Arti Performative Dialoghi

Intervista a Carlo Croccolo

Maria Ponticelli

Posso fumare, le da fastidio?

E io posso registrarla…le da fastidio?

A me non da fastidio nulla. L’imbecillità mi da fastidio, e le bugie, sono le due cose che non sopporto, poi tutto il resto…

 

Comincia così l’intervista a Carlo Croccolo l’attore, amico e spalla di Totò, il principe della risata scomparso nella notte del 15 aprile 1967. È innegabile quindi che ci si senta dei privilegiati a trovarsi lo stesso giorno, di 50 anni dopo, a chiacchierare con il Luigino di “Miseria e nobiltà” o il maggiordomo di “Lascia o raddoppia” (solo per citare alcuni film interpretati insieme a Totò).

Croccolo, un ricordo di Totò…ho letto da qualche parte che è stato per lei come un padre.

Non solo. Mi ha insegnato ad essere un professionista, io ero “na capa e’ mbrella” come dicono a Napoli, facevo questo mestiere per soldi, disprezzandolo e disprezzando tutti quelli che lo facevano. Lui mi ha insegnato la puntualità e a seguire la mia intelligenza piuttosto che il mio istinto. É stato un padre particolare.

Come intende ricordarlo stasera?

Stasera lo ricorderò innanzitutto con le sue poesie che pochi conoscono, trovo che Totò sia un poeta eccezionale. Tutti conoscono “La livella” ma io stasera reciterò delle poesie meno note come “Il cimitero delle civiltà” che racconta di persone morte e che stanno per essere trasformate in mezzi di vita…credo che sia il massimo della poesia. E ancora, “Ludovico il sarchiapone” che racconta invece di un cavallo che alla fine della sua vita viene consolato da un asino. Trovo queste poesie celestiali, e valgono secondo me molto più del “perbaccolina!”, sono cose che ti restano dentro e che Totò ha sentito e scritto.  Totò non era un intellettuale, veniva dalla strada, e proprio per questo aveva una tale carica umana che però non elargiva a tutti; in fondo amava stare solo, si ritirava in quello che lui chiamava il pensatoio e lì scriveva poesie. Insomma, credo che oltre ad essere stato un grandissimo comico, Totò sia stato anche un grandissimo uomo e io ce l’ho dentro, spesso gli chiedo “Totò, vogliamo uscire?!” Ma niente, lui non vuol saperne…e rimane dentro.

Lei ha doppiato Totò, Stanlio, Sordi: comicità differenti. È possibile secondo lei individuare elementi comuni nelle diverse espressioni della comicità?

Si, pensi che nel “Tesoro di San Gennaro” ho doppiato quasi tutti gli attori del film. Il doppiaggio è stata per me una cosa naturale, mi è piaciuto tanto.  Riguardo la comicità, beh essa non si può definire ne’ sintetizzare, anche la comicità è qualcosa di naturale, si pensi a Sordi ad esempio. La comicità è parente della drammaticità, basta andare un tantino oltre che la drammaticità diventa comica e i due aspetti si confondono. Al tempo stesso però bisogna dire che la drammaticità è facile, anche un “attore cane” se non riesce a far piangere fa almeno commuovere, un attore comico invece se non fa ridere lo mandi a quel paese, non c’è una via di mezzo. E di modi di far ridere ce ne sono infiniti ma si può dire che ciò che fa ridere è l’innovazione, è qualcosa di inaspettato anche per l’attore: tu prepari qualcosa poi te ne viene un’altra e quella riesce a far ridere. I modi di divertire quindi sono infiniti e sono tutti validi…eccetto quelli dei comici d’oggi.

Ecco, appunto questo desideravo chiederle. Cosa può dirci dei comici di oggi in confronto con quelli di ieri?

Non mi piacciono i comici d’oggi, mi fanno pena. Faccio eccezione per Checco Zalone, che mi piace, trovo che sia intelligentissimo e per i due siciliani Ficarra e Picone ma mi piacciono anche anche Lillo e Greg e infine Buccirosso, il napoletano, poi c’è il deserto.

Trova che Buccirosso si allinei un pò’ alla comicità napoletana di ieri?

Molto. Buccirosso è Peppino De Filippo.

Lei ha lavorato sia al teatro che al cinema; dove, in quanto artista, si sente maggiormente a casa?

Questa è una domanda che mi pongono spesso. Ed io sono solito rispondere in un modo che i miei colleghi del teatro disprezzeranno: a teatro diventi servo del pubblico! Vede, quando si ha una platea davanti bisogna convincere, è necessario che tu faccia ridere non puoi recitare per te stesso, si recita per il pubblico…ed io disprezzo tutti quelli che diventano schiavi del pubblico. Per non parlare poi della televisione, in televisione sei soggetto agli indici di ascolto, non so come si possa lavorare così. L’ unico posto dove mi sento libero è il cinema.

In che modo percepisce l’assogettamento da parte del pubblico?

Le faccio un esempio. Da ragazzo facevo del cabaret con Walter Chiari e insieme percorrevamo una passerella che ci conduceva dinanzi al pubblico. Bene, mentre tutti gli altri comici si impegnavano a raccontare barzellette e a divertire, io pensavo innanzitutto a sedermi. Il pubblico stava seduto perchè, certo, aveva pagato un biglietto ma io pensavo di avere lo stesso diritto. Come tutti pagavo le tasse e…vede, se lei si reca in una caserma, al cospetto di un pubblico ufficiale si mette sull’attenti ma, in realtà, ritengo che anche loro debbano farlo dinanzi a noi dal momento che, in fondo, paghiamo perchè siano lì…o sbaglio?



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