Musica

Costume – Resonant Garden

Maria Rosaria Carifano

Vengono definiti electro-pop, ma si lasciano influenzare dal trip hop e dal blues, dalle chitarre del classic rock e dalle atmosfere techno. Ma a tutta questa ricchezza di suoni non poteva bastare la semplificazione del mondo digitale. Ecco perché i Costume hanno scelto che la casa del loro nuovo lavoro, Resonant Garden, disponibile in edizione limitata di 20 copie, fosse il vinile.

Quattro tracce, alle quali se ne aggiungono altre due brevi e unicamente strumentali, che il duo formato da Claudia Placanica e Marco “MauSS” Cozza ha registrato in analogico con un mixer fostex 280 e nessun preset computerizzato.

«Ciò non ci ha impedito di utilizzare strumenti più moderni, come la Fender Jaguar Vintera e una Duke Guitar. Il tutto condito con arrangiamenti di un Farfisa “bravo 61” del decennio ‘80, un organo storico. Claudia ha registrato le voci dal suo studio casalingo e io poi ho mixato ed effettuato il mastering delle tracce», spiega Cozza.

In un’epoca dove i ritmi sono sempre più veloci e in cui si sta avendo una vera e propria esplosione del consumismo sonoro (pensiamo ai podcast o al nuovo social Clubhouse) i Costume hanno voluto lanciare un messaggio: tornare alle origini, per fare della loro musica non solo un’esperienza, ma anche un ricordo destinato a durare nel tempo e ad occupare uno spazio. «La qualità sonora di un vinile è non ha paragone rispetto a quella che si può sentire su YouTube o altri portali musicali come Spotify o Deezer – continua Marco  – Dopo una lunga discografia in digitale, abbiamo cambiato registro e realizzato che questa scelta fosse la più adatta».

«Un disco non è qualcosa di effimero e da consumare, e la scelta del vinile risponde a questa visione: rendere duraturo un progetto artistico, poterlo conservare, considerarlo importante e non qualcosa che diverrà obsoleto, la condanna della società liquida in cui viviamo. Per cui, il supporto vinilico fa parte a tutti gli effetti del dialogo con i nostri ascoltatori», aggiunge Claudia.

Per un orecchio ormai abituato al suono riprodotto dal digitale, indubbiamente l’effetto è sinestesico, e fa imporre i brani in una ferma richiesta di attenzione, non come sottofondo ad altro. D’altronde, il disco vuole stupire fin dalla sua copertina, che mostra un ambiente naturale apparentemente placido, eppure “sottosopra”. Il titolo è ispirato «ad uno strumento noto per chi fa elettronica sperimentale, così il significante è diventato significato», dice Cozza. «Ci è piaciuto il suono e lo abbiamo adottato perché ci traghettasse fino in fondo», fa eco Placanica. «Essendo presente nei nostri brani, è divenuto sineddoche (la parte per il tutto) dell’intero lavoro creativo».

Il processo artistico-produttivo di questo fertile duo (8 album nei precedenti 3 anni)  viene definito da Marco «un’operazione alla tenente Colombo! Si parte dalla fine, dove già mostra chi è il colpevole e, piano piano, tutto si completa andando a ritroso». La prima fase è quella della composizione delle basi: «Le atmosfere che mi ispirano di più sono i paesaggi urbani dalle 23:59 in poi, ma anche le campagne desolate notturne. Siccome sono un tipo molto mattiniero, mi sveglio all’alba per fare yoga e meditazione, dopodiché passo alla composizione. Quindi ogni mio brano viene composto dalle 5 alle 8 di mattina. Li giro poi a Claudia che “cuce” le parole in lingua inglese, perché è molto più “elastica” di quella italiana».

