Arti Performative

Bill T. Jones – Story/Time

Renata Savo

Non esistono regole precostituite per essere artisti, eppure esistono delle storie che rendono grande la figura di un artista

“Pensavo che per essere artisti bisognasse vivere alienati. Adesso che sono un artista affermato posso dire che non esistono regole precostituite per essere artisti. John Cage aveva capito che era il processo a rendere interessante il lavoro, non il capolavoro in sé”. (Bill T. Jones, intervista post-spettacolo)

 

Non esistono regole precostituite per essere artisti, eppure esistono delle storie che rendono grande la figura di un artista. Una di queste riguarda John Cage, che rivoluzionò la musica contemporanea introducendo la vita quotidiana nella composizione musicale e insieme al padre della postmodern dance, Merce Cunningham, guardò alla musica e alla danza come a due forme aperte di uguale durata, generate in maniera totalmente autonoma mediante l’uso di procedimenti aleatori. Story/Time parte da queste premesse storiche e rimette in gioco l’opera di John Cage citando testualmente, prima dell’inizio dello spettacolo, una sua conferenza intitolata Indeterminacy (1959), dove il compositore leggeva dei brani umoristici sulla partitura musicale di David Tudor.

Per la durata esatta di settanta minuti, Bill T. Jones, come Cage, si spoglia del suo ruolo di danzatore e veste i panni del lettore seduto al centro del palcoscenico. La danza, un miscuglio eterogeneo di forme distinte – tra le quali non mancano episodi corali che ricordano le jam session di contact improvisation – fa da contrappunto alle circa settanta storie da lui composte, di cui molte autobiografiche. L’ordine secondo cui le pronuncia varia ogni volta, è frutto del caso; una scelta operativa che riprende le tecniche di composizione coreografica di Cunningham, compagno d’arte e di vita di Cage.

La bellezza visiva della danza, con i suoi movimenti puri e tendenzialmente astratti, spesso prende il sopravvento sull’attenzione dello spettatore, al punto che è difficile non perdersi nella contemplazione e dimenticarsi del resto. Consapevole del rischio, prima dello spettacolo il coreografo comunica al pubblico che ci sarà bisogno di un “warm-up concettuale”. I primi minuti, allora, diventano strategici: una giovane e attraente donna di colore va sedersi su un divanetto mentre Jones legge il brano in cui un’altra donna, ma anziana, è seduta su un divano assorta in pensieri nefasti; una contingenza che imprime l’idea di una storia da seguire, ma Jones, giocando con la risposta del pubblico, che in tre momenti diversi udirà lo stesso passo ma accompagnato da situazioni visive dissonanti, spinge la sua indagine al di là del legame tra ciò che si vede e ciò che si ascolta. E’ per questo che esistono delle storie: se il pubblico interpreta qualcosa, io sono obbligato a chiedermi “perché” “. La differenza, allora, tra il lavoro di Cage-Cunningham e quello di Bill T. Jones consiste nel rapporto tra la danza e la possibilità di raccontare delle storie. E’ questa relazione che Jones intende esplorare, riportando la sua vita costantemente in superficie. Un metodo, insomma, che aggiunge un piccolo tassello alla ricerca dei suoi predecessori.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti