di fama”.

 

Se “tutti possono fare tutto”, chi può perché sa (all’inglese) che fine fa? In questo sistema alla meritocrazia tocca la stessa sorte del petalo gettato nel Gran Canyon?

LL: Con la logica attuale temo di sì. Aumenteranno le richieste di attenzione e aumenterà il rancore quando vengono negate perché umanamente impossibile.

GA: Purtroppo concordo con Loredana. A meno di incredibili cambiamenti, tutti vorranno sempre più un pezzettino di qualcosa senza avere dato prova di niente (nemmeno di essere bravi comunicatori, attenzione). E grandi realtà imprenditoriali ormai si stanno adeguando agli esperimenti dei singoli, spesso prima di conoscerne i veri risultati. Poi, certo, ci sarà il tracollo. Epocale. Non so come o quando. O che cosa ne nascerà.

 

Il fenomeno degli “haters” è uno dei principali effetti collaterali della microfama, con conseguenze spesso terribili per molti internauti. Ma, d’altra parte, una certa forma di buonismo new age, pandemico e soprattutto ipocrita (un po’ come quello alla Tila Tequila) non è forse sottovalutato nella sua pericolosità?

LL: Il buonismo è certo un pericolo, ma l’hater usa la gogna, e una gogna che rimane agli atti. Antonio Caronia avrebbe detto che stiamo usando vecchie logiche con un mezzo nuovo, invece di reiventare il modo in cui lo usiamo.

GA: il buonismo  può essere pericoloso e serve spesso per banalizzare (o per trasformare in favoletta inoffensiva) discorsi che meriterebbero maggiore approfondimento. Per rendersene conto basta leggere i trafiletti sulla stampa di certi noti buonisti o i romanzi/saggi zuccherini (meglio, all’aspartame) di certi autori che si improvvisano profeti. Però gli hater possono trasformarsi in stalker (o lo sono già di partenza). E gli stalker uccidono, in tanti modi. È così, esistono decine (se non centinaia) di casi documentati, con buona pace dei puristi di internet che prenderanno questa mia affermazione come una simpatica barzelletta o la solita sparata apocalittica.

 

La fatidica domanda conclusiva: si può porre fine a tutto questo, secondo voi – e se sì, come?

LL: Intanto, essendo consapevoli di quel che si fa e di dove si è. È sempre il primo passo.

GA: Spegnendosi, ogni tanto. Spegnendo noi stessi e i mezzi che usiamo. E anche guardando appena più in là del proprio account di posta, profilo di Facebook, followers su Twitter eccetera eccetera. Del proprio orticello sulla rete, insomma.  Secondo me non esiste una vera dicotomia tra vita reale e virtuale, ma, ehi, diamoci una svegliata tutti quanti. Perché se per qualsiasi motivo “crepa” il tuo avatar su FB, oh, lacrimoni, ma vabbe’, pazienza. Se muori tu, o una persona a te cara, sono altri discorsi. E sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. 



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