Per i testi, Placanica rielabora per l’occasione tutto ciò che, per scelta ed empatia, annota nel corso delle giornate: «Io scrivo di continuo riflessioni sulla realtà immediata o anche su vicende (non personali) del passato; trascrivo note, aforismi, citazioni estratte da saggi e romanzi che leggo o da film e serie che vedo. Uso un taccuino, ma anche l’archivio del mio PC. In definitiva mi ispirano il mondo, gli esseri umani, la storia». Quando arriva il momento in cui si lavora ad un disco, «Marco mi invia una serie di basi strumentali. Io scelgo le composizioni che più mi avvincono e individuo le tematiche adatte all’atmosfera. A quel punto uso il testo del taccuino, intervenendo per adattarlo alla musica. La fase successiva è capire se il connubio funziona e inventare una interpretazione che, senza tradire la mia personalità, riesca a rendere il pezzo unico». In Resonant Garden Claudia ha trovato 4 soluzioni diverse per ciascun brano: «Mi sono divertita a cantare su tutti i pezzi perché ho potuto oscillare da un cantato femminile e jazzy (I really left you) a uno molto duro (Why protest?)».

In che modo questo lavoro si differenzia dai precedenti? Secondo Cozza, «Abbiamo innanzitutto abbandonato momentaneamente il genere tech-house per darci ad una musica più suonata con chitarra elettrica e resonant Blues; con organi datati e drum machine degli anni ‘70. Poi la qualità del sound, con un vinile, risulta nettamente migliore per chi ha un orecchio attento».

Adesso quindi, non resta che aspettare i feedback del pubblico: «Essendo noi sganciati da qualsiasi logica di profitto, possiamo rischiare e, difatti, ci sentiamo liberi di poter fare solo quello che ci piace senza dover assecondare un target o un produttore – ammette Claudia – Finito il lavoro, ci concentriamo maggiormente sul nostro pubblico che, seppur elitario (nel senso che ha competenze musicali), speriamo possa capire e apprezzare il nostro impegno di ricerca, sperimentazione, approfondimento; le sfide che accettiamo e portiamo avanti nell’alea più totale. Essere capiti significa mettere gli ascoltatori nella condizione di provare la bellezza, la gioia e gli stessi sentimenti che abbiamo provato nel creare i nostri brani».

Il disco può essere acquistato sulla pagina Bandcamp della formazione ma, naturalmente, i Costume non vedono l’ora di esibirsi dal vivo. Se, infatti, la produzione non è stata inficiata dalla pandemia perché «io e Claudia abbiamo sempre lavorato a distanza, dato che io vivo a Salerno e lei a Pistoia – afferma Cozza – Quindi tutti gli album a partire dal 2016 sono frutto di una connessione che va oltre la regione in cui risiediamo», diverso è il discorso relativo ai live, la linfa di ogni artista: «Appena ci sarà l’opportunità cercheremo di organizzare un bel tour, nel milanese e anche in Toscana. A Salerno i Costume hanno suonato tanto, abbiamo all’attivo ben 24 date. E poi è una realtà che ci interessa attualmente poco, quella salernitana. Ci piacerebbe suonare ad Avellino o a Napoli, per esempio. E a Roma, Firenze, Torino. Sono quelle le “nostre” città». Ma tra i progetti dell’immediato futuro, c’è anche un doppio album: «Conterrà 18 tracce ed è registrato per un etichetta straniera. Si chiamerà “Blanditia”».

«Non è da escludere che la prossima destinazione per i nostri live sia nel Nuovo Mondo – conclude Placanica – Ma abbiamo anche proposte per suonare nei club tra Centro e Nord Italia. Regole covid permettendo, ovviamente. Come non notare che viviamo in un paese in cui i supermercati sono aperti mentre teatri, cinema, musei, locali per suonare e negozi di dischi sono chiusi. A chi vive di arte non sarà sfuggito quanto detto un anno fa dall’allora premier Conte a proposito degli artisti, ovvero “coloro che ci divertono”. Qui mi fermo: i miei testi, per chi voglia ascoltarli, le suonano ai politici, ma anche a tutti coloro che si fidano di persone prive di morale. L’arte – in fondo – non deve essere spiegata da chi la fa».



